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Fermarsi un momento e porsi una domanda

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Diana Golec

Per i cristiani è arrivato ancora una volta il periodo della Quaresima che precede la Pasqua. La sequenza di questi periodi non è certamente casuale: bisogna infatti giungere alla purificazione dello spirito per poter giungere al trionfo della risurrezione, anche se a volte può succedere di perdere di vista questo obiettivo! Essere così immersi negli impegni della quotidianità ci fa entrare nel periodo quaresimale in modo frettoloso e quindi spesso senza la dovuta attenzione. Gravati da innumerevoli attività che ci impongono l’imperativo “devo farlo” o “devo finirlo in tempo”, fissiamo dei propositi quaresimali poco ponderati, mirati in un certo senso più a metterci in pace la coscienza che a uno sviluppo della nostra spiritualità. Questi propositi sono spesso superficiali e superati, non sono congruenti alla fase attuale del cammino spirituale in cui ci troviamo, a volte sono echi della nostra infanzia. Ed è proprio in una simile situazione che si rende necessario fare dei cambiamenti.

Tutti noi sappiamo che una macchina molto veloce diventa pericolosa senza dei freni adeguati, e lo stesso accade con la nostra vita che procede freneticamente e che, se sprovvista di momenti di riflessione, rischia di farci perdere il controllo su di essa. E’ per questo motivo che la liturgia della Chiesa invita a vivere 40 giorni di preparazione alla Pasqua. È necessario quindi fermarsi e porsi una domanda: cosa di buono dovrà germogliare e crescere in noi durante questo periodo?

Non vi è alcun dubbio che l’astenersi dal mangiare dolci o dal bere alcolici durante la Quaresima contribuisca a formare un carattere forte, supportando la capacità di autocontrollo; ma siamo certi che sia proprio quello che vuole Gesù, che nel Vangelo invita al digiuno, all’elemosina e alla preghiera? Non sarebbe forse meglio fare una profonda introspezione, ammettendo le nostre debolezze e riflettendo sui misteri della fede in questo periodo così speciale?

Questo non è un compito facile. Inizialmente può nascere in noi il pensiero secondo cui ci sono già state molte prove volte a migliorare tutto ciò in cui la nostra anima è debole, prove che però non hanno avuto apparentemente alcun effetto. Si tratta di una tentazione che va sconfitta, stando attenti a non caderci nuovamente quando la realtà grigia e frettolosa limiterà i nostri momenti di riflessione sulla realizzazione dei nostri progetti spirituali. Può sopraggiungere quindi la voglia di scoraggiarsi e trovare conforto nel mondo delle fugaci superficialità. Dio desidera invece da parte nostra uno sforzo per raggiungere l’obiettivo che ci eravamo prefissati all’inizio del periodo quaresimale. Per Lui è importante sapere che i suoi figli provano a migliorarsi, non che ci riescano, perché sa che per loro arriverà il momento dell’elevazione dello spirito.

A tal proposito, è molto interessante la trama del racconto “Il leone, la strega e l’armadio” di C.S. Lewis, che ci mostra lo sforzo dei quattro fratelli Pevensie per ristabilire l’armonia e la pace nel regno di Narnia. I bambini si trovano ad affrontare il tradimento di uno di loro, ma devono anche battere una strega, così potente e astuta che nemmeno gli sforzi dei personaggi sono sufficienti a sconfiggerla. Riescono finalmente a vincere con l’aiuto del leone Aslan che decide di sacrificare la propria vita per redimere la colpa del traditore. L’animale muore ma con l’arrivo dell’alba avviene un miracolo, visto che l’animale, attraverso un’antica magia, torna in vita e alla fine sconfigge la strega.

La morte e la vita sono divise da un’enorme voragine che per essere superata dall’uomo necessita di un pesach (che in ebraico significa “passaggio”), lo stesso seguito da Gesù, che ne è diventato emblematicamente il ponte: questo è il vero significato della risurrezione! È stato il sacrificio di Dio che ha sacrificato se stesso per vincere il peccato e la morte e, nel contempo, ha dato un senso agli sforzi degli uomini nel loro cammino verso il bene.

La forza dell’amore di Dio dà speranza a tutti e, anche se spesso non è possibile vederne gli effetti nella nostra lotta contro il male, bisogna aver fede perché alla fine il nostro impegno sarà premiato in maniera similie a quella dei protagonisti del racconto “Narnia”. Riceveremo in premio l’accesso ad una terra eterna e bellissima.

 

Carnevale di Viareggio

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Eric Matteucci

Cari amici Italiani di Polonia, grazie alla Gazzetta Italia e al suo collaboratore Enrico Buscema ho  l’opportunità di parlare di Viareggio, bellissima città balneare sul litorale toscano, ma conosciuta in tutto il mondo per il suo maestoso Carnevale, che quest’anno ha festeggiato il suo 140° anniversario. La nostra manifestazione si è affermata nel tempo grazie ai maestri della cartapesta viareggini, che sono riconosciuti come forse i migliori del mondo nella costruzione di carri che superano i venti metri, arrivando fino ai trenta metri di altezza. La satira sui vari argomenti della società è l’elemento che aggiunge cultura a questi giganti di cartapesta, come vengono definiti questi carri armoniosi con il loro movimento. Cento, duecentomila persone durante le magiche sfilate sul lungomare, con un panorama unico nel suo genere… Il mare da una parte e, a pochi passi, uno spettacolo di colore e di allegria che, pure con il freddo dell’inverno, riscalda ogni cuore. Il carnevale a Viareggio è nel sangue e nel dna dei suoi abitanti, si aspetta tutto l’anno questo grande evento, orgoglio di tutta una città. Invito voi tutti in Polonia a programmare prima o poi un viaggio nella nostra città accogliente, perla del Tirreno e regina del carnevale d’Italia e d’Europa.

Colgo anche l’occasione di ringraziare quella signora che ha inviato la canzone composta da me “Viareggio è magica” sul vostro sito, che ha permesso questo casuale incontro con Enrico Buscema e che mi ha contattato tramite Facebook.

“Viareggio è magica” ha fatto una vera magia. Fare conoscere il carnevale di Viareggio grazie ad una canzone rende orgoglioso non soltanto chi la scrive, ma anche chi la canta: Egisto Olivi, Silvia Barbieri, Dino Mancino (famoso per il suo tour con Giorgio Panariello e diverse esibizioni con Zucchero), Simon Luca Ciffa alla chitarra e basso. Da parte di tutti noi un grazie enorme a tutti voi!

Un abbraccio che unisce  Viareggio e Varsavia!

Link di tele Versilia per la diretta on line: http://www.reteversilianews.com/.

Michał Archanioł

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SCENA W JEDNYM AKCIE: Znajdujemy się w dowolnym miejscu w naszych czasach. Archanioł Michał jest ubrany jak jeden z nas. Siedzi za stołem, na którym rozłożone są jego atrybuty. Zwraca się do obecnej publiczności, zebranej by wysłuchać jego słów.

MICHAŁ: (W sposób kolokwialny, tak, jakby rozmawiał z przyjaciółmi). Nawet my Anioły, nie uwierzycie, nawet my odczuwamy potrzebę komunikacji z wami, śmiertelnikami, tak jak wy komunikujecie się między sobą; tak samo jak Chrystus, Maryja Dziewica, Święci, którzy często ukazywali się tu na ziemi. Ale wy powiecie: „Oni, tak jak my, urodzili się i żyli tu na ziemi! Natomiast jak to możliwe, że Ty, który masz niebiańskie korzenie, jesteś tu, pośród nas?” (Z naciskiem) Uwielbiam się objawiać! Dzięki Bogu, objawiałem się w przeszłości, objawiam się i będę się jeszcze objawiał! Chociaż nie zbuntowałem się przeciw Bogu, tak jak niektórzy, ja także czuję się, w pewien sposób, zbuntowanym Aniołem. Zbuntowanym wobec mojej natury, a nie Boga, oczywiście. Chociaż szczerze mówiąc, bardziej niż „zbuntowany”, powinienem określać się jako niespokojny, ciekawy, spragniony przebywania między wami, którzy, zresztą, tak jak ja jesteście boskimi stworzeniami. Nawet jeśli jestem stworzony bardziej z ducha, niż z materii, a wy bardziej z materii, niż z ducha, to i tak martwię się o wasze życie i o wasz los. Zatem ujawniam się wszystkim, w mojej prawdziwej postaci. Pozostali Aniołowie, generalnie, mogą objawiać się tylko mistycznym i ukazują się pod ludzkimi postaciami: jako biedacy, pielgrzymi, goście, posłańcy. Ich obecność często jest ujawniana poprzez pieśni, muzykę z innego wymiaru lub rajskie zapachy. A potem znikają w mgnieniu oka, dlatego też ten, kto ma wizje, przeżywa je jako tajemnicze objawienia, nawet jeśli w pewien sposób są one realne; oczywiście, nie przynależą one do tego świata. (Przerwa). Dla mnie ciało, jest jak dla was ubranie! (Przerwa).

Pierwszym miejscem, w którym się ukazałem dobre cztery razy, było Monte Drion; trzy razy w V wieku i jeszcze raz w XVI wieku na antycznej ziemi Dauni w Apulii. Moje pierwsze objawienie się miało miejsce w 490 roku, na górzystym przylądku, niedaleko od miast Arpi i Siponto w Apulii, dzisiaj nazywanym Gargano. W dominiach ludu bizantyjskiego, sukcesywnie pokonywanego przez Longobardów, gdzie przed nadejściem Chrystusa, powstała pogańska świątynia, poświęcona jasnowidzowi Clacante, wyznawcy Apollina i lekarzowi Podalirio, synowi Eskulapa.

