“Venexiani gran signori, padovani gran dotori, visentini magna gati, veronesi tuti mati, trevisani pan e tripe, rovigoti baco e pipe. E Belun?Ti Belun, non ti vol nesun”.
Vicentini “magna gati”? Da dove nasce questo modo di dire che caratterizza i vicentini e che ha portato anche a rivisitare (probabilmente in maniera scherzosa, ma non senza le proteste degli animalisti) l’antichissima ricetta del “gato in tecia” (gatto in umido)?
L’origine del modo di dire resta incerta, ma viene comunemente fatta risalire al 1698, quando la città fu colpita da una pestilenza, debellata grazie all’aiuto di Venezia che inviò un esercito di gatti, liberando in tal modo Vicenza dall’invasione dei topi. Secondo la leggenda, i vicentini, stremati dalla peste, dalla fame e dalla carestia, non restituirono più gatti ai veneziani.
Un’altra ipotesi risale all’800 e tenderebbe a fornire una spiegazione di tipo fonetico. Infatti, nell’antico dialetto vicentino la frase “hai mangiato” si diceva “gatu magnà”. Infine è anche attestato, fin dal 1200, che i membri dell’antica famiglia vicentina dei Barbarano venivano soprannominati “Gati” o “Goti” (forse per l’origine barbara della stirpe).
In ogni caso, Vicenza merita una visita non certo per assaggiare il gatto in umido (che ufficialmente non si trova nei menu dei ristoranti), ma per la bellezza, le armoniose proporzioni e l’aristocratica eleganza dei suoi monumenti. È una delle città italiane con la maggior concentrazione di monumenti in rapporto all’estensione e questo la rende una vera perla architettonica.
Vicenza è una cittadina di poco più di 100 mila abitanti situata tra Verona e Venezia, non troppo conosciuta, forse perché generalmente non viene inclusa nei classici itinerari turistici. Tuttavia, è indubbiamente una delle città più belle del Veneto e dell’Italia, da scoprire in ogni dettaglio, in ogni angolo, una città in cui l’architettura del centro storico si sposa magnificamente con la struttura urbanistica: palazzi signorili, ville, monumenti e chiese contribuiscono all’armonia e allo splendore di Vicenza. L’elegante aspetto neoclassico del centro della città si deve al genio di Andrea di Pietro della Gondola, detto il Palladio, architetto padovano, ma attivo principalmente a Vicenza, dove si era formato, grazie al sostegno del mecenate Gian Giorgio Trissino, ammirato in tutto il mondo, autore di capolavori assoluti che tutti ci invidiano e ci copiano.
Dal 1994 Vicenza è stata inserita nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO per le opere di Palladio e per la perfetta integrazione tra architettura e urbanistica e nel 1996 il riconoscimento è stato esteso anche alle 24 ville attribuite a Palladio, di cui 16 di trovano nel Vicentino e le altre in centri minori della campagna veneta.
La storia della città è molto antica: i primi insediamenti nell’area oggi occupata da Vicenza risalgono a VI sec. a.C.; in seguito, nel II secolo a.C. la popolazione entrò nell’orbita di Roma e si sono conservate fino a oggi delle testimonianze delle costruzioni di epoca romana: i resti del Teatro Berga, dell’acquedotto e del Foro, che si trova sotto Palazzo Trissino, ma soprattutto il Criptoportico, ben conservato, scoperto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Dopo circa tre secoli di occupazione longobarda, nel 1414 Vicenza consegna le chiavi della città a Venezia ed entra a far parte della Repubblica Serenissima, a cui fu assoggettata fino alla fine del XVIII sec., assicurandosi in tal modo quattro secoli di pace e benessere che portarono la città al suo massimo splendore.
A partire dal 1540 Andrea Palladio, realizzando commissioni di privati cittadini, ma anche di istituzioni pubbliche, rivoluzionò completamente l’aspetto della città, lasciando in eredità ai vicentini, oltre alle magnifiche ville, capolavori come la Basilica Palladiana, Palazzo Chiericati, Palazzo Barbaran da Porto e il Teatro Olimpico, ultima opera dell’architetto ed espressione massima del suo genio artistico. Lo storico dell’arte francese Louis Courajod, fondatore dell’École du Louvre, definì Vicenza “un luogo benedetto dal cielo, uno di quei nidi preparati dalla natura per la nascita dell’arte italiana, la quale, al principio della Rinascenza, non mancò di fiorirvi”.
