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JAROSŁAW MIKOŁAJEWSKI “APPUNTI SIRACUSANI”

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Appunti siracusani è un’opera sfaccettata, un saggio e nello stesso tempo un’originale forma di travelogue in cui snodano le riflessioni-divagazioni di Jarosław Mikołajewski intellettuale a tutto tondo: l’italianista, il poeta, lo scrittore, il traduttore, il pubblicista.

Sospinto in Sicilia dalla sua verve giornalistica, investigativa verrebbe da dire, l’Autore ci fa consapevoli del suo desiderio di partecipare a quella sorta di misterium che è l’umano peregrinare, nella fattispecie dei 46 migranti della Sea-Watch nel maggio 2019, e dell’anelito, si direbbe, di vederne lo sbarco a Siracusa. La stessa Siracusa dove quasi due millenni prima, nella primavera dell’anno 61, approdò l’apostolo Paolo, condotto a Roma per essere giudicato dal tribunale di Cesare. In realtà non sappiamo se Paolo poté scendere dalla nave. Ma se lui o i suoi compagni lo avessero fatto, cosa avrebbero visto a Siracusa? È un quesito a cui risponde Mikołajewski, che ci coinvolge in un viaggio spirituale nello spazio e nel tempo, fra reminiscenze letterarie (Iwaszkiewicz, in primo luogo ma anche Karasek, Hartwig, Szymborska, Miłosz, Camilleri ed echi vittoriniani), musicali (Szymanowski) fluttuando fra storia (la cacciata degli ebrei a seguito della definitiva Reconquista spagnola) e mito (ancora Karasek), pittura (iconico qui il Caravaggio) e poesia, sicilianità e fascinazioni sue peculiari, il cui fulcro rinveniamo nella poesia Siracusa, con il suo incipit di sapore evangelico, un vero peana al mare, il vero filo conduttore del narrato.

UN MODO FURBO PER MANGIARE BENE

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Si scrive meal prep, si legge preparazione dei pasti in anticipo: il termine deriva dall’inglese meal preparation, ed è un metodo furbo per affrontare la settimana senza correre il rischio di che la fame ci colga di sorpresa!

In pratica, per meal prep si intende la pratica di dedicare qualche ora della settimana alla preparazione dei pasti da consumare nei giorni seguenti. Un modo molto utile per seguire un’alimentazione equilibrata, ottimizzando i tempi e riducendo gli sprechi.

A prima vista sembra tutto noioso e complicato. Forse le prime volte lo sarà davvero: come tutte le buone abitudini, anche il meal prep richiede un po’ di pratica iniziale. La difficoltà sta principalmente nel capire come organizzarsi. Ma una volta trovato il ritmo giusto, prevarrà la gratificazione di mangiare bene tutti i giorni, soprattutto quelli in cui si arriva a casa stanchi e senza voglia di fare nulla.

I vantaggi sono tanti e preziosi. Seguire un’alimentazione varia ed equilibrata: la pianificazione in anticipo del menù permette di inserire il giusto numero di porzioni per ogni cibo. Risparmiare tempo e denaro: si riducono le visite al supermercato e si preparano diversi cibi contemporaneamente, ottimizzando anche l’utilizzo degli elettrodomestici. Ridurre gli sprechi: maggiore consapevolezza dei prodotti necessari, acquisti mirati e calcolati sulle quantità che servono realmente. Organizzare i pasti è una necessità di quasi tutti: chi consuma il pranzo a scuola o sul posto di lavoro, chi la sera arriva a casa tardi, chi deve accontentare gusti ed esigenze familiari diverse.

Ma in pratica, come funziona il meal prep? Tutto si può riassumere in tre fasi: pianificare, cucinare, conservare. Innanzitutto, ragionate sull’organizzazione della vostra settimana per capire quanti pasti avete effettivamente bisogno di preparare. Ci sono dei giorni in cui avete più tempo e preferite cucinare al momento? Avete degli impegni che vi portano a pranzare o cenare fuori casa? Uno schema vi aiuterà ad avere le idee più chiare.

Controllate dispensa e frigorifero, per verificare la presenza di prodotti in scadenza: saranno i primi a dover essere inseriti nelle ricette. Poi dedicatevi alla
compilazione del menù settimanale: se non avete idea da dove cominciare, cercate online e troverete tanti suggerimenti. In linea generale, la regola del piatto sano prevede che ogni pasto (colazione, pranzo, cena) sia composto per metà da frutta o verdura, 1⁄4 da cereali integrali e 1⁄4 da proteine di buona qualità, a cui aggiungere una piccola porzione di grassi buoni (olio d’oliva, olio di lino, semi oleosi, creme di frutta secca). Varietà non significa necessariamente mangiare ogni giorno diverso: nell’arco della settimana ci possono essere anche dei pasti uguali, oppure con degli ingredienti di base in comune da variare con i condimenti o con le verdure di accompagnamento. Si può semplicemente cucinare la cena in porzioni doppie, e utilizzarne una parte per il pranzo del giorno dopo: ma solo se siete sicuri di non cadere nella tentazione di mangiare tutto subito! Si può decidere di cucinare portate già complete e pronte al consumo, oppure preparare delle basi da personalizzare al momento, ad esempio cereali e legumi lessati, verdure mondate e stufate, e poi decidere di giorno in giorno come combinare gli ingredienti. Il menù di base può rimanere uguale tutte le settimane, variando nelle ricette: ad esempio lunedì legumi, martedì uova e così via.

Dopo aver pianificato il menù e controllato i prodotti già a disposizione, si può stilare la lista della spesa e andare al supermercato con le idee chiare, girando le corsie a colpo sicuro: in questo modo si risparmia tempo e si acquista solo ciò che è utile.