Już ósmego maja, tego samego roku, z wysoka dostrzegłem ten górzysty obszar, pełen uskoków, z tysiącem źródeł krystalicznie czystej wody, pokryty częściowo lasami zamieszkałymi przez przeróżne zwierzęta, ale przede wszystkim bogaty w winorośle, oliwki i zboże na stokach rozciągających się do równiny Siponto, graniczącej z morzem. Była to sceneria, która przypominała mi Ziemię Obiecaną, bogatą we wszelkie Boże dobra, posiadającą wszystko to, czego człowiek potrzebuje, by się pożywić: chleb, wodę, wino, oliwę, zwierzynę, ryby, sól, a także dodatkowo wspaniałą glinę i ogień. O tej porze roku góra, z wielkimi, wapiennymi grotami, była, z kolei, pokryta śniegiem. Opuściłem się z nieba pokrytego białymi chmurami, ubrany na biało, z moimi trzema atrybutami: skrzydłami, także białymi, oraz błyszczącymi szpadą i wagą; spowity mocnym, białym światłem. My anioły jesteśmy w szczególności zafascynowani kolorem białym. Także nasze łąki w Raju są bezkresnym kobiercem białych kwiatów. Wówczas, tam w górze, na szczycie zdarzyło się tak, że pewien wolarz o imieniu Gargano, miał problem ze swoim bykiem, dlatego chciał go zabić i zamierzał cisnąć w niego strzałę. Zaanonsowany przez bardzo silny wiatr, natychmiast zainterweniowałem w obronie zwierzęcia, które szło do wnętrza groty szukając schronienia i starając się, by nie dosięgła go strzała. Ukazałem się potem we śnie Biskupowi Siponto i powiedziałem mu: „ja jestem Archanioł Michał. W waszych stronach nie będzie już nigdy więcej rozlewu zwierzęcej krwi”. Opowiedziałem mu o całym zdarzeniu. Biskup, poruszony, zwołał lud, po to by poprowadzić procesję na tę górę. Kiedy tłum zdołał rozpoznać jaskinię i do niej wejść, znalazł, z wielkim zdziwieniem, kamienny ołtarz z drewnianym krzyżem, ozdobiony liturgicznymi szatami, i ślad mojej stopy, odciśnięty na kamiennej posadzce. To ja przygotowałem i ułożyłem wszystko z dużą starannością. Pomimo mojego stanu nieważkości, pozostawienie odcisku stopy nie było takie trudne, ponieważ w tamtym czasie, ta biała skała była krucha i zakurzona jak kreda.

Dwa lata później, po raz drugi ukazałem się we śnie Biskupowi Siponto, miasta wówczas oblężonego przez Herulów. Poinformowałem go, że następnego dnia najeźdźcy uciekną, zaatakowani przez najstraszliwszą z burz. Gdy rzeczywiście tak się stało, biskup z wdzięczności rozkazał, aby nad grotą został wzniesiony kościół ku mojej czci. Rok później, 29 września, powróciłem na ziemię i znów ukazując się biskupowi wyszczególniłem: „tam, gdzie otworzyła się skała, grzech ludzki zostanie przebaczony. A to, o co poprosicie w modlitwie, zostanie wam przyznane”. Potem dodałem: “teraz ta grota, z kościołem powyżej, jest dla mnie święta i ja sam już ją konsekrowałem”. Postępując w ten sposób ustanowiłem, że kościół ten będzie powszechnie uważany za pierwszą i jedyną Niebiańską Bazylikę na świecie, przeze mnie samego pobłogosławioną.

Kolejne moje objawienie się na Gargano będzie miało miejsce w 1656 roku, aby pokonać dżumę. To właśnie wtedy dokonałem mojego pierwszego prawdziwego cudu, który następnie został nagłośniony przez lud na całym świecie! Zobaczcie, nawet dzisiaj, na moim pomniku został przytoczony napis: “Dla Księcia Aniołów, zwycięzcy dżumy, patrona i stróża, pomnik wiecznej wdzięczności”.

Drugim miejscem, w którym się objawiłem był Monte Aureo, w VI wieku, w okolicach Neapolu. Ukazałem się wtedy biskupowi Stabii, któremu towarzyszył pewien przeor. Poprosiłem go, aby wybudował na tej górze sanktuarium mojego imienia, a on od razu posłuchał.

Trzecim miejscem, w którym się ukazałem był Rzym w VI wieku. Tym razem objawiłem się papieżowi. Moje ukazanie się miało miejsce nad Mole Adriana, w akcie schowania miecza (Wykonuje gest). Tym gestem zamierzałem obwieścić także tam koniec dżumy, która nękała miasto. Oto wówczas papież, po tym cudzie, zdecyduje się zmienić nazwę Mauzoleum Adriano oraz Mole Adriana na Zamek Świętego Anioła.

Czwartym miejscem, w którym się objawiłem, była Pawia. Ukazałem się tam w VII wieku, w miejscu gdzie wznosiła się Kaplica Pałacu Królewskiego, aby odpowiedzieć na prośbę księcia longobardzkiego, który prosił o pomoc w zwyciężeniu Bizantyjczyków w bitwie w 663 roku. Dzięki mojemu wstawiennictwu, książę odniósł zwycięstwo.

Piątym miejscem, w którym się ukazałem, było Mont-Tombe w 708 roku we Francji, w Normandii, wobec biskupa Avranches. Jemu objawiłem się we śnie trzy razy, pytając, czy mógłby wybudować w skale kościół ku mojej czci. Biskup dwa razy zignorował moją prośbę. Tak więc za trzecim razem stworzyłem otwór w jego czaszce, przyciskając mój rozżarzony palec do jego czoła, nie zabijając go. Przestraszony, natychmiast nakazał wybudować Oratorium w skale, w miejscu, gdzie się ukazałem. Od tamtej pory, góra ta była nazywana Mont-Saint-Michel (wzgórze Św. Michała) z dodatkiem “au-péril-de-la-mer” („w niebezpiecznym morzu”), biorąc pod uwagę wyjątkowe zjawisko przypływów i odpływów, które występowało cyklicznie na tamtym obszarze.

Wreszcie szóstym miejscem, w którym się ukazałem było Monte Pirchiriano, w X wieku, w dolinie Susy, w obecności biskupa pustelnika. Także w tym przypadku naciskałem na niego, aby wybudował kościół na moją cześć. I on to uczynił, mimo że był zmuszony wybudować kościół z drewna, ze względu na trudności z pozyskaniem kamienia w tamtej okolicy. Oto widzicie jestem ja, na dobre i na złe! (Wskazuje na siebie). A moje imię to Mi-ka-el, czyli „Któż jak Bóg”; jestem jedynym istniejącym do dziś archaniołem. Początkowo było nas dwóch, którzy mieli zarządzać niebiosami, Lucyfer i ja.

Natomiast Gabriel i Rafael byli tylko aniołami, takimi jak wszystkie inne anioły, nawet jeśli ich imiona oznaczają odpowiednio „siła Boga” i „ lekarstwo Boga”; a także pomimo faktu, że pierwszy dostał od Pana ten przywilej skontaktowania się na ziemi z Maryją Dziewicą, a drugi z pisarzem Tobiaszem. (Przerwa) Widzicie? To są niektóre z moich atrybutów. (Bierze przedmioty jeden po drugim i je pokazuje) Szpada, którą przegnałem i nadal wypędzam z raju anioły zbuntowane przeciw Bogu, czyli demony, zrzucając ich na ziemię, między was. To ta sama szpada, którą zwyciężyłem drugiego archanioła, Lucyfera, „Niosącego światło”, który dzisiaj nazywany jest Szatanem, „Księciem Ciemności”, Diabłem, „Tym, który dzieli”, Belzebubem, „Władcą much”,… Mefistofelesem,… Belfagorem. Krótko mówiąc, tym mieczem obroniłem i będę bronił, aż do końca świata, dobra od ciągłych podstępów zła. Skrzydeł używam, ponieważ jako wysłannik Boga, muszę często pokonywać duże odległości. Waga do odmierzania dobrych uczynków ma ostatecznie funkcję podwójnej włóczni, trochę tak jak dla Psychopompa, czy dla Merkurego, służy wpierw do pchnięcia, a następnie do zważenia dusz, które po śmierci opuściły swoje ciała i które mają zostać poddane osądowi Bożemu. (Długa przerwa). Z resztą również i ja posiadam fizyczność, ale oczywiście nie taką jak ta wasza. Nie jestem stworzony jedynie z ducha! Wierzę, że podczas moich objawień na ziemi, pozostawiłem konkretne znaki swojego istnienia. We Włoszech: płaszcz, skałę z odciskami mojego ciała, w miejscu gdzie siedziałem i skrzydeł, w miejscu, o które się oparłem, ślad mojej stopy na kamieniu, kroplę, której nakazałem wypłynąć z wnętrza góry. We Francji: otwór w czaszce biskupa, a następnie wizje białego, oślepiającego światła, światła w barwach tęczy, straszliwy podmuch wiatru, trzęsienia ziemi z budzącymi grozę eksplozjami. Poza tym, na dowód tego wszystkiego, w każdym z tych miejsc pozostają, wybudowane ku mojej czci sanktuaria, pustelnie, skalne kościoły, bazyliki, oratoria, klasztory. (Przerwa). Joanna d’Arc? Niektórzy wciąż mnie o nią pytają. Tak, wzywała mnie kiedy umierała płonąc żywcem na stosie. Ja w tym momencie byłem na górze, w Raju i kierowałem Zastępami Niebiańskimi, tj. moją armią Aniołów, Cherubinów i Serafinów. Pamiętam, że usłyszałem jej błagania i, w drodze wyjątku, spełniłem jej prośby, jednakże bez objawiana się jej. W związku z tym chciałbym tutaj wznowić pewien apel: „przestańcie prosić mnie, tak często jak to robicie, abym stał się waszym Aniołem Stróżem! Każdemu z was, czy wam się to podoba, czy nie, został przyznany Anioł, który ma was strzec i towarzyszyć wam w waszych małych i dużych walkach życia codziennego. To jego powinniście wzywać! Jeśli w dzień nauczycie się go dostrzegać, odkryjecie, że on jest zawsze przy was, skryty w waszym cieniu, natomiast nocą, jeśli nauczycie się go słuchać, zauważycie, że on tam zawsze jest, wasz strażnik, wewnątrz was. Ja zostałem stworzony przez Boga, aby stawiać czoła innym walkom, dużo trudniejszym i częstszym, tym niekończącym się walkom całej ludzkości. (Znika w ciemności). – KONIEC