Ma sono forse le parole di Goethe, nel suo Viaggio in Italia, che più di tutte le altre esprimono il fascino che le opere di Palladio hanno conferito alla città: “Sono giunto da poche ore, ma ho già fatto una scorsa per la città e ho visto il Teatro Olimpico e gli edifici del Palladio… Soltanto avendo innanzi agli occhi questi monumenti se ne può comprendere il grande valore. Con la loro mole e con la loro imponenza essi devono, per dir così, riempire gli occhi, mentre con la bella armonia delle loro dimensioni, non solo nel disegno astratto, ma in tutto l’insieme della prospettiva, sia per quello che sporge, che per quello che rientra, appagano lo spirito. E questo è proprio, secondo me, il caso del Palladio: un uomo straordinario, e per quello che ha sentito in sé, e per quello che ha saputo esprimere fuori da sé”.
“Non è possibile descrivere l’impressione che fa la basilica di Palladio...”, affermò Goethe dopo aver ammirato il monumento più noto della città, affacciato su piazza dei Signori, la piazza centrale. La Basilica Palladiana non è, come potrebbe far pensare erroneamente il nome, una chiesa, ma ha per nucleo l’antico Palazzo della Ragione, d’età gotica, e per rivestimento le logge realizzate da Andrea Palladio a partire dal 1546. Al pianoterra si trovano ancora oggi i negozi d’oreficeria che tengono viva la storica vocazione commerciale del luogo, esercizi commerciali e alcuni spazi recentemente destinati a esposizione. Una passeggiata per le vie del centro ci porta a scoprire gioielli come Palazzo Barbaran da Porto, oggi sede del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, progettato nel 1569, in stile manierista, tipico della maturità di Palladio, con una facciata decorata a festoni, Palazzo Valmarana, una delle più straordinarie realizzazioni dell’architetto per l’ordine gigante della facciata, il monumentale Arco delle Scalette, un arco celebrativo situato ai margini del centro storico, che segna l’inizio di uno dei percorsi di salita (192 gradini) al Santuario di Monte Berico, Palazzo Chiericati, oggi sede della Pinacoteca Civica, venne progettato per il conte Girolamo Chiericati che, ricevuti in eredità due palazzetti fatiscenti che si affacciavano sull’allora Piazza dell’Isola, affidò al giovane Palladio il compito di creare un edificio decoroso ed elegante, che fungesse da sontuoso biglietto da visita per coloro che arrivavano al porto. Infatti, quella che oggi si chiama Piazza Matteotti, anticamente era la Piazza dell’Isola, dove si trovava il porto fluviale di Vicenza e dove si teneva il mercato del legname e del bestiame, chiamata così perché circondata su due lati dai fiumi Retrone e Bacchiglione.
Dalla parte opposta della strada si trova il Teatro Olimpico, capolavoro che il genio di Palladio concepì nel 1580, anno della sua morte. Di chiara ispirazione classica, è il più antico teatro coperto in muratura del mondo e gli interni sfarzosi vennero realizzati in legno, stucco e gesso. Il teatro è visitabile regolarmente e vi vengono organizzati anche spettacoli e concerti, in un’atmosfera estremamente suggestiva.
Una curiosità, che pochi conoscono, è legata al vicentino Luigi Da Porto, che riposa nella Chiesa di Santa Corona, scrittore e storiografo, autore della novella Historia nuovamente ritrovata di due nobili amanti, in cui viene raccontata la storia d’amore tormentata di Romeus e Giulietta e a cui Shakespeare si sarebbe ispirato per il suo celebre dramma. Nella provincia di Vicenza c’è una località che si chiama Montecchio, in cui si trovano due castelli – oggi chiamati Castelli di Giulietta e Romeo – che probabilmente ispirarono Da Porto per la sua novella.
Oltre ai numerosi palazzi privati, Palladio progettò numerose ville per l’aristocrazia locale, rivoluzionando, in un certo senso, il classico concetto di villa. Erano, infatti, non solo magnifici edifici signorili, ma dei veri e propri ambienti di lavoro, in cui l’eleganza doveva coniugarsi alla funzionalità.
foto: Serafina Santoliquido