El?bieta Piekacz
È sempre stato il mio sogno vedere Venezia durante il Carnevale. Vedere un posto di mille volti in maschera. Mi hanno ispirato le frasi che ho sentito nel passato che il Carnevale di Venezia è il maggior spettacolo teatrale nel mondo, in cui partecipano i residenti e gli ospiti e dove la storia è racchiusa nelle pietre, dove l’Oriente si scontra e si incontra con l’Occidente. È uno spettacolo, un’orgia di consumi, l’epoca della liberazione dalle regole e dalle convenzioni in cui tutti diventano uguali. Non si può resistere alla sensazione che, come nei film di Fellini, nelle strade e nelle piazze scorrono i sogni e le fantasie della vita più colorata.
Ricordo il viaggio in vaporetto. Sento che qualcosa dentro di me si apre, spariscono le limitazioni inutili… “Assorbo” l’odore di Venezia, i suoni di Venezia. Di nuovo sono “veneziana”!
Quando sono a Venezia mi perdo in continuazione. Non ha senso ricordarsi la strada. Ho l’impressione che appena mi giro le vie e i canali cambino. Ho l’impressione che l’unica soluzione sia arrendersi, “seguire la corrente” – “go with the flow”. Tutto mi sembra relativo, irreale, tutto sembra essere un riflesso, un’illusione.
Non riesco a trovare l’entrata all’ufficio stampa presso il ponte di Rialto. Chiedo le indicazioni ad un uomo incontrato per strada. Per sbaglio gli rispondo in polacco. Mówisz po polsku? sento. Frantisek è di Bratislava, fa da guida agli slovacchi per la Venezia. Ha imparato il polacco perchè adora il jazz polacco. È stato spesso in Polonia per assistere a dei concerti.
Arrivata all’ufficio stampa del Carnevale conosco Sebastiano. Ecco una nuova sorpresa. Sebastiano abita a Venezia e… a Varsavia. In polacco, ma con temperamento italiano, ricorda le interrelazioni italo-polacche iniziando da Copernico e Bologna fino a Bona Sforza e il Wawel. Gli chiedo come i veneziani festeggiano il carnevale. Mi guarda un momento e come un medico scrive su un foglio i nomi delle persone con cui dovrei incontrarmi: Beata e Matis.
“Le donne in Polonia arrivano in ritardo come le donne in Slovacchia?” ride Frantisek. “Che ore sono?” chiedo nell’ansia di fotografare Piazza di San Marco in cui si svolge il concorso della miglior maschera del Carnevale. Ho dimenticato che Venezia è fuori del tempo, che il Carnevale è fuori del tempo e che quando scatto le foto il tempo non esiste.
Andiamo al caffé “Brazylijska” per mangiare le prime frittelle, dolci di carnevale, di un sapore che richiama le ciambelle polacche e le sfogliatelle alla crema. In seguito andiamo al concerto alla Fenice, il teatro d’opera più conosciuto, fondato nel 1792. C’erano tanti compositori che hanno scritto le loro opere pensando appunto alla Fenice. L’ultimo incendio, avvenuto nel 1996, ha completamente distrutto l’interno del teatro che è stato interamente ricostruito.
Passiamo accanto al Museo Peggy Guggenheim, moglie e amante di tanti artisti conosciuti tra cui Samuel Beckett e Max Ernst. Frantisek mi racconta delle storie sui suoi figli-animali, che sono sepolti nel giardino del palazzo.
Non possiamo riscaldarci seduti alla tavola di Hemingway. Con sollievo chiudiamo la porta del Harry’s bar, dietro la quale rimane una sensazione di freddo. Troviamo un “nostro locale”. All’inizio il barista ha un approccio scettico, ma il nostro sincero entusiasmo con cui ordiniamo un “vino de casa” fa apparire un sorriso sulla sua faccia.
