Emanuele Cerquiglini in arte Emanuele Cerman, è autore, attore teatrale cinematografico e televisivo (“Romanzo Criminale 2”, “Don Matteo 8”, “Cronaca di un assurdo normale”, “Bad brains”, “The wrtah of the crows”), regista romano (“In nomine Satan”, “Decanter”, “Welcome to Italy”, “Tenebrae facte sunt”) impegnato civilmente soprattutto nei temi riguardanti la situazione del cinema indipendente italiano e uno tra i fondatori di ‘indicinema’. Insieme a me al caffè in zona San Pietro parla di teatro, del suo ultimo film ispirato al caso di cronaca nera delle “bestie di Satana”, sulla realtà culturale/cinematografica italiana e sui suoi progetti ‘senza frontiere’ con uno sguardo sognante verso la Polonia.
Regista televisivo, cinematografico e teatrale, autore dei testi, sceneggiatore, attore. Quale di questi ruoli ti da più soddisfazione e perché?
“Essere eclettici in Italia non è visto di buon occhio, soprattutto se a quanto già da te elencato, aggiungiamo il fatto che ho co-prodotto alcuni film indipendenti e che ho montato diversi cortometraggi, un programma televisivo e anche il mio ultimo film. Principalmente mi definisco un autore. Ho sempre scritto nella mia vita e questo credo abbia permesso l’evolversi naturale della mia carriera di attore in quella di regista”.
La tua formazione, in maggior parte teatrale da attore, sul metodo Stanislavsky-Strasberg come ha influenzato te come artista/regista di oggi? Ce la puoi spiegare, in cosa consisteva?
“Non ho mai incontrato nelle scuole che ho frequentato insegnanti che ritenessi dei maestri assoluti, ma semplicemente dei bravi insegnanti. Il metodo Stanislavsky-Strasberg mi è stato utile per educare il mio percorso interiore nella costruzione visibile dei personaggi, ma come per qualsiasi altra tecnica, ho preso quello che mi interessava e l’ho fatto mio, senza assecondare falsi dogmi. L’unico e vero maestro è stato il lavoro. Ho avuto la fortuna di farmi le ossa da giovanissimo nel cinema indie con ruoli da protagonista. In quei set non si scherza e un attore non può avere certo il carattere di un “divetto” viziato del piccolo schermo. Ricordo che quando era necessario dovevo aiutare come macchinista, subito prima di interpretare la mia scena e sia gli sforzi fisici e sia quelli di concentrazione mentale, hanno accelerato la mia capacità di esecuzione nel trovare o ritrovare subito il personaggio. Contemporaneamente da giovanissimo ero spesso in scena in teatro. Lavoravo in compagnie composte da attori comici importanti, e autori di livello, alternavo le commedie al teatro sperimentale e contemporaneo, calpestando tanta polvere specialmente nei teatri off di Roma. Mi è stato utile saper bilanciare la capacità innata di far ridere con il mio demone interiore, in modo da sapermi spostare con facilità tra la commedia e il dramma. Se come attore amavo sentire la risata del pubblico, come regista e autore prediligo dare vita ad opere di impatto emotivo più forte, creando situazioni che lasciano talvolta lo spettatore muto, avvolto in un clima sospeso. Uno delle motivazioni che mi spinge a fare cinema è quella dell’esperienza, preferisco evitare quei film che appena finisci di vederli pensi subito ad altro. La società sembra imporre l’assenza dell’esperienza e quindi della conoscenza. Pensiamo di fare tante cose, tutte insieme e in realtà non stiamo facendo nulla che contribuisca alla nostra crescita, alla nostra evoluzione. Essere “multi-tasking ”, significa non distinguere tra attenzione e concentrazione, tra ascoltare e sentire, guardare e osservare. Vorrei poter migliorarmi e arrivare a fare un cinema che fosse capace di creare un’ esperienza che ha bisogno del suo tempo per essere digerita e assimilata”.
L’anno 2012 e 2013 sono degli anni sotto segno di Satana per te. Ovviamente intendo il tuo film “In Nomine Satana”, prodotto da PokerEntertainment e Timeline, ispirato ad una storia vera secondo il testo inizialmente scritto per la televisione da Stefano Calvagna e che tu hai riadattato per il cinema, che dopo essere stato in concorso ufficiale al Riff Festival 2012, si prepara ad uscire nei cinema italiani. Come mai questa tematica? Come potresti spiegare il fenomeno di satanismo, perché è così vivo negli ultimi anni in Italia? Esiste un ‘antidotum’?
“Il film dovrebbe uscire il prossimo autunno, è un film indie, girato in condizioni estreme: solo 10 giorni di riprese, un budget inferiore circa dieci volte al costo di un cortometraggio francese. Un film che è stata una sfida da ogni punto di vista. L’argomento non l’ho scelto, ero stato chiamato come attore ad interpretare un ruolo, il film lo avrebbe dovuto dirigere Stefano Calvagna, io in quel periodo stavo scrivendo un altro film. A soli cinque giorni dalle riprese Stefano ha avuto un problema di salute che non gli avrebbe permesso di seguire le riprese del film con la dovuta attenzione e la sufficiente energia fisica, così ha detto in una riunione con tutti i reparti e il cast, che avrebbe voluto lo sostituissi io alla regia. La cosa è andata bene a tutti, compreso anche il principale finanziatore del film: Mattia Mor. Io avevo davanti un amico che mi chiedeva di sostituirlo, col rischio che se avessi detto no, tutte le persone chiamate a lavorare sarebbero state mandate a casa con un: ‘ci dispiace ma il film per ora non parte’. Ho accettato la proposta consapevole che mi sarei messo in un mare di guai, ma anche che avrei dato il massimo per realizzare il film. Ho chiesto libertà di mettere le mani sulla sceneggiatura, e ho cambiato alcune cose perché mi sembrava troppo televisiva, ma in cinque giorni fare miracoli era impossibile, inoltre volevo dare alla storia e alla vicenda il mio punto di vista utilizzando il simbolismo e inserendo alcune situazioni e personaggi non scritti nella stesura che avevo avuto modo di studiare quando dovevo recitare uno dei ruoli. In quei cinque giorni, avrò dormito 3 ore a notte, dovevo aggiustare la sceneggiatura, conoscere il cast, assicurarmi alcuni attori all’altezza di certe scene molto difficili e anche interagire con tutto il reparto produzione per conoscere le location e capire come girare. Una follia se ci ripenso, non so come sia riuscito a tenere fisicamente nei successivi dieci giorni di riprese, ma sono certo che la voglia di molti sul set di partecipare ad un miracolo creativo mi abbia dato una spinta formidabile ed in questo devo dire il reparto fotografia è stato esemplare. Ho trovato un d.o.p. che capendo le difficoltà che avrebbero immobilizzato molti registi inesperti o viziati, vedendomi sereno ha rinunciato egli stesso a lavorare su una base meramente tecnica per assecondare un lavoro di sperimentazione e improvvisazione artistica sulla base del materiale umano che avevamo a disposizione. In questo clima il lavoro precedente fatto con alcuni attori da Francesca Viscardi come coach è stato utile al mio lavoro di regista che adora lavorare con gli attori. Sono riuscito ad amalgamare alcuni attori che ho voluto in ruoli strategici con altri che non conoscevo ma ben preparati e pronti ad entrare nelle corde emotive che ritenevo necessarie, e soprattutto a far diminuire i pericoli di non credibilità che alcuni attori acerbi, già scelti precedentemente prima che fossi chiamato a dirigere il film, avrebbero altrimenti creato se non avessero interagito in un clima di creatività dove i più esperti aiutavano quelli meno a salire di livello. Posso dire quindi, che’l’ascolto’ ha funzionato. La tematica del film era molto delicata, del caso delle ‘bestie di Satana’ si è parlato e si parla ancora. Non tutta la verità è venuta fuori e individuare colpevoli ed innocenti non è affatto facile se si decide di non guardare le cose con superficialità. Girando avevo una grande responsabilità, perché il film si ispirava a fatti reali, i più cruenti in Italia dal dopo guerra ad oggi. Immaginavo il dolore celato nel cuore dei genitori di quei ragazzi, immaginavo quello dei ragazzi nelle celle, le motivazioni che li aveva spinti ad agire, le responsabilità della società, i possibili misteri non svelati dietro la setta stessa, l’inganno del dualismo. Le sette a sfondo satanico sono un fenomeno in crescita, la maggior parte sono innocue altre possono essere pericolose, rarissime quelle forse controllate da devianze massoniche, certamente le più pericolose, perché chi ne fa parte potrebbe essere soggetto a controllo mentale. Le cause principale della nascita di questo fenomeno ritengo siano due: la mancanza di cultura e di luoghi di cultura nelle province o nelle periferie “cementificate” sul degrado, e le sperimentazioni di un qualche potere oscuro spesso legato alla massoneria deviata per fini che non ci è dato conoscere, ma che potrebbero anche talvolta influenzare il futuro di molti se non di un intero paese, ma questo argomento può essere tanto affascinante e veritiero, come meramente fantastico. Ritengo che il culto del diavolo come semplice contrapposizione a dio, sia la conseguenza di un manifesto ben impresso per tenere il popolo nell’ignoranza, allo stesso modo credo che certi fenomeni esistano, che gli esorcismi siano necessari se la decodificazione culturale della vittima è su quella linea d’onda che prevede un certo tipo di intervento per guarire e salvarsi”.
La tua perspettiva lavorativa è internazionale, globale. So che hai già lavorato su un set internazionali in inglese con i registi stranieri e hai vinto dei premi. Raccontaci di queste esperienze e svelaci un tuo prossimo progetto internazional, se ce ne hai uno. Su che cosa parlerà, dove vorresti girarlo, con chi?
“Le esperienze internazionali sono avvenute tutte come attore. L’ultimo film che ho girato con Ivan Zuccon verrà presentato a Los Angeles tra pochi mesi, si intitola’The wrath of the crows’, è un horror molto duro e fuori dai canoni. In quel set ho avuto il piacere di lavorare con tanti bravissimi attori provenienti da vari paesi e con due scream-queen del calibro di Debbie Rochon e Tiffany Shepis. Il prossimo passo vorrei affrontarlo da regista o alcuni soggetti da far visionare a produttori stranieri sia cinematografici che una serie televisiva davvero agghiacciante e grottesca di cui ho scritto la puntata pilota. Nel cassetto tengo sempre ‘So that tomorrow no one will remember’ scritto da Alberto Manca e tratto dal suo romanzo, che vorrei riadattare per una versione cinematografica internazionale. Una storia dalle atmosfere Kafkiane e Orwelliane che girerei volentieri in Europa, magari a Varsavia”.
Varsavia, davvero? Che onore! Come mai sceglieresti la Polonia?
“Varsavia come Cracovia sono città splendide, con diverse influenze architettoniche, dove potrei raccontare molte storie. La Polonia ha una tradizione teatrale importante e ha avuto personalità straordinarie come Jerzy Grotowski. La gente che ho incontrato per strada mi ha dato piacevoli sensazioni. Mi troverei bene a lavorare con attori e tecnici polacchi, dobbiamo solo trovare un produttore polacco interessato a produrre una mia opera allora!