Oggi più che mai tentare di afferrare Milano in un’istantanea ha il sapore di un’ingenua velleità. La città lombarda non è nuova a un carattere ritroso, refrattario agli impeti definitori e alle inquadrature bidimensionali. Ma non è tutto: Milano sta cambiando e lo fa a un ritmo vorticoso. L’occhio dell’osservatore è attraversato dagli edifici che salgono, lo skyline si increspa e disegna a tratti rapidi le tappe di una trasformazione endemica.
Il monopolio dei cieli milanesi mantenuto per secoli dal Duomo, la meravigliosa e iconica cattedrale neo-gotica che troneggia sul centro, è ormai un miraggio, perduto nella nebbia e con la nebbia. Sfondata negli anni ’50 dalla stoccata del grattacielo Pirelli, affettuosamente ribattezzato Pirellone, oggi la linea d’orizzonte ospita le sagome dei tre giganti di Citylife: il Dritto, lo Storto (in via di ultimazione) e il Curvo (che gattona imperterrito in direzione più o meno verticale), dove l’ironia onomastica lombarda echeggia questa volta atmosfere da Spaghetti Western. L’area in questione, Citylife appunto, è il frutto di un progetto quasi decennale che chiama architetti di fama internazionale a ridisegnare il profilo della città. “Quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello, così splendido, così in pace” è ormai solleticato da una foresta avveniristica. Le tre costruzioni, ideate rispettivamente da Arata Isozaki, Zaha Hadid e Daniel Libeskind, lo stilo polacco nella creta dello skyline milanese, sono la punta (o piuttosto la testa tripunte) di un iceberg di ritrovato respiro internazionale che ha avuto il suo acceleratore nel 2015 con l’edizione milanese di Expo.
Va detto a tal proposito che la pianta di quella che era un tempo Mediolanum, nome antico che designava il piccolo borgo al centro della pianura Padana, si è colorita ultimamente di un numero notevole di edifici dal volto moderno e dal design ambizioso. A partire dalla suggestiva piazza Gae Aulenti che con la sua pianta circolare sopraelevata si colloca tra le spire di un circuito di palazzi da cui spicca la guglia affilata della Torre Unicredit, il grattacielo più alto d’Italia.
La piazza si offre a immagine della Milano che cambia, affacciando chi l’attraversa sul brulichio della “città che sale”. La vista spazia sulle Torri Garibaldi e gli adiacenti grattacieli del Bosco Verticale, il palazzo della giunta regionale lombarda, la Torre Galfa, la Torre Servizi Tecnici Comunali, il Grattacielo Pirelli, le torri residenziali Solaria, Solea, Aria e una porzione della Torre Diamante.
Una parentesi di meritato plauso al primo della classe: il Bosco Verticale è un complesso di due edifici residenziali a torre che costeggia il vecchio quartiere popolare di Isola, oggi amato dagli artisti, e si propone come esempio di un ambizioso tentativo di riforestazione urbana alla milanese… A detta del suo ideatore, Stefano Boeri, il progetto nasce infatti da un paradigma creativo (che è forse addirittura un carattere spirituale) tipicamente milanese e lombardo: il paradosso. La contraddizione visionaria del portare le radici a toccare i cieli. Sui prospetti che sporgono dai due palazzi sono distribuite niente meno di duemila entità arboree, tra arbusti e piante ad alto fusto, che a forza di fotosintesi hanno fruttato al Bosco il titolo assegnato dal Council on Tall Buildings and Urban Habitat di «grattacielo più bello e innovativo del mondo» nel 2015.
La doppia anima di Milano, con la sua natura tellurica, incarnata dalla tradizionale edilizia del mattone e delle forme massicce, idealmente sintetizzata da Sant’Ambrogio (la basilica è simbolo dell’identità milanese al punto che di “milanese” l’aggettivo “ambrosiano” è sinonimo da tempo immemorabile), e il suo slancio verso ambizioni metafisiche incanalato dal Duomo, è forse il filo rosso che unisce la città di ieri oggi e domani. Terra e cielo, e nel mezzo una città. La risposta dei lombardi ai grandi enigmi della Storia sembra l’apprendistato nell’umiltà terrigna, ad usufrutto di cantieri celesti.
Se è vero che l’anima sopravvive alla storia, e quella meneghina con particolare tenacia, permettetemi una retromarcia temporale nella Milano rinascimentale. Nella sede ducale degli Sforza trovò le risorse per la sua stagione piu creativa un forestiero di Vinci di nome Leonardo. Il rapporto tra l’artista e la città appare particolarmente significativo e l’atteggiamento di Leonardo verso le sfide del proprio tempo è emblematico dell’attitudine milanese.
Per le vie della città aleggia ancora la sua presenza, nell’eredità materiale dei prodotti d’arte e ingegneria qui compiutamente realizzati e nel testamento ideale.
Tecnica e visione: è la congiura vinciana e milanese all’arrembaggio del futuro. Nell’universalismo leonardesco, capace di tenere insieme arte, scienza, tecnologia si legge qualcosa dello spirito della città, dove bello, utile e nuovo trovano nel gesto lo spazio della convivenza piena e operosa. Il lavoro e la creazione sono la vera espressione del DNA milanese, che di una certa attitudine pratica ha fatto la propria bussola etica.
Sulle orme di Leonardo, la città rinascimentale riserva spunti sorprendenti. Il Cenacolo in Santa Maria delle Grazie è una delle opere più enigmatiche del maestro toscano, che cinque secoli e mezzo fa giungeva come musico alla corte del futuro duca Ludovico il Moro per lasciarla vent’anni più tardi da genio conclamato. Il dipinto, noto a tutti, è un patrimonio assoluto dell’umanità e una testimonianza curiosa dello sperimentalismo del suo autore. Il pigmento usato da Leonardo è infatti una miscela innovativa che negli anni ha esposto l’opera al serio rischio della consunzione. Del resto anche i migliori sbagliano, ma immaginarla come la goliardata di un vecchio sornione è una storyline decisamente più appetitosa. Meno noti gli affreschi nella Sala delle Assi all’interno del castello Sforzesco, il centro del potere ducale in epoca rinascimentale, una deliziosa decorazione parietale a tema bucolico. A proposito di Leonardo e pennelli, impossibile non citare la bellezza delicata e distante della Dama con l’Ermellino, ritratto dell’amante del Moro, Cecilia Gallerani, che dalla Lombardia ha imboccato la strada del Museo nazionale di Cracovia.
I rapporti tra Milano e Leonardo non smettono tuttora di regalare sorprese, persino ai più navigati. Una scoperta degli ultimi anni ha riconsegnato alla cittadinanza la cosiddetta Vigna di Leonardo, una piccola proprietà vinicola che il duca donò all’artista nel 1498, recentemente rimessa a regime. La vigna si trova a poca distanza dalla già citata Santa Maria delle Grazie, nel cortile della Casa degli Atellani, anch’essa visitabile. Qui il Maestro elaborò il monumento equestre a Francesco Sforza, di cui si conserva una riproduzione all’ippodromo cittadino, ricevette gli allievi, lavorò, mangiò, si riposò.
Non possiamo dimenticare di citare i Navigli nel nostro volo esplorativo dei lasciti vinciani. Questo complesso sistema di canali fu ideato fin dal Medioevo allo scopo di allacciare Milano ai fiumi Adda e Ticino aprendola a una rete di comunicazione commerciale fluviale e marittima. Leonardo vi intervenne progettando un sistema di chiuse che ovviava al problema del dislivello idrico nei punti di raccordo. Oggi sulle rive del Naviglio Grande e di
quello Pavese si svolge buona parte della movida milanese. L’area è pedonalizzata e pullula di locali notturni, birrerie, enoteche e ristoranti. Il quartiere è ricco di piccole botteghe, negozi e atelier di artisti, a tutti gli effetti uno degli angoli più pittoreschi e culturalmente interessanti della città.
I progetti delle chiuse dei Navigli sono oggi custoditi nel Codice Atlantico, la maggiore raccolta degli appunti di Leonardo, conservato nella Biblioteca Ambrosiana. A partire dagli schizzi recuperati da questa e altre fonti, il Museo della Scienza e della Tecnica ha ricavato modelli a grandezza naturale che danno corpo alle visioni ingegneristiche del Maestro offrendole al pubblico dei visitatori.
In una battuta, mai ringrazieremo abbastanza quel geniaccio di Leonardo, ma a mitigare l’immagine del fantasista solitario, rileviamo dal fondale la Milano sforzesca, un crogiolo di stimoli e fermenti culturali, patria adottiva di artisti del calibro di Donato Bramante. È suggestivo immaginare il gioco di reciproche influenze, ricordando gli studi di Leonardo sulla prospettiva torna in mente il finto coro di Santa Maria presso San Satiro, il capolavoro di pittura prospettica di Bramante a Milano. Non è peregrina l’ipotesi di alcuni che qui sia nata la maniera moderna. Oggi come allora il cuore della città batte al ritmo degli scalpelli forestieri, si plasma e cresce nell’ossigeno della modernità internazionale. Signori, è la città d’Italia! impastata di tradizione e proiettata verso il mondo, la città dalle tante variazioni. Respiratela da una terrazza, bevetela specchiata in uno Spritz, sbirciatela nei cortili. Milano sfida i cinque sensi, le quattro mura, i sei continenti… i sette mari (per ora) li lasciamo a Napoli.
foto: Catilina Sherman