Adorato da tutti, lodato e sopraffatto dagli ordini il geniale Raffaello dovette aprire un grande studio e assumere molti pittori, fra loro ci fu Giovanni Francesco Penni, detto il Fattore. L’apertura del laboratorio ebbe luogo negli anni 1514-1515 con un gruppo numeroso di artisti visto che in quel periodo Raffaello diresse i lavori di costruzione della Basilica di San Pietro, coprì la carica del conservatore delle antichità romane e decorò le stanze vaticane.
Gli apprendisti che aveva scelto furono pagati modestamente. Secondo Giorgio Vasari, l’autore delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori la maggior parte dei cartoni, cioè i disegni preparatori per gli arazzi per la Cappella Sistina, fu preparata da Giovanni Penni. Nelle botteghe rinascimentali e delle epoche successive funzionarono le condivisioni specifiche e i pittori spesso “si furono specializzati” in un dato campo. A volte succedeva che durante i lavori sugli affreschi uno era responsabile di dipingere gli elementi dell’architettura, un’altro le piante e qualcun altro i paesaggi sullo sfondo. Il concetto complessivo apparteneva invece al maestro. Oggi però i ricercatori non hanno dubbi quanto alla partecipazione degli apprendisti e degli assistenti assunti dal maestro. Nel caso delle opere di Raffaello, il gruppo dei suoi dipendenti fu completamente dominato e sottoposto al concetto principale. Secondo la narrazione di Vasari, Raffaello non ebbe nessun problema con la gestione dello studio e seppe instillare nei suoi apprendisti il principio di cooperazione armoniosa. Le parole di Vasari furono attestate anche dal testamento di Raffaello che morì giovane, a 37 anni, e che nominò Giulio Romano e Giovanni Francesco Penni come suoi successori e gli ordinò di completare i lavori iniziati in Vaticano. L’attaccamento al maestro si comprende dal fatto che nonostante la decorazione della Sala di Costantino commissionata a Raffaello non fosse stata completata, Giulio Romano e Giovanni Penni avviarono le discussioni preliminari e il papa Leone X diede loro l’incarico dei lavori che si svolsero negli anni 1520-1521. Dopo la morte improvvisa del papa, la decorazione della sala fu sospesa, ma dopo l’ascesa al trono di Clemente VII nel 1524, i due artisti portarono a termine l’opera secondo il disegno di Raffaello. In quel modo anche molti anni dopo la sua morte la bottega di Raffaello continuava a funzionare. Tuttavia, realizzare gli affreschi secondo il concetto di Raffaello fu un compito completamente diverso dal lavorare autonomamente. Giovanni Francesco Penni sviluppò il proprio stile di pittura e cominciò a creare dei dipinti che stilisticamente sono leggermente diversi da quelli di Raffaello, come le opere di Giulio Romano che però sono caratterizzate da una maggiore espressione dei personaggi e da una dinamica della composizione. Penni adottò l’aspetto statico delle Madonne di Raffaello e la mitezza dei gesti. Inoltre usò contorni dolci e colori chiari e luminosi. Rispetto ad alcune composizioni complesse di Raffaello o costruite su una figura triangolare, nei dipinti di Penni i personaggi sono posizionati in modo da riempire tutto il dipinto. Prese molto dal modo e dalle idee del suo maestro ma utilizzò il proprio concetto di colore, trasse ispirazione anche dagli altri artisti. I frammenti dell’architettura antica o lo sfondo scuro nella Sacra Famiglia con san Giovanni Battista (prima metà del secolo XVI, collezioni della galleria Borghese a Roma) fanno riferimento all’opera La Perla di Raffaello (circa 1518-1520, collezioni del Museo del Prado a Madrid).
I paesaggi sullo sfondo dei dipinti di Giovanni Penni rappresentano una chiara ispirazione dalla pittura dei grandi veneziani, con il cielo azzurro molto spesso coperto dalle nuvole, con le foglie degli alberi chiare e finemente dipinte, con le viste nebbiose delle città in lontananza. Nel dipinto delle collezioni polacche Sacra Famiglia con san Giovannino e santa Caterina d’Alessandria Giovanni Penni usò parzialmente l’idea del suo maestro. La Madonna col Bambino e san Giuseppe seduto sullo sfondo riproducono la composizione del dipinto Sacra Famiglia (1518, collezioni del museo del Louvre a Parigi). Le loro pose sono pressoché identiche. Il piccolo Gesù viene tirato fuori da Maria dalla culla che nel dipinto è rappresentata da un coperchio rovesciato di un sarcofago romano. Questo è un tema poco frequente nell’iconografia che però fu presente anche nelle opere di Raffaello. Il motivo dovrebbe essere spiegato come un rapporto simbolico fra l’antichità e il cristianesimo. I ricercatori spiegano che il sarcofago come un segno di morte diventa qui una culla della Nuova Vita. In aggiunta, il sarcofago fu decorato sul davanti con una vite che nel cristianesimo è stata letta come un simbolo del martirio di Cristo. Per terra, vicino alla culla c’è una stola che prevede un futuro lavoro di Gesù come insegnante e sacerdote. Nel dipinto c’è più simbolismo, perché anche i santi presentati sul lato sinistro, Caterina e il piccolo Giovanni Battista, fanno riferimento alla cristianità. Caterina, visto che era di discendenza reale, ha una corona sulla testa il cui aspetto può fare riferimento al martirio di Cristo, ma dietro lei si trova una ruota ovvero l’attributo del suo martirio. Il piccolo Giovanni Battista è stato presentato con una croce e fascetta con l’iscrizione “Ecce Magnus Domini” (Ecco l’Agnello di Dio) che prefigura la morte per martirio e la Redenzione. Ai piedi di Maria e Santa Caterina, tra le pietre, ci sono le conchiglie che indicano la purezza visto che nel Medioevo si credeva che fossero fecondate da rugiada, e questo fu identificato con l’immacolata concezione di Maria. Una conchiglia nel Medioevo significava anche una tomba nella quale i morti attendono la rinascita, come se fossero le perle. Tra le erbe verdi spuntano composizioni di foglie di color verde scuro a forma di cuore, probabilmente di violette che appartengono al simbolismo mariano nel contesto di umiltà della Vergine Maria.
La composizione che rappresenta la Madonna con Bambino accompagnata dai santi era molto comune, sia per quando riguarda la Sacra conversazione che le mistiche nozze. È interessante notare che Caterina d’Alessandria morì circa nel 300, cioè molti anni dopo la morte di Gesù. Nel Rinascimento, fu una santa cristiana eccezionalmente popolare. Secondo una leggenda la condanna a morte emessa dall’imperatore ebbe luogo dopo una disputa religiosa nella quale Caterina si mostrò più esperta di dozzine di saggi. Alcuni di loro furono convertiti al cristianesimo e l’imperatore la condannò a morte dopo tortura. La vita di Santa Caterina è documentata abbastanza modestamente. Secondo Jacopo da Varagine che fu il primo a menzionare le mistiche nozze, Caterina come una figlia reale d’Alessandria, il grande centro scientifico dell’antichità, diventò la sposa di Gesù in un monastero nel deserto dove l’aveva guidata un monaco. Prima fu battezzata e ad essere la madrina fu la Vergine Maria, e poi la futura santa ricevette un annello prezioso da Gesù. Tornò dal deserto ad Alessandria e cominciò a convertire la gente al cristianesimo. Morì martire, prima affamata, poi massacrata sulla ruota con le punte di ferro e alla fine fu decapitata. Fu nominata la patrona dei filosofi e degli scienziati e la “Leggenda d’Oro” di da Varagine è diventata un’ispirazione per gli artisti.
Le discussioni filosofiche guadagnarono popolarità nel Rinascimento quando furono tradotti gli antichi trattati e furono ascoltati i discorsi, tra l’altro durante il concilio di Firenze dal 1439.
Il filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletone tenne allora una serie di discorsi riguardanti Platone che interessarono Cosimo de’ Medici al punto tale che diventò un mecenate di Marsilio Ficino per gli studi sul filosofo. Alcuni anni dopo fu fondata l’Accademia neoplatonica che doveva continuare la tradizione dell’Accademia di Platone. Le idee della filosofi a antica furono quindi diffuse a Firenze e in tutta l’Italia e poi in quasi tutta l’Europa.
Il dipinto è un’opera interessante dal punto di vista della storia del collezionismo. Faceva parte di alcune delle più importanti collezioni principesche italiane, all’inizio dei Gonzaga da Mantova, poi acquistato dal re d’Inghilterra e Scozia Carlo I Stuart, uno dei più grandi collezionisti d’arte europei. Dopo il rovesciamento e la decapitazione del re nel XVII secolo un’enorme parte delle sue collezioni fu venduta. Il dipinto di Giovanni Penni passò all’arciduca austriaco Leopoldo Guglielmo. Dalle collezioni del cancelliere dell’imperatrice incoronata Maria Teresa, Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, lo acquistò la famiglia Potocki. In tal modo, il dipinto arrivò in terra polacca e oggi è esposto nella Galleria d’Arte Antica del Museo Nazionale di Varsavia.