La mattina, guardando fuori dalla finestra, vedo la neve. Al momento non sapevo che nel corso dei seguenti giorni avrei sperimentato tutte le quattro stagioni come nei concerti di Vivaldi, che insegnava in un conservatorio di musica di Venezia presso un orfanotrofio. Ce n’è un musicista o un artista che non è stato a Venezia? Per i veneziani la meravigliosità dell’arte è stato sempre un simbolo della forza della città. Comunque è difficile per me immaginare di vivere e di creare in un posto in cui sembra che tutto sia già stato detto, in un posto che incanta con la sua perfezione e bellezza.
Secondo Matteo, il marito di Beata, Venezia non fa parte dell’Italia. Stiamo nella reception dell’albergo in cui Matteo lavora alle Fondamenta Nuove. Per oltre mille anni (726 – 1797) Venezia è stata la capitale dell’indipendente Serenissima Repubblica di Venezia, che era una delle maggiori potenze marinare e commerciali del Mar Mediterraneo. Questa città-stato creata su modello delle polis greche e abitata da italiani, greci e slavi, era cosmopolita, ci regnava la libertà religiosa e il suo governo era repubblicano. Venezia è stata la repubblica più longeva della storia. Solo nel XIX secolo Venezia ha cominciato a far parte del Regno d’Italia. “Se vuoi vedere la vera Venezia devi venire alla manifestazione alle Zattere”, mi ha detto Matteo.
Beata arriva in ritardo. È andata a fare la visita al padre che sta in un ospedale. “Adesso va bene – dice – ma la notte scorsa ho avuto tanta paura. Ho chiesto al suo spirito di ritornare nel corpo. Gli ho chiesto di non farmelo, non a Venezia.” Beata ha scritto una lettera indirizzata ad un giornale locale. Nella lettera ringrazia i medici dell’Ospedale Civile che hanno salvato la vita a suo padre.
Uscendo insieme con Matis, è come con Beata, ho l’impressione di conoscerlo da sempre. Non sono sicura se il suo vestito è un costume di carnevale. A quanto pare il suo quotidiano “vintage style” è nato a base di cravatte, comprate a buon mercato ancora in Polonia, nei negozi second hand. Abbiamo un approccio simile alla bellezza, che viene trattata come una filosofia. Ritornano a me le parole di Kahil Gibran: “Viviamo solo per scoprire nuova bellezza. Tutto il resto è una forma di attesa”. “Devo concludere alcune cose a Venezia ma mi sento già pronto a ripartire. Forse Parigi..?” pensa Matis ad alta voce. “Vivono sempre pronti a trasferirsi in un altro posto, si sentono cittadini di Europa” leggo in seguito tale frase in un articolo di Sebastiano.
Tutto il giorno modifico le foto della manifestazione alle Zatterre. È stata una protesta contro le navi grandi che entrano nel cuore della città. L’inquinamento distrugge i monumenti e le navi pericolosamente aumentano il livello d’acqua. Si attende il passaggio della nave e quando arriva fischi, striscioni e pollici indirizzati verso il basso. È stato un momento toccante in cui insieme con Matteo, Beata e altri manifestanti mi sono sentita parte di Venezia. Mi sono sentita responsabile per questa città, per la sua bellezza fragile.
La sera, malgrado il rifiuto ufficiale della Fenice, a causa del numero limitato dei posti per i media e la presentazione tardiva della domanda, vesto un mantello e una maschera e vado per amor di pace a controllare se non sarei riuscita ad entrare e fotografare uno dei balli veneziani più conosciuti.
Scatto le foto di riflesso nello specchio e già vedo la porta che sta per chiudersi quando mi viene in mente il motto del Carnevale di quest’anno: “La vita è teatro. Tutti in maschera!” tradotto in polacco “Evviva il ballo” e rischio di saltare sul treno… E ci riesco. All’improvviso mi trovo tra dorature, champagne, maschere, costumi di seta, e l’assegnazione dei premi Cavalchina Awards, nivei cavalli e il dolce canto di Jose Carreras.