Spettacolo e non solo… teatro, cinema, televisione, ma anche storia, poesia, arte e… fantasia

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SCENA UNICA: Siamo in un qualsiasi luogo, ai giorni nostri. L’Arcangelo Michele è vestito come uno di noi. Siede accanto ad un tavolo dove sono  poggiati i suoi attributi. Si rivolge ad un pubblico presente, accorso ad ascoltare la sua parola.

MICHELE: (Con tono colloquiale, come conversasse con degli amici) Anche noi Angeli, non crediate, anche noi, sentiamo l’esigenza di comunicare con voi mortali, come fate voi tra di voi; e così anche Cristo, la Vergine, i Santi che spesso si sono manifestati qui sulla Terra. Ma voi direte: “Loro, come noi, ci son nati e vissuti sulla terra! Tu invece, che hai origini celesti, come mai sei qui tra noi?” (Con forza) Io amo apparire! Grazie a Dio, son apparso in passato, appaio e apparirò ancora! Benché non mi sia ribellato al Signore come alcuni, anch’io però, in qualche modo,  sento d’essere un Angelo ribelle. Ribelle alla mia natura, non certo al Signore. Anzi, più che ribelle, in verità, dovrei definirmi irrequieto, curioso, desideroso d’essere tra voi che, in fondo, siete creature di Dio come me. Anche se io son fatto più di spirito che di materia e voi più di materia che di spirito; e poi mi sta a cuore la vostra vita, la vostra sorte. Quindi mi rivelo a chiunque, nella mia vera immagine. Gli altri Angeli, in genere, possono mostrarsi soltanto ai mistici e compaiono nelle sembianze umane: da poveri, da pellegrini, da ospiti, da  messaggeri. La loro presenza spesso è rivelata da canti o musiche di un’altra dimensione o da profumi paradisiaci, e poi scompaiono in un lampo, per cui chi ha la visione li vive come presenze misteriose, anche se poi anch’essi, in qualche modo sono reali; certo, non appartenenti a questo mondo. (Pausa) Per me il corpo è come per voi l’abito! (Pausa)

Il primo luogo dove son apparso, per ben quattro volte, è stato sul Monte Drion; tre volte nel V secolo e una volta ancora nel XVI, nell’antica terra dei Dauni. La prima mia apparizione avvenne nell’anno 490 nel promontorio montagnoso non lontano dalle città di Arpi e di Siponto in Puglia, oggi detto Gargano, nei domìni dei bizantini, popolo successivamente sconfitto dai longobardi, dove prima della venuta di Cristo era stato eretto un tempio pagano dedicato all’indovino Calcante, seguace di Apollo, nonché al medico Podalirio, figlio di Esculapio.

Già l’otto maggio di quell’anno, dall’alto avevo adocchiato quell’area montagnosa, di faglie, dalle mille sorgenti d’acqua cristallina, coperta in parte da boschi abitati da animali vari, ma soprattutto ricca di viti, ulivi e grano sui pendii estesi fin nella piana di Siponto confinante col mare; uno scenario che mi rievocava la Terra Promessa, ricca d’ogni ben di Dio, con tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno per nutrirsi: pane, acqua, vino, olio, carni, pesci, sale; e ottima argilla e fuoco. In quella stagione la montagna, con le sue grandi grotte di calcare bianco, era, a sua volta, bianca di neve. Io mi calai da un cielo di nuvole bianche, vestito di bianco, con i miei tre attributi: le ali anch’esse bianche, la spada e la bilancia lucenti; avvolto da una potente luce bianca. Noi Angeli siamo attratti particolarmente dal colore bianco. Anche i nostri prati in Paradiso sono una infinita distesa di fiori bianchi. In quel momento, lassù, in cima a quel monte era accaduto che un bovaro, di nome Gargano, aveva avuto un problema col suo toro, per cui voleva ucciderlo e stava per scagliargli contro una freccia. Ecco che allora, annunciato da un vento fortissimo, sono prontamente intervenuto in difesa dell’animale che s’andava riparando dentro una grotta, impedendo così che quella freccia lo colpisse. Quindi mi manifestai in sogno al Vescovo di Siponto e gli dissi: “Io sono l’Arcangelo Michele, dalle vostre parti non ci sarà più spargimento di sangue animale”, e gli raccontai il fatto. Il Vescovo, commosso, chiamò a raccolta la popolazione per condurla in processione sul monte. Quando quella folla riuscì a identificare la spelonca e ad entrarvi trovò, con grande stupore, un altare di pietra con una croce di legno già adornato con i paramenti sacri e, sul pavimento di pietra, impressa l’impronta del mio piede. Ero stato io che avevo predisposto ogni cosa con cura. Imprimere la pianta del piede, malgrado la mia imponderabilità, non mi fu particolarmente difficile giacché, in quel punto, in quel tempo, quella roccia bianca era friabile, polverosa, come di gesso.

Due anni più tardi, per la seconda volta, mi manifestai ancora in sogno al Vescovo di Siponto, città allora assediata dagli Eruli. A costui annunciai che l’indomani stesso gli invasori sarebbero fuggiti perché aggrediti da un temporale senza precedenti. Accaduto ciò, il Vescovo per riconoscenza ordinò che sopra quella grotta fosse eretta una chiesa in mio nome. Un anno più tardi, il 29 settembre, tornai sulla Terra e, sempre al cospetto di quel Vescovo, specificai: “Là, dove la roccia s’è aperta il peccato dell’uomo sarà perdonato e ciò che verrà richiesto in preghiera sarà concesso”. Poi aggiunsi: “Ora quella grotta, con sopra la Chiesa, è a me sacra ed io stesso l’ho già consacrata”. Così facendo avevo stabilito che quella fosse universalmente considerata la prima ed unica Basilica Celeste al mondo e da me stesso già benedetta.

Una nuova apparizione sul Gargano la farò nel 1656 per sconfiggere la peste. È qui che compii il mio primo vero miracolo che poi verrà sbandierato dal popolo ai quattro venti! Pensate, ancora oggi lì è riportata su una mia statua l’iscrizione: “Al Principe degli Angeli, vincitore della peste, patrono e custode, monumento di eterna gratitudine”.

Il secondo luogo dove sono apparso è stato sul Monte Aureo nel VI secolo, nei pressi di Napoli, al Vescovo di Stabia che era insieme ad un abate. A costui chiesi di costruire su quel monte un Santuario dedicato a me; ed egli subito obbedì.

Il terzo luogo dove sono comparso è stato a Roma nel VI secolo. Qui coinvolsi un Papa e la mia comparsa avvenne sopra la Mole Adriana nell’atto di inguainare la spada (Fa il gesto). Con quel gesto intesi annunciare anche qui la fine della peste che aveva infestato la città. Ecco che il Papa allora, dopo questo miracolo, decise di cambiare il nome del Mausoleo di Adriano o Mole Adriana in Castel Sant’Angelo.

Il quarto sito dove son apparso è Pavia, nel VII secolo, sul luogo dove sorgeva la Cappella del Palazzo Reale, per rispondere all’invocazione d’un duca longobardo che mi chiedeva di aiutarlo a sconfiggere i Bizantini nella battaglia del 663. La vittoria, per mia intercessione, ci fu.

Il quinto luogo dove mi son manifestato è stato sul Mont-Tombe nell’anno 708, in Francia, nella Normandia, al cospetto del Vescovo di Avranches. A costui apparsi in sogno ben tre volte consecutive chiedendo che mi fosse dedicata una chiesa nella roccia. Il Vescovo per due volte ignorò la mia richiesta, allora alla terza apparizione gli procurai un foro sul cranio, senza ucciderlo, facendo pressione col mio dito incandescente sulla sua fronte. Spaventato egli fece sistemare immediatamente un Oratorio nella grotta dov’io ero apparso e quella montagna da allora fu denominata Mont-Saint-Michel con l’aggiunta di “au-péril-de-la-mer”, dato il fenomeno particolare dell’alta e della bassa marea che si verifica ciclicamente in quella zona.