Infine, finalmente, si cucina. Scegliete il giorno che per voi è più comodo e dedicate qualche ora alla preparazione. Cominciate dagli ingredienti che prevedono tempi più lunghi e organizzatevi in modo da cucinare più cose contemporaneamente: nel forno, ad esempio, possono essere inseriti cibi diversi, e durante la cottura ci si può dedicare ad altre preparazioni.

Quando tutto sarà cucinato e raffreddato, dividete il cibo in contenitori ermetici e sistemate in frigo o in congelatore. Non è necessario comprare dei contenitori particolari, vanno benissimo anche i vasetti di vetro riciclati.

Se ancora non siete convinti, ecco qualche suggerimento. Per la colazione, oltre ai classici dolci da credenza, si possono preparare pancake, porridge, granola, frullati di yogurt. Cereali e legumi possono essere lessati e conservati in congelatore già divisi in porzioni, da utilizzare per le insalate oppure da trasformare in polpette, burger, zuppe e creme. Se volete qualcosa di più originale e appetitoso, preparate torte e muffi n salati, lasagne e sformati, frittate e verdure ripiene. Spero a questo punto di avervi fatto venire l’acquolina: non avete che da cominciare a organizzare il vostro meal prep!

Domande o curiosità inerenti l’alimentazione?
Scrivete a info@tizianacremesini.it e cercherò
di rispondere attraverso questa rubrica!

Gabriele D’Annunzio, a centosessant’anni dalla nascita

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A centosessant’anni dalla sua nascita, intorno a Gabriele D’Annunzio si raccontano ancora molte leggende legate più al “personaggio” che alle verità storico-letterarie di cui fu protagonista lo “scrittore”.

Le leggende maturate intorno al suo nome, spesso, trovavano origine proprio nelle sue fantasiose invenzioni: al pubblico francese dichiarava, ad esempio, di essere nato <<a bordo del Brigantino Irene>>, in mezzo al mare Adriatico in una notte tempestosa, sotto il segno dell’Ariete “durocozzante”. Ma non era vero niente, Gabriele nacque come tutti i bambini di allora in casa, e il diffi cile parto di sua madre Luisa de Benedictis avvenne in un palazzetto signorile di Pescara, in Abruzzo, alle 8 del mattino del 12 marzo 1863, quindi sotto il segno dei Pesci. Suo padre era Francesco Paolo, possidente e poi sindaco della città adriatica e avrà con l’illustre figlio rapporti non sempre sereni.

Abruzzese quindi, Gabriele, e l’amata sua terra natìa rivivrà in molte sue pagine poetiche, narrative e drammaturgiche: «Ah, perché non son io co’ miei pastori?» scriverà in una poesia tra le più belle di Alcyone, la sua raccolta poetica del 1903, e poi «Porto la terra d’Abruzzi, porto il limo della mia foce alle suole delle mie scarpe, al tacco de’ miei stivali», nel Libro segreto del 1935: non rinnegò mai le sue origini, neppure quando, dopo gli studi liceali compiuti a Prato presso il glorioso collegio nazionale Cicognini, a 19 anni si trasferirà nella Capitale, diventando un brillante cronista della mondanità capitolina, prima, un grande narratore e poeta, poi, infine l’arbiter elegantiarum della società romana dell’epoca.

Ma questo giovane abruzzese inurbato, sempre agghindato e azzimato come un principe rinascimentale (arrivò a possedere un guardaroba sterminato che comprendeva, tra l’altro, 50 soprabiti, 200 paia di scarpe e 500 cravatte), con la sua parola ed il suo modo di fare elegante e seducente conquisterà il mondo: provocherà la follia nelle donne da lui sedotte e l’esaltazione nei soldati, idolatrato e detestato, sfi dato e imitato, invidiato da quasi tutti i suoi colleghi scrittori e intellettuali per il successo popolare conseguito, vivrà tra ozii lussuosi e debiti clamorosi, in un’esistenza inimitabile da “Principe del Rinascimento”.

Controverso, contraddittorio a volte, discusso e perfino discutibile come personaggio, fu invece indiscutibile il grande contributo apportato alla storia della letteratura tra Otto e Novecento, arrivando ad aprire le strade, sia nella prosa, sia nella poesia e nel teatro, ma anche nel cinema e nel giornalismo, della più autentica e valida modernità novecentesca che lo fece interprete ed anticipatore di tutte le correnti e stili artistici del secolo nuovo.

Talvolta gli “capitò” anche di rubare idee e versi a poeti e intellettuali, italiani o stranieri, segnatamente francesi, ma seppe restituirli con incomparabile maestria: Joyce, Musil, von Hoffmansthal, Proust lo ammirarono incondizionatamente, l’intero panorama della prosa e della poesia italiana del Novecento gli fu debitore.

A D’Annunzio, infatti, si devono opere immortali, conosciute e tradotte in tutte le lingue: romanzi (Il Piacere, L’innocente, Il trionfo della morte, Il fuoco), novelle (Terra vergine, Le novelle della Pescara), tragedie teatrali (La città morta, La figlia di Iorio, La fi accola sotto il moggio), fi no ad arrivare al Notturno, un apparente memoriale di guerra e invece un’opera straordinaria di esplorazione dell’ombra della coscienza e della memoria, che farà scuola a molti scrittori successivi sia per lo stile, sia per il linguaggio, sia per il tema.

E valgano le stesse considerazioni anche per la sua ampia produzione poetica: dalla sua prima raccolta, Primo Vere, scritta da adolescente, fi no alle Laudi, dove sono raccolte tra le liriche più belle della storia della poesia italiana (La pioggia nel pineto, tra tutte), con le quali ha saputