Polonia ‘Paese senza crisi’ guarda a futuro con ottimismo

0
999

C’è chi a buon diritto lo definisce il Paese senza crisi, unica nazione mai entrata in recessione in Europa dal 2008 a oggi. C’è chi elenca una serie di dati, quelli della costante crescita del Pil – +2,6% (2009), +3,7% (2010), +4,8% (2011), +1,8% (2012), +1,7% (2013), +3,4% (2014), +3,3% previsto nel 2015. C’è chi lo indica semplicemente come l’esempio migliore di transizione verso democrazia ed economia di mercato, ricordando le condizioni di vita a inizio Anni Novanta. Qual è la via più adatta, per descrivere la Polonia di oggi? Forse quella, più semplice, di dipingerla come un Paese in movimento. Paese che, malgrado zone grigie – problemi di bassa natalità ed emigrazione, eccessiva dipendenza dell’export verso l’Eurozona, ipotesi di maggiore tassazione su banche e ipermercati e urgenza di mitigare l’utilizzo di carbone – continua a crescere. E migliora, anno dopo anno.

E’ questa l’impressione che comunicano oggi città come Varsavia, dove il passato, con il Palazzo della Cultura e della Scienza, poco gradito ‘regalo di Stalin’, fa da contraltare al presente di grattacieli, banche e centri commerciali. O di Katowice, città di 330 mila abitanti, al centro di una conglomerazione di oltre due milioni di persone, la più grande dell’Europa centrale. Al tempo del comunismo era regione di acciaierie e di miniere di carbone – ora settore critico del sistema, in profondo rosso – ma grazie al denaro affluito grazie a fondi Ue e investitori stranieri è diventato il cuore pulsante del settore ‘automotive’, di servizi e Information technology. E la stessa impressione di Paese che migliora senza scossoni e senza eccessivi rallentamenti la danno anche i dati macroeconomici. La Polonia, nel ‘best case scenario’, ossia con tassi di crescita quasi doppi rispetto all’attuale, entro il 2025 potrebbe superare “i livelli di Pil pro capite di Spagna, Italia e Portogallo”, ha previsto McKinsey&Company, mentre oggi è al 70% della media Ue. A cavallo della crisi, dal 2008 al 2014, l’economia polacca è tuttavia già cresciuta del 24% circa contro lo 0,7% di quella dell’Eurozona – nella quale Varsavia, dopo l’adesione Ue nel 2004, non ha alcuna fretta di entrare.

Nello stesso periodo i salari sono aumentati però solo del 18-20%, facendo crescere un sentimento di delusione che pervade alcuni strati della popolazione e che dovrebbe facilitare l’ulteriore virata a destra alle elezioni politiche del 25 ottobre, con il partito Diritto e Giustizia accreditato della vittoria. Ma la stabilità politica, a prescindere dall’esito delle urne, assieme quella economica non sono in discussione. Elementi che allettano gli investitori stranieri, italiani inclusi. E in Polonia non ci sono solo Fiat, Brembo, Indesit, Magneti Marelli, Finmeccanica e altre 1.500 imprese, ma anche “l’ingegnere che apre una pasticceria a Varsavia per vivere nel Paese dell’innamorata, il pizzaiolo o quello che vuole inaugurare un sexy-shop”, racconta il direttore dell’Agenzia Ice nella capitale polacca, Giuseppe Federico.

Alla fine, sono tutti attratti dal ‘boom’ in versione polacca. La ricetta di Varsavia? Non è segreta, ma applicarla lontano da qui sembra difficile. Fondi europei – oltre 100 miliardi quelli in arrivo tra il 2014 e il 2020, la Polonia è il maggior ricevente nell’Ue – che hanno trasformato e modernizzato il Paese nel corso dell’ultimo decennio e che sono stati utilizzati bene, con un assorbimento oltre il 90%. E investimenti esteri – 220 miliardi di euro dal 1990 al 2013. Investitori che “già hanno aiutato enormemente a diminuire la disoccupazione in Polonia”, oggi al 10% rispetto al 20% di 15 anni fa, rimarca Iwona Chojnowska-Haponik, direttrice del Dipartimento per gli investimenti stranieri della Polish Information and Foreign Investment Agency (Paiiz). Aziende che vengono attratte, fin dal 1996, anche e soprattutto dalla 14 Economiche speciali (Zes) – la cui esistenza è stata prolungata dal 2020 al 2026 perché vera ‘arma’ competitiva di Varsavia. Zes come quella di Katowice, cuore della Slesia e del settore automotive polacco, con in testa Fiat e General Motors-Opel.

Katowice che, come il Paese, è cambiata in meglio nell’ultimo decennio. In pieno centro, nell’area di una grande miniera dismessa, grazie a fondi europei è “stata costruita un’area per concerti per 1.800 persone, un museo, un centro-congressi, un’idea pazza, ma abbiamo avuto fortuna e nel 2011 tutti gli edifici sono stati terminati”, ricorda con orgoglio Piotr Uszok, presidente per 16 anni della città, dal 1998 al 2014, oggi consulente per gli investimenti all’attuale presidenza.

Ma la città è soprattutto un diffuso polo di imprese, dove operano colossi come Ibm, Capgemini, Ericsson, ma anche il gioiellino dell’automazione Aiut, con clienti come VW, Fiat, Opel, Siemens, Abb, Ikea, ArcelorMittal, Man, Shell, Bp.

“Quando l’impresa arriva nella Zes, viene esentata dall’income tax per un certo periodo. Per accedere all’incentivo deve però produrre profitti”, sintetizzano alla Ksse di Katowice, l’istituzione pubblica che si occupa di promuovere la zona speciale e di fornire assistenza alle imprese. Imprese che possono godere di sgravi sul reddito d’impresa del 25% se grandi, 35% per le medie, 45% per le piccole. In questo modo, si sono attratti, solo in Slesia, 5,2 miliardi di investimenti dal 1996. Al momento, le aziende presenti sono 250, quasi 60mila gli occupati, il 22,4% sono investimenti italiani. Imprese che sono incentivate naturalmente anche dal costo del lavoro. Nel 2013 era di 7,6 euro all’ora (Italia 28,1). Un operaio semplice guadagna oggi 435-700 euro, uno qualificato 550-750, un ingegnere 1000-2000. Ancora poco, rispetto a molti Paesi Ue, forse non in quella che è ormai saldamente la sesta economia europea. Una ‘Tigre’ che non ha perso gli artigli e che può guardare al futuro con ottimismo. (ANSA).