Il sesto luogo dove infine son apparso è stato sul Monte Pirchiriano nel X secolo, in Val di Susa, in Piemonte, alla presenza d’un Vescovo eremita. Anche in questo caso sollecitai costui ad erigere una chiesa in mio onore e questi però obbedì, anche se fu costretto ad edificarla in legno data la difficoltà di reperire delle pietre in quella zona. Ecco, vedete, nel bene e nel male, questo sono io! (Si mostra girando su se stesso) E il mio nome è Mi-ka-el, cioè “Colui che è come Dio”, oggi l’unico Arcangelo esistente. In origine eravamo due Arcangeli a governare i Cieli, Lucifero ed io.

Gabriele e Raffaele, loro invece erano e sono Angeli, Angeli come tutti gli altri Angeli, anche se i loro nomi significano “Forza di Dio“ l’uno e “Medicina di Dio” l’altro; e anche se il primo ebbe il privilegio dal Signore di contattare sulla terra la Vergine Maria e il secondo lo scrittore Tobia. (Pausa) Vedete? Questi sono alcuni dei miei attributi. (Prende gli oggetti uno ad uno e li mostra) La spada con cui ho cacciato e scaccio ancora dal Paradiso gli Angeli ribelli a Dio, ovvero i Demòni, facendoli precipitare sulla terra, fra di voi. Questa è la stessa spada con cui ho sconfitto l’altro Arcangelo, Lucifero, il “Portatore di luce”, oggi divenuto Satana, il “Principe delle Tenebre”, il Diavolo, “Colui che divide”, Belzebù il “Signore delle Mosche”,… Mefistofele,… Belfagor. Con questa spada insomma ho difeso e difenderò, fino alla notte dei tempi, il Bene dalle costanti insidie del Male. Le ali le uso perché, come messaggero di Dio, devo percorrere spesso lunghe distanze. La bilancia psicostastica infine ha la funzione di doppia lancia, un pò come per Psicopompo o per Mercurio serve a spingere prima e pesare poi le anime da sottoporre al giudizio di Dio dopo la morte, una volta cioè che queste hanno abbandonato i loro corpi. (Lunga pausa) In fondo una fisicità, non certo come la vostra, però l’ho anch’io. Quindi io non son fatto di solo spirito! Nelle mie comparse sulla terra, credo d’aver lasciato segni concreti della mia consistenza. In Italia: un mantello, la roccia con l’impronta del mio corpo laddove mi son seduto, delle mie ali laddove mi son poggiato, l’orma del mio piede sopra la pietra, la stilla che ho fatto sgorgare dalla montagna. In Francia: il foro sul cranio del Vescovo. E poi visioni di luce bianca folgorante, di luce con i colori dell’arcobaleno, il soffio terribile del vento, i terremoti con esplosioni terrificanti. E, a riprova di tutto questo, in tutti quei luoghi restano, dedicati a me, santuari, eremi, chiese rupestri, basiliche, oratori, monasteri. (Pausa) Giovanna d’Arco? Qualcuno mi chiede ancora di lei. Sì, m’invocò mentre stava morendo arsa viva sul rogo. Io in quel momento ero su in Paradiso che stavo governando le Milizie Celesti, ovvero il mio esercito di Angeli Cherubini e Serafini. Ricordo accolsi, in via del tutto eccezionale, le sue invocazioni ed esaudii le sue richieste, senza apparire però al suo cospetto. A tal proposito voglio rinnovare qui un appello: “Non continuate ad invocarmi, come fate spesso, perché io diventi il vostro Angelo Custode! A ciascuno di voi, che vi piaccia o no, è stato assegnato un Angelo perché vi custodisca e vi assista nelle vostre personali piccole e grandi battaglie quotidiane. Allora invocate lui! Se di giorno imparate a vederlo scoprirete ch’egli è lì sempre accanto a voi, confuso nella vostra ombra e di notte, invece, se imparate ad ascoltarlo noterete che è sempre lì, vigile, dentro di voi. Io son stato designato dal Signore ad affrontare altre battaglie, ben più violente e più frequenti, quelle interminabili dell’intera umanità. (Scompare nel buio) – FINE.

ADRIANA SOARES: “La donna va rispettata ed amata, punto! Creiamo cose meravigliose e sicuramente rendiamo il mondo più bello. La nostra luce è palpabile, cerchiamo di non farla mai spegnere!”

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Donna affascinante e spontanea con un passato da modella, oggi una bravissima fotografa. Nasce a Rio de Janeiro, professionista nel campo della moda da 15 anni, dopo anni di osservazione ed elaborazione dell’arte di grandi Couturier come Gianfranco Ferrè, Krizia, Alviero Martini, Raffaella Curiel, testimonial per Tombolini e per Modena Gioielli, nasce da parte sua il desiderio di creare uno stile unico e personale. Studia la tecnica di ripresa fotografica all’Istituto Superiore di Fotografia di Roma diventando una delle fotografe più ricercate della capitale. Adriana, in occasione dell’ 8 marzo, parla della sua vita, del passato (F come Fashion) e del presente (F come Famiglia)  e della vita di tutte noi: donne.

Adriana, come ti autodefiniresti?

“Che domandone, nel senso che essendo una persona molto insicura, trovare una autodefinizione non è semplice. Sono concreta, passionale e tutto ciò che faccio è dettato da slanci spontanei, quasi istintivi”.

Sei nata a Rio de Janeiro, ora sei una delle più brave fotografe di Roma. Ci racconti la tua storia?

“Ti ringrazio per il complimento. Le mie origini sono radicate in me e in tutto ciò che faccio e che sono, ho una profonda sensibilità che a volte è anche un po’ fastidiosa, come se fosse una seconda testa a decidere per me. Il mio lavoro non è altro che un giusto connubio tra ciò che è e ciò che vorrei che fosse, studio i miei soggetti da fotografare prima degli scatti e durante, cercando di catturare ciò che sono realmente, è un’operazione bellissima! Si parla di tutto e si finisce sempre sul personale, non so come, ma un po’ tutti si lasciano andare ed è meraviglioso, tanto che finisco per infatuarmi di tutte le creature che ritraggo: sono anime, energia in attesa di liberarsi. Detto questo, sono nata in un paese stupendo con tanto calore umano, molto simile all’Italia per certi versi ed è per questo che mi trovo bene qui, anche se sono arrivata a 13 anni. Ho studiato e sono cresciuta qua, ho lavorato come modella fino alla soglia dei 30 anni, ho girato il mondo, ho sfilato per geni come Gianfranco Ferrè e Krizia e ho partecipato più volte a Donna Sotto le Stelle, credo tutti conoscano questa manifestazione che si teneva a luglio, alla chiusura della settimana della moda a Roma, e che purtroppo si è conclusa nel 2003. Ricordo ancora l’energia fantastica che emanava tutta la manifestazione, tutte le tv del mondo si riunivano lì e facevano a gara per intervistarci e riprenderci anche durante le semplici prove sulla scalinata, sotto il sole di luglio. A volte chiudo gli occhi e mi ritrovo in viaggio, dalla Cina, all’India, a New York, alla Tunisia, all’Egitto. Mamma mia, queste cose mi mancano, quanto ho imparato viaggiando! Ho visto un pezzo di tessuto prender vita nelle mani di Gianfranco Ferrè, potevo quasi sentire il suo respiro una volta che prendeva corpo e forma. Credo che la passione che ho provato per i miei lavori sia quasi fisica, non potevo immaginare la mia vita diversa e lontana dalla moda, prima come modella e poi ora come fotografa. Un’evoluzione intima documenta il passaggio da modella a fotografa: prima ero io la bella da fotografare ed ora sono io che rendo belli coloro che ritraggo, prima ero Apparire ed ora sono Essere ed è una cosa incredibile! Cerco di donare immortalità all’attimo che catturo!”.

Quanto è durata la tua esperienza di modella? Cosa ti ha insegnato? Quali lati negativi ha questo mestiere per una ragazza giovane?

