Vino e letteratura: 3° e ultima parte

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La presenza del vino nelle mense della Grecia Antica era simbolo di prestigio sociale poiché la produzione e la lavorazione del prodotto richiedeva terreni e materiali di costo elevato. Si può parlare, dunque, della Grecia Antica come della prima vera grande terra del vino. Successivamente la bevanda venne esportata, grazie alle successive colonizzazioni anche verso il Mar Nero, l’Anatolia, le coste Africane e nelle terre occidentali raggiungibili per mare dal territorio greco.
Quando Omero racconta delle città d’origine dei capi degli Achei e ne descrive gli svariati pregi, non trascura tra questi la presenza di viti rigogliose: ”Arne dai molti grappoli d’uva… Istiea ricca di vigne… Epidauro ricca di vigneti…”.

I viticoltori greci non adottavano forme di coltivazione a pergola, come facevano invece gli egizi o come venne poi fatto in Italia. In Grecia le viti erano lasciate libere di scorrere sul suolo, protetto con materiali vari (rami o stuoie) per evitare il contatto diretto del frutto con il terreno. Questo sistema era sicuramente meno costoso dal punto di vista economico, ma richiedeva un numero elevato di unità lavorative per la lavorazione del suolo. La vendemmia solitamente avveniva nella metà di settembre. Riempite le ceste di uva, questa veniva portata alla pigiatura, eseguita in conche di legno d’acacia stagionato o in muratura leggermente inclinate per favorire la colatura del mosto. Una parte del mosto veniva consumata subito, dopo aver subito leggere aggiunte d’aceto, mentre la quasi totalità di questo era destinato alla vinificazione. Il mosto veniva inviato alle cantine dove avveniva la fermentazione in grandi vasi di terra cotta (3,5 metri di altezza e un’apertura di un metro), detti pithoi. Per ridurre la traspirazione, i pithoi venivano interrati profondamente e cosparsi esternamente di resina e pece. Questa tecnica conferiva al vino un aroma particolare, che si riscontra tuttora nel vino resinato greco. Dopo sei mesi di permanenza nei pithoi, si procedeva alla filtrazione e al travaso del vino in otri o anfore di terracotta appuntite per permettere la decantazione di eventuale deposito e successivamente commercializzato.

Altra terra che un tempo disponeva di ottime potenzialità per la coltivazione della vite e per la vinificazione è sicuramente la Palestina, grazie alla vicinanza con l’Oriente, come testimoniano ritrovamenti di attrezzature (torchi e tini) nel corso di scavi archeologici. Le notizie si possono avere leggendo i testi biblici. Lo sviluppo della pratica della vinificazione in Palestina continuò senza problemi fin verso la metà del ‘600 dopo Cristo, epoca della conquista musulmana.

Quando Roma può finalmente vantarsi del nome di ”capitale del mondo”, la viticoltura aveva già alle sue spalle una lunga storia. Durante il regno di Augusto tuttavia questa pianta e questa bevanda poterono godere di maggiori cure e di maggior diffusione e prestigio. In Italia nuove tecniche e nuovi vitigni vennero importati, soprattutto dalla Grecia. Viticoltura ed enologia rappresentano due aspetti importanti per la vita economica e sociale di questo periodo. Grandi nomi latini si avvicendano e si confrontano nella composizione di trattati di agricoltura, da Catone a Varrone per giungere, nell’epoca più fiorente dell’impero a Virgilio e a Lucio Moderato Columella. Osservazioni sui metodi di produzione del vino si affiancano alle istruzioni tecniche per la coltivazione della vite. Columella distingue fra uve da tavola e uve da vino e nella sua distinzione divide gerarchicamente queste ultime in tre gruppi, a seconda del vino che se ne ottiene. Nel suo trattato “De Re Rustica”, suggeriva per ogni vitigno il terreno più adatto e consigliava di impiantare varietà diverse e di tenerle separate al fine di ottenere un vino più pregiato. Secondo gli scritti di Columella la vendemmia si effettuava del mese di agosto fino a novembre, con la piena maturazione delle uve. Il controllo della maturità si basava sul gusto degli acini, sulla struttura dei grappoli e soprattutto dal colore scuro dei vinaccioli. Le uve erano pigiate nel calcatorium ed erano torchiate nel turcularium, quindi il mosto veniva raccolto e trasferito per la fermentazione nei dolia.

Insomma il vino rappresenta da sempre non solo una bevanda piacevole al palato ma anche il simbolo di una civiltà e di uno stato sociale.