“Ho fatto la modella per 15 anni e devo dire che mi ha dato tanto: tutto ciò che faccio oggi è grazie a quanto ho appreso da modella. Sono un’osservatrice e quando lavoravo o mentre indossavo, osservavo e sentivo; ogni capo indossato mi procurava emozioni, era come se un pezzo di anima prendesse possesso o semplicemente andava ad arricchirmi, come se aggiungesse un mattoncino in me e alla fine ho costruito qualcosa di unico e personale. Mi chiedi dei lati negativi, come in tutti i lavori, dove girano soldini e fama e dove l’apparenza è sovrana, potrebbe essere semplice perdersi in questo labirinto, però ora come ora non è più così, le modelle sono senza personalità, simili le une alle altre; ho visto alcune delle ultime sfilate e sono rimasta così male, le modelle anche se bellissime non emanavano alcuna energia. È tutto cambiato, non so se è un bene che sia così ora, sembrano dei robot. Gli stilisti si lamentano con me, ma di chi è la colpa? Del sistema? Una ragazza giovane, perché solo da giovane si può fare questo lavoro, deve essere guidata, seguita e incoraggiata. Non è semplice, perché c’è una concorrenza incredibile di nuovi volti che arrivano ogni giorno e quindi non bisogna abbattersi, bisogna considerarlo un gioco, un hobby passeggero. L’era delle top è finita, quindi si gioca in modo spensierato e con responsabilità. Poi cosa indispensabile, fare la modella è dura, bisogna essere costanti, modeste, disponibili, disciplinate, educate, gentili, determinate, tenaci, ma soprattutto seguire regole, regole  e regole, come andare a letto presto, mangiare sano… magari non fumare, non bere. Intorno a questo lavoro ruotano una serie di miti e pregiudizi, per la maggior parte da sfatare in modo assoluto.  Non capita mai che tutto vada liscio, la gavetta la fanno tutti, devi prima di tutto trovare un’agenzia seria che ti segua e ti rappresenti e poi farti conosce facendo tutti i casting ai quali ti mandano (provini) ed alla fine della giornata non è detto che porti a casa una conferma di lavoro. Ciononostante, non ti devi avvilire perché se hai delle qualità e se hai le caratteristiche fisiche e caratteriali, alla fine raccoglierai i frutti del tuo lavoro, ma ci vuole tanta pazienza. È per questo che molte ragazzine si scoraggiano e sbagliano nel credere che l’unica risposta e motivo perché non lavorano abbastanza, stia nel fatto che non sono abbastanza magre e finiscono come degli uccellini che depauperano la loro bellezza affamandosi. Bisogna stare molto attente, la forza caratteriale è la prima cosa e bisogna avere le spalle larghe in grado di accettare i rifiuti o le critiche”.

Sei una fotografa bravissima, spesso impegnata nel sociale, nelle tematiche che, appunto, riguardano le donne. Mi ricordo la mostra ‘Sguardi, Sorrisi, Volti… Donne’ del 2010, una tua idea o qualcuno ti ha suggerito l’argomento?

“Sono stata contattata dal Comune di Roma, per far parte di un evento per il giorno delle donne. E così mi è venuto in mente ciò che sono, una donna, una mamma, una donna che lavora e produce qualcosa. Noi donne partoriamo ogni volta che creiamo, può essere anche una semplice insalata. Il nostro lavoro non sarà mai soltanto un lavoro, sarà sempre un pezzo di noi che viene plasmato e poi con la nostra energia gli daremo vita. Se uno non è così distratto se ne accorgerà, lo sentirà. La donna è la creatura più bella e perfetta che Dio abbia potuto creare. L’amore che esiste nel creato può essere solo fatto da una femmina”.

I tuoi prossimi progetti fashion e non solo?

“Ho tanti progetti, uno in modo particolare a cui tengo tanto e prima o poi uscirà fuori con forza ed il suo pianto al momento della nascita sarà ascoltato e commuoverà molti, ma per ora non mi è permesso dire altro anche per scaramanzia. Sto collaborando con alcune riviste che mi danno l’opportunità di dar spazio alle ragazze della porta accanto e organizzo un servizio fotografico con tutti i crismi, dal make up allo styling di grandi stilisti. È bellissimo vedere sorridere queste fanciulle, per loro è come un sogno che si realizza”.

Il mestiere di fotografo è pieno di uomini. Tu sei riuscita ad attirare l’attenzione di tutti, a diventare visibile e riconosciuta non solo per il fatto di essere una bella donna, ma anche per il fatto di avere un gran talento.

“Che bello sentire queste cose, sono insicura e molto autocritica con me stessa, non sono mai del tutto soddisfatta del mio lavoro e cerco di raggiunge la perfezione, ma mi rendo conto che questo non succederà mai. Certo, c’è tanta concorrenza nel mio lavoro, ma forse perché non lo considero un lavoro, è la mia vita, è me. Chi condivide con me il momento dei miei scatti si diverte, perché sembro un cartone animato, così mi hanno definito più volte, rido, ballo, saltello sul posto e poi una volta finite le foto torno seria, più o meno. Faccio delle facce strane e guardo qualcosa che gli altri non vedono, sono un po’ pazza! Lo so, completamente pazza, è per questo che ancora sono qui. Piango, rido e spiazzo la gente, ma pure me stessa, che dire sposto pannelli di legno giganti, luci, lavoro spesso senza assistente. Credo che essere una donna sia una marcia in più, il gusto, la sensibilità sono tipici delle donne, poi il mio passato nella moda mi ha donato una conoscenza ed una sensibilità uniche”.

Segui anche i corsi di portamento a Roma. Dove nasce l’idea? Cose vuoi trasmettere alle tue allieve?

“Per il momento ho fermato tutto, purtroppo la crisi economica ha tarpato le ali a qualunque iniziativa extra, comunque io cerco di mandare avanti una tradizione di famiglia, partendo dal Brasile. Lì a 13 anni ho seguito un corso di portamento tenuto da Maria Augusta Nielsen, mia nonna, come lo è stata per tutte quelle che da qui hanno spiccato il volo da Florinda Bolkan a Josefa Soares poi Massimo, mia zia. Diventata modella famosissima, con copertine per Vogue, ha sfilato per Roberto Capucci, Paco Rabanne, Valentino. E lì fornivano una formazione ferrea e militaresca, ti plasmavano profondamente. Era una scuola frequentata dalle ragazze dell’alta società, che qui apprendevano tutte le regole delle buone maniere e del buon vivere e anche che il gusto, la semplicità e l’educazione sono le vere chiavi del successo, è questo che desidero insegnare alle mie allieve, anche andando controcorrente!”.

Con chi si lavora meglio: con i personaggi famosi, spesso star del cinema o quelli sconosciuti, che fanno i primi passi davanti alla macchina fotografica?

“Senza dubbio le persone vere, che si lasciano andare in modo commovente davanti a me. Sono come delle pietre grezze, che nascondono dei meravigliosi diamanti”.

Come definiresti il femminismo e femminile?

“Aiuto che domandone. La femminista? Quella militante che afferma con forza che lei è sua. Non lo so perché la femminilità è universale, è di tutti, è un’energia che si emana senza la volontà. Ho detto una contraddizione, quindi la femminilità è innata, ci sono bambine che si muovono come gazzelle e con tale dolcezza che ti procurano il sorriso al vedere tanta armonia nei loro movimenti e nei loro gesti; altre invece, anche se sorelle sembrano dei camionisti, sono scoordinate, quindi, in conclusione, la femminilità è innata, genetica”.

Come hai già detto, collabori con molte riviste. Dove si possono vedere le tue foto?

“Ho collaborato e collaboro tuttora con svariate testate, ma non posso dare il loro nome… Sono tutti un po’ suscettibili…”.

La situazione delle donne nel mondo, soprattutto nei paesi musulmani, purtroppo ancora oggi è drammatica. Invece, noi donne dell’Occidente ci lamentiamo che dobbiamo fare tutto, lavoriamo, seguiamo la famiglia e dobbiamo essere anche sexy ecc. Qual è il tuo parere su questi argomenti, su questi due mondi, l’Oriente che copre tutta la donna e l’Occidente che la spoglia cambiandola quasi in un oggetto?

“Noi siamo il risultato, figlie dei nostri tempi. Purtroppo, in Occidente si ha troppo e non ci si ferma davanti a nulla e si desidera sempre di più come in una danza convulsa ed isterica. Non c’è equilibrio, non c’è armonia, non c’è amore né rispetto, neanche per se stessi. Quando ero ragazza, una volta mi sono sentita consigliare da una vicina di casa: ‘Devi accettare i compromessi, perché il tempo passa e diventi vecchia come me’ . Sono fiera di non aver mai ascoltato questo consiglio becero. Viviamo in un epoca strana, si cerca lo stupore e di stupire… ormai non ci si stupisce più di niente. Stupisco più io come mamma e moglie, una delle poche che non ha un matrimonio spezzato. Ecco, ormai è tutto alla rovescia, si è anormali con la normalità, più che con ciò che era considerato innaturale. L’oriente ha la sua cultura, le sue tradizioni e regole difficili da comprendere ed accettare. Spero vivamente che un giorno ci sia maggiore rispetto, equilibrio ed amore. La donna và rispettata ed amata punto! Creiamo cose meravigliose e sicuramente rendiamo il mondo più bello. La nostra luce è palpabile, cerchiamo di non farla mai spegnere!”.

C’è qualcosa che invidi a un uomo?

“Nulla…niente…proprio nulla…”.

Bergoglio: luci e ombre del nuovo Pontefice.

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Il 13 marzo 2013, al secondo giorno di conclave, è stato eletto al soglio pontificio il cardinale e arcivescovo cattolico argentino Jose Mario Bergoglio, che ha scelto il nome di Francesco.

Nato in una famiglia di origini italiane, specificamente piemontesi, dopo essersi laureato in chimica all’Università di Buenos Aires (cui seguiranno anche la laurea in filosofia prima e quella in teologia poi), sceglie il sacerdozio entrando nel seminario di Villa Devoto  e cominciando nel 1958 il noviziato nella Compagnia di Gesù. Ordinato sacerdote nel 1969, viene nominato Vescovo titolare di Auca e Ausiliare di Buenos Aires nel maggio 1992 da Giovanni Paolo II, che lo eleverà anche al ruolo di cardinale nel concistoro ordinario del 2001.

Sembra esserci grande affinità teologica e spirituale tra Giovanni Paolo II e Francesco: nel cuore di entrambi il sigillo mariano; entrambi, fino all’elezione al soglio di Pietro, erano lontanissimi dai circuiti di governo e di potere della Curia romana; entrambi, fino alla fumata bianca, erano vescovi residenziali, a capo di due importanti diocesi cardinalizie del mondo: Cracovia e Buenos Aires.

Bergoglio è Il primo papa latinoamericano, il primo a prendere il nome di Francesco, ma anche il primo tra i gesuiti ad essere eletto papa. Anche se considerato da alcuni un progressista, in Argentina ha sempre sostenuto posizioni conservatrici, che lo hanno portato allo scontro aperto contro il governo di Cristina Kirchner, opponendosi alle nozze gay e alla libera distribuzione di contraccettivi; infatti sembra aver sempre mantenuto posizioni di destra nella gestione del potere a Buenos Aires.

La sua è una figura controversa in cui luci e ombre si mescolano, generando pareri contrastanti che portano a considerarlo ora un sostenitore della dittatura militare (1976-83), ora un oppositore del lusso e degli sprechi e un trascinatore di folle. I dubbi su di lui sono stati sollevati dal giornalista argentino Horacio Verbitsky, autore del celebre libro “Il volo” in cui per la prima volta si svela l’esistenza del piano sistematico di soppressione degli oppositori al regime attraverso i voli della morte (30mila vittime secondo le Madri di plaza de Mayo, ottomila secondo altre fonti). Verbitsky ha ricostruito le responsabilità e le omertà della chiesa in Argentina durante la dittatura. Secondo quell’inchiesta Bergoglio (in quanto Superiore provinciale della Compagnia di Gesù) un mese prima del golpe del 24 marzo 1976, avrebbe chiesto ai due sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics, che lavoravano nelle baraccopoli di Buenos Aires, di abbandonare quel lavoro, ma loro si rifiutarono. Verbitsky prosegue affermando che Bergoglio, dopo averli cacciati dalla Compagnia di Gesù, fece pressione sull’allora arcivescovo di Buenos Aires perché impedisse loro di dir messa: togliere ai due sacerdoti protezione e ancora più punirli come disobbedienti, equivaleva a farli considerare potenziali sovversivi, poichè bastava essere impegnati in un lavoro considerato “di sinistra” nelle baraccopoli, per finire nelle liste nere dei militari. In realtà non ci sono mai state prove, né indizi della sua vicinanza alla dittatura, sono accuse che Bergoglio ha sempre respinto come “vecchie calunnie”. E a prova di ciò, nell’anno santo del 2000 fu proprio lui a far “indossare” all’intera Chiesa argentina le vesti della pubblica penitenza, per le colpe commesse negli anni della dittatura. Allo stesso tempo Bergoglio rappresenta una figura di riferimento nella Chiesa sudamericana, che ha improntato la sua immagine su uno stile di vita umile, infatti utilizza sempre i mezzi pubblici per spostarsi; da quando è arcivescovo di Buenos Aires ha scelto di vivere in un piccolo e modesto appartamento al posto di quello lussuoso adiacente alla cattedrale e inoltre, quando fu ordinato cardinale nel 2001, obbligò i suoi compatrioti, che avevano organizzato raccolte fondi per presenziare alla cerimonia di Roma, a restare in Argentina e a donare i soldi ai poveri. È sempre stato restio ad accettare ruoli curiali e secondo alcune ricostruzioni nel conclave del 2005, si mostrò così atterrito dall’idea del peso che gli sarebbe caduto addosso da convincere i suoi sostenitori a non votarlo. Secondo altri, invece, in quell’occasione i cardinali avevano fatto blocco sull’argentino nel tentativo di impedire che si raggiungesse la maggioranza minima per l’elezione, così da comportare la ricerca di candidati diversi: resta il fatto che risultò il secondo più votato dopo lo stesso Benedetto XVI.

È bastato che il papa neoeletto si affacciasse al balcone, per far dimenticare le ombre del suo passato; è bastato il suo sorriso rotondo, che un po’ ricorda Giovanni XXIII, per accendere gli entusiasmi; a completare il quadro la scelta del nome Francesco che rimanda alla natura, alla povertà e al dialogo con gli umili. Umano, gentile, anticasta e rivoluzionario, ecco come appare ai più papa Francesco.

Si riaccendono i motori

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Inizia la stagione delle due ruote e, anche se le biciclette da strada e da montagna sono le mie grandi passioni, oggi parleremo di motociclette.

L’occasione per fare una previsione sulla stagione 2013 mi viene fornita dalla quinta edizione della fiera della moto, ai primi di marzo, organizzata dalla ditta Motoroni.

Avendole fatte tutte e cinque, mi rendo conto di come il mercato di questo settore non sia indenne dagli attacchi della recessione. Gli stands per assurdo più grandi e fastosi sono quelli della polacca Romet (scooter bruttini, auto elettriche e bici di altri tempi) e della Junak, sui quali preferirei non commentare nulla dichiarando semplicemente che non incontrano i miei gusti. La fiera, ahime, è composta da due soli padiglioni, tra le assenze più ingiustificate: Honda, Harley Davidson e Yamaha.

Partiamo subito dalla reginetta incontrastata: la BMW GS 1200 finalmente raffreddata a liquido (non tutti la pensano come me, lo so). Con 17.000 euro potrete cavalcare un gioiellino con una ciclistica perfetta e con un’alta componente di elettronica al servizio della sicurezza; traction control, sospensione anteriore elettronica (non affonda come quella della mia Honda transalp) assetto della moto regolabile per coloro che non superano i 180 cm. Se avete quella cifra da spendere, non esitate e avrete il TOP.

La Ducati, recentemente acquisita dal gruppo Audi, presenta per il 2013 la nuova ed esaltante generazione di Hypermotard, che eredita dal concept originario gli elementi che hanno reso questa moto unica e di grande successo: innovazione, design ma soprattutto divertimento estremo. La nuova Hypermotard non solo riprende queste connotazioni ma le esalta ulteriormente grazie ad una nuova gamma composta da tre incredibili modelli: l’entusiasmante Hypermotard, l’estrema Hypermotard SP e una nuova, ancora più accessibile e pratica tourer particolarmente adatta all’uso quotidiano: la Hyperstrada.

La nuova gamma associa tecnologie avanzate e soluzioni ingegneristiche esclusive, frutto del genio e del design italiano, per scrivere un nuovo capitolo della storia Hypermotard. Le versioni Hypermotard e Hypermotard SP garantiscono un’esperienza di guida brillante ed emozionante sia nell’uso quotidiano che nelle sfide in pista, la Hyperstrada è stata ideata e realizzata per chi alla guida sportiva abbina il turismo a medio raggio, da solo o in coppia, il tutto con l’inconfondibile stile Ducati.

In KTM incontriamo Jacek Czachor, una persona che personalmente stimo molto e con oltre dieci Dakar percorse. Sempre molto disponibile ci parla della nuova nata Adventure, 1000 di cilindrata, cavalleria a non finire ma con l’introduzione di dispositivi di elettronica per coloro i quali non sono in grado di domare questa belva scatenata dal peso piuma che non supera i 200 kg.

La presenza italiana  a questa fiera è nobilitata dal marchio Spidi, società del vicentino come anche la Dainese, entrambe produttrici di abbigliamento tecnico e sponsor delle competizioni mondiali. La milanese Tucano urbano propone per gli amanti dello scooter anche quando fa freddo le note copertine spesso viste nelle città italiane.

Una parentesi a parte merita di essere aperta per quanto riguarda il modo in cui i media polacchi, e non solo, concepiscono la filosofia a due ruote. Osservo da parecchio tempo, soprattutto sui social network, il fatto che il giovane polacco vede nella moto la possibilità di avere una sorta di immunità dal codice stradale, facendosi un baffo di vigili, polizia e quant’altro. Quindi impennate, “burn out” (fare girare a vuoto il copertone posteriore) passaggi oltre i 170 km/h nei viali cittadini. Addirittura mi è giunta voce che alcuni pseudo-duri che fanno scommesse notturne si legano, per la gola, con un laccio alla propria moto per far si che in caso di malaugurata caduta a quelle velocità la morte sia un modo per evitare l’onta dell’invalidità, semplicemente  dei poveri coglioni!

Anche le riviste specializzate polacche continuano a propinare copertine con impennate e tutta una serie di comportamenti scorretti, ed è proprio per questo che ho deciso di tentare di scrivere una guida per il motociclista che consigli cinquanta itinerari da percorrere in questo bel paese che è la Polonia dove, anche a 70 km/h, percorrendo le strade dei Mazury,  potrai assaporare le emozioni, i panorami e gli odori della natura polacca; il tutto condito con un’abbondante degustazione culinaria (ancora ricordo con emozione i pierogi ripieni di cacciagione provati a Bialowieza!) e se il budget lo permette un bell’albergo con spa, per fare riposare le terga della mia paziente compagna di viaggio.

Quest’anno spero di raccontarvi almeno un paio di viaggi estremi e mi auguro di riuscire a trasmettervi in parte le emozioni che provo.

Se chi legge quest’articolo rappresenta una ditta che potrebbe essere interessata al mio progetto….sa dove trovarmi.

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L’uomo dal talare bianco

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Diana Golec

“Io sono soltanto un pellegrino che sta per iniziare l’ultima tappa del suo viaggio” ha detto Benedetto XVI durante l’ultimo giorno del suo pontificato. Anche se dal 28 febbraio il Papa può essere considerato come un “Papa in pensione”, questo fatto non determina la fine del suo ministero presbiterale. Adesso la sua vita si svolgerà nel silenzio delle preghiere, lontano dalle luci dei riflettori. “Il Signore mi invita a giungere alla cima, ad essere ancora più devoto nella preghiera e nella meditazione”- ha detto durante l’Angelus dell’ultima domenica di febbraio in Città del Vaticano. Sicuramente ha scelto di seguire una rotta verso acque più calme, sorprendendo molto l’intera Chiesa cattolica. Sono però poche le persone che si pongono la seguente domanda: chi ha diretto la sua bussola verso la nuova strada? Sarebbe stato Colui che l’ha portato fino alla Santa Sede? Se sì, da dove nasce questa forte delusione di una parte dei cristiani? Forse, ancora una volta, cerchiamo di dare più importanza alle nostre priorità rispetto a quelle stabilite da Dio? “Il nostro modo di pensare umano e i nostri sforzi sono in sintonia con il Signore, sono efficaci, utili e buoni” ha detto l’arcivescovo Józef Michalik durante la messa di ringraziamento per il pontificato del Papa, sottolineando che “Benedetto XVI non si allontana dalla croce, si è solo trasferito in un altro luogo”.

Per secoli, nell’immaginario collettivo dei credenti, si è creata una profonda convinzione, ovvero che il Papa è un superuomo avvolto da una corazza invisibile e che quindi può subire e sopportare  tutto il male, le divisioni all’interno della chiesa, le sofferenze, il dolore, la malattia e soprattutto le vessazioni degli ambienti a lui ostili. In un certo senso questo è vero. Il Papa sicuramente possiede una forte corazza fatta di grazia di Dio e una forza spirituale proveniente direttamente dallo Spirito Santo e dai suoi doni. Tuttavia, colui che porta il titolo di Vicario di Cristo è prima di tutto un uomo e come tutti i mortali si può stancare nel corpo e nell’anima. Già da tempo osservo con ansia la grande stanchezza che si è manifestata sul volto del Papa. Mi ha colpito molto vedere Benedetto XVI passare accanto a me sulla papamobile durante l’incontro di Taize di due mesi fa. Era sorridente, ma nei suoi occhi si vedeva una certa tristezza, mentre i solchi profondi sul suo viso mi hanno spinto alla riflessione sul peso schiacciante delle sue mansioni. “Sembra malato” ho sussurrato a un prete accanto a me.

Oggi si sa che già allora Benedetto XVI stava riflettendo su una decisione che ha poi provocato una vera e propria valanga di commenti, speculazioni, sospetti e critiche. Il Papa sapeva che le cose sarebbero andate così. Sicuramente era molto preoccupato di come la sua abdicazione avrebbe potuto influire sulla Chiesa. Era da prevedere che si sarebbero scontrate due correnti opposte, ovvero la prima che avrebbe accusato il Papa di “diserzione” e la seconda che invece avrebbe cercato una via più comprensiva in questa scelta. I primi hanno toccato un punto delicato, paragonando Benedetto XVI al suo predecessore: il riferimento a Giovanni Paolo II  è stato come aver lanciato una pietra contro il Papa dimissionario. Molti rappresentanti dei media dicevano: “lui ha portato a termine il suo mandato fino alla fine mentre tu ti arrendi?” Possiamo solo immaginare quanta sofferenza abbiano provocato delle simili valutazioni a quest’uomo così dedito alla sua missione. Tali commenti testimoniano l’ignoranza di buona parte dei fedeli nelle questioni legate al ministero della Chiesa. Questa non è una questione umana, come viene presentata da alcuni media, ma è prima di tutto una manifestazione del mistero della guida divina, che ciascuno vive in modo individuale. Il Papa è uno degli strumenti dello Spirito Santo che decide sul termine e sulle modalità del pontificato. Sono inoltre infondate le voci secondo cui  l’abdicazione di Benedetto XVI possa rappresentare un precedente attraverso il quale definire un limite di età per la carica pontificia.

Chi può capire le ragioni dell’uomo che decide di andarsene perché non si sente di svolgere bene i compiti risultanti dalla propria vocazione? Soltanto chi ha fatto una strada dolorosa simile a quella che ha percorso il Papa, soltanto chi avverte giorno dopo giorno il peso delle proprie responsabilità. Per molti è molto semplice tirare le somme adesso facendo paragoni tra il pontificato che si è appena chiuso e quello precedente, emettendo giudizi su cosa è stato fatto bene e cosa invece è stato un fallimento. Alla fine la valutazione di Benedetto XVI non spetta certo a noi. I valori che tutti noi possiamo trarre dal messaggio del Papa dovrebbero costituire oggetto di riflessione, sia per i credenti che per i laici. Un simile atteggiamento sarà sicuramente più costruttivo ed è preferibile ad una mera analisi di otto anni di pontificato.

Obama, un Presidente di colore verde?

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Edoardo Zarghetta

Non conviene sentirsi spettatori passivi quando si parla della politica presidenziale americana. Anche se si tratta solamente di energia e di sostenibilità bisogna tener conto che gli USA ricoprono un ruolo importantissimo a livello globale grazie ai loro export d’innovazione tecnologica, modelli di sviluppo e tanto inquinamento.

A gennaio Barak Obama si è insediato alla Casa Bianca per un secondo mandato che lo vedrà leader tra i leader mondiali per i prossimi quattro anni. É lecito chiederci cosa ci possiamo aspettare in materia energetica ed ambientale nel futuro politico americano?

Nel precedente mandato (2008-2012) abbiamo assistito alla difficoltà del Presidente di attuare le politiche promesse durante la prima campagna elettorale. Non tanto perché l’azione di governo in politica energetica sia stata poco aggressiva ma perché le aspettative che Obama aveva creato sia durante la campagna “Yes We Can” che con il famoso discorso d’insediamento erano altissime. In quest’ultimo in particolare, un riferimento molto forte veniva fatto alla possibilità di creare sviluppo economico ed occupazione attraverso le energie rinnovabili e la lotta al riscaldamento del pianeta: “There is new energy to harness and new jobs to be created” diceva il Presidente allora. A quattro anni di distanza, abbiamo visto che il pianeta resta in pericolo di collasso ambientale, soprattutto a causa delle emissioni di Co2 americane, dove poco si è fatto per ridurre la dipendenza del paese dai combustibili fossili. Il vero obiettivo del governo americano è stato di ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia aumentando l’indipendenza energetica del paese. Ma le tecnologie su cui si è puntato per raggiungere questo obiettivo sono state principalmente “sporche”: Il Presidente ha concesso licenze per l’esplorazione off-shore di petrolio e gas, per la costruzione di 3.500 km di oleodotto dall’Alaska al Texas e per l’estrazione di gas con la tecnica del Fracking (pompaggio di acqua e sostanze chimiche per far uscire il gas da giacimenti non profondi).

Nel suo secondo discorso d’insediamento, Obama ha nuovamente promesso di rispondere alle minacce rappresentate dal riscaldamento globale e di voler “preservare la patria consegnata agli uomini da Dio” attraverso il supporto di fonti energetiche sostenibili. Ma i proclami ambientalisti di Obama, per quanto colorati da fervore religioso e patriottismo, si dovranno scontrare con una Camera dei Rappresentanti in mano ai conservatori; per questo, pur riconoscendo il maggior peso dato a questi temi dal Presidente in questo discorso, gli ambientalisti hanno poche speranze che il secondo mandato di Obama possa portare un serio cambiamento alla politica energetica USA. Anche se ci sono dei segnali che l’atteggiamento dell’amministrazione verso due delle tre politiche energetiche sopra descritte possa cambiare, in seguito all’incidente d’inizio anno della piattaforma Kulluk di proprietà della Shell, che rischia di versare nel delicato ambiente polare 650.000 litri di combustibile Diesel e 55.000 litri di lubrificanti, il governo americano ha deciso una moratoria di 60 giorni per il controllo delle misure di sicurezza messe in campo dalle imprese petrolifere coinvolte nella ricerca di petrolio nella regione artica. Inoltre, per quanto riguarda l’oleodotto Keystone XL, successivamente all’approvazione definitiva da parte degli stati interessati, Obama ha richiesto un ulteriore periodo di tempo per dare il proprio consenso; sull’estrazione del gas con la tecnica del Fracking, invece, pesa una revisione voluta proprio dagli Stati interessati, perché sembra che questa comporti la contaminazione radioattiva delle falde acquifere circostanti i pozzi, in quanto l’acqua pompata sotto terra raccoglie le sostanze radioattive normalmente presenti nel sottosuolo e le convoglia verso falde acquifere e fiumi. Le decisioni su questi tre temi, oltre alla ricostruzione del team di collaboratori incaricati di gestire le varie funzioni di governo in materia di energia e ambiente, sono le sfide che aspettano Obama nei settori energia e sostenibilità. Speriamo, per il bene del pianeta, che Obama confermi le sue credenziali ambientaliste al più presto.

Luigi (Alosio o Alvise) Lippomano

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LUIGI (ALOISIO o ALVISE) LIPPOMANO (Venezia 1496 – Roma 15/8/1559), Vescovo cattolico, Consigliere nell’Amministrazione Centrale della Chiesa. Membro al Concilio di Trento.

Nel 1538 divenne Vescovo Coadiutore della Diocesi di Bergamo, dal 9 agosto 1548 al 20 luglio 1558 fu a capo della Sede Episcopale di Verona, succedendo a Pietro Lippomano e seguito da Agostino Lippomano, entrambi suoi parenti.

Già Nunzio in Portogallo nel 1542, alla fine di agosto del 1548 ricevette l’incarico di Legato Papale in Germania e successivamente, il 13 gennaio del 1555, fu nominato da Papa Giulio III Nunzio Apostolico in Polonia. Però, a causa di due Conclavi, dovette prorogare la partenza e attendere la riconferma del nuovo Papa, Paolo IV. Una volta intrapreso il viaggio da Roma, dovette sostare ad Augusta in Germania per partecipare ad una Dieta Imperiale, per cui poté riprendere alla volta di Varsavia soltanto il 28 settembre di quello stesso anno.

Con la missione in Polonia, organizzata dai Cardinali Alessandro Farnese e Iacopo Puteo, egli doveva affrontare il pericolo di una disputa generale sui problemi confessionali e doveva rafforzare l’elemento cattolico nella vita pubblica, ricorrendo ad abili predicatori e docenti affidabili, nonché al controllo della stampa con il divieto d’importazione dalla Germania dei libri luterani.

L’8 ottobre, dopo un viaggio faticosissimo, Lippomano finalmente raggiunse Varsavia. Qui fu immediatamente ospitato dalla Regina Bona Sforza al Castello di Ujazdów, ma poté riposarsi ben poco tempo dal momento che venti giorni più tardi era già a Vilnius, ricevuto in prima udienza dal Re di Polonia Sigismondo Augusto, figlio di Bona e del defunto Sigismondo I.

Dovette subito accorgersi che in Polonia la situazione confessionale era drammatica, “Le cose della fede et della Chiesa in questo Regno sono ridotte a malissimi termini” e che il Protestantesimo era ormai diffuso ovunque: nell’aristocrazia aveva come portavoce il Principe Nicola Radziwi??, Cancelliere, Gran Maresciallo di Lituania e Palatino di Vilnius.

Per ricondurre il paese al Cattolicesimo non poteva contare sull’appoggio del re, che aveva inviato a Roma un personaggio come Stanislao Maciejowski sostenitore dell’uso del vernacolo nella liturgia, della Comunione sub utraque specie, del matrimonio per i sacerdoti e che sollecitava la convocazione di un Concilio Nazionale; però egli aveva dalla sua parte l’Episcopato, con Nicola Dzierzgowski, Arcivescovo di Gniezno nonché Primate di Polonia e Stanislao Osio Vescovo di Varmia.

Dal febbraio all’ottobre del 1556 Lippomano soggiornò a ?owicz, residenza dell’Arcivescovo di Gniezno; da qui il 21 febbraio scrisse una lunga lettera a Radziwi?? nel tentativo di riportarlo alla fede cattolica, ma quella lettera rimase sempre priva di risposta.

Intanto dall’aprile al giugno in Polonia succedevano cose orrende: gente che profanava le ostie, sacrilegi vari, devastazione d’oggetti sacri, tanto che vennero messi al rogo una donna, Dorothea ?az?cka e parecchi ebrei nelle città di Sochaczew e di P?ock. I protestanti, in quell’occasione, denunciarono come responsabili dell’esecuzione il re, l’arcivescovo di Gniezno e Lippomano.

Il Nunzio visitò le Diocesi di Gniezno, di Pozna?, di W?oc?awek e, di nuovo, quella di P?ock. Si creò una rete di collaborazioni con quei Capitoli e con quei Canonici concordi con le disposizioni del Concilio di Trento. A settembre Lippomano partecipò a ?owicz al Sinodo Provinciale, in dicembre partecipò a Varsavia alla Dieta polacca, caratterizzata da un forte antagonismo tra cattolici e protestanti, e immediatamente dopo lasciò il paese convinto d’aver rafforzato il Cattolicesimo in Polonia e convinto che sotto la sua guida era stata avviata la riforma della Chiesa.

Diciotto anni più tardi ancora un altro ecclesiastico della famiglia Lippomano, Girolamo, accompagnato da suo fratello Paolo, cugino di Luigi, verrà inviato in Polonia dal Senato di Venezia, questa volta a Cracovia, per assistere alle esequie di Sigismondo Augusto e all’incoronazione di Enrico de Valois, fratello di Carlo IX Re di Francia. Costui, affascinato dal fasto delle cerimonie, travolto dall’ostentazione di magnificenza che accompagnerà i primi mesi del nuovo regno, dalle curiosità (come le Miniere di Wieliczka), dalle bellezze dei luoghi, dalle interessantissime relazioni che i Principi polacchi intrattenevano con gli altri Principi, in particolare russi e turchi e, nel contempo, scoraggiato dal rientare a Venezia per la peste che colà incombeva, non tornerà subito nel suo paese, ma si tratterrà in Polonia per ben dieci lunghi mesi; anche se poi in verità le feste, le giostre, i banchetti che la nobiltà polacca faceva a gara per allestire, non dureranno a lungo. Infatti accadrà che “tutti i bagordi si conversero in lacrime”, primo per la morte di Carlo IX, secondo per la successiva fuga di Enrico che scatenerà fra i polacchi il timore di “gran sangue, et ruina, con le facioni che sono grandissime et gli humori diversi”.

Ma chi era l’uomo Luigi Lippomano? Era un discendente dei Lippomano, Lippamano o Lippomani, una famiglia patrizia veneziana delle cosiddette Casade Novissime, che si trasferì a Venezia verso l’anno 908. Questo casato, originario dell’isola greca di Negroponte, l’odierna Eubea, avrebbe avuto come proprio capostipite un anonimo ebreo convertitosi al Cristianesimo.

Luigi Lippomano era uno studioso; caparbio Ministro della Chiesa Cattolica; un eccellente diplomatico; un buongustaio, ingordo, che soffriva di gotta; un abile scrittore, autore di testi dogmatici e agiografici.

Era figlio illegittimo del banchiere veneziano Bartolomeo, sposato dal 1488 con Orsa Giustinian; sua madre, Marta, era invece una donna che stava a servizio da suo padre.

Da giovane seguì le scuole tradizionali, ma poi da ragazzo, nel 1520, per volere di suo padre, dovette intraprendere gli studi umanistici e teologici presso l’ateneo di Padova fino al 1521 e dal 1522 al 1523 presso quello di Roma, dove già da sette anni viveva suo zio Girolamo.

Con il fallimento a Venezia del “Banco Lippomano” la famiglia, visto che aveva già generato diversi grossi Prelati nell’ambito della Chiesa Cattolica, decise di basare la sua fortuna sulle carriere ecclesiastiche dei propri esponenti. Per cui anch’egli venne sollecitato a farsi prete, con la promessa d’un immediato Canonicato a Bergamo, laddove suo zio Nicolò e suo cugino Pietro si erano succeduti al Vescovato.

Dal XV al XVII secolo – oltre ai Prelati Agostino, Vescovo di Verona; Alvise, Vescovo di Veglia; Giovanni, Vescovo di Parenzo; Pietro, Priore del Monastero della Trinità a Venezia; Andrea, Priore della Chiesa di S. Maria dell’Umiltà a Venezia; Andrea, Priore della Chiesa di S. Maria Maddalena a Padova; Nicolò, Braccio di Venezia nella Flotta della Lega Santa alla Battaglia di Lepanto – tra i membri più illustri dei Lippomano figurano: Marco, Diplomatico e Giurista di Venezia; Girolamo, Ambasciatore di Venezia a Torino, a Dresda, a Napoli, a Costantinopoli; Geronimo, Nobiluomo di Venezia; Maria, Nobildonna di Venezia, sposa del Nobile Alvise Querini; Cecilia, Nobildonna di Pincara in provincia di Rovigo, sposa del Nobile Dolfin.

Questa famiglia patrizia – esistente ancora nel 1797, anno della Caduta della Repubblica di Venezia, ma al giorno d’oggi estinta – era quindi costituita principalmente da ricchi Banchieri, da alti Prelati e da famosi Diplomatici. A causa, però, del fallimento del “Banco Lippomano” prima e perché malvista per essere divenuta filo-spagnola poi – ovvero propensa ad assecondare, oltre il lecito, certi comportamenti della Spagna – finì col cadere in disgrazia. Malgrado tutto, però, nel XVII secolo – dopo l’imponente “Portico Lippomano” a Udine e la splendida Villa “Ca’ Lippomano a Cavarzere di Venezia, opere entrambe del XV secolo – si costruì a San Vendemiano di Treviso, una sontuosa Villa sul colle “Monticella” come residenza di campagna, progettata, sembra,  dall’allora famoso architetto veneziano Baldassarre Longhena.

Luigi Lippomano viaggiò, come Legato e Nunzio Apostolico, per mezza Europa, ma morì a Roma a sessantatre anni, tre giorni prima del suo protettore Papa Paolo IV, dove fu sepolto nella chiesa di Santa Caterina dei Funari. Malgrado fosse considerato il Prelato più potente della Curia e malgrado fosse divenuto segretario di Papa Paolo IV, Luigi Lippomano non riuscì mai ad ottenere il cardinalato. Chissà magari la motivazione della mancata porpora sarà da attribuirsi ai suoi natali illegittimi!

LUIGI LIPPOMANO,

Olio su tela, di ignoto del  XVIII secolo,

Biblioteca Universitaria di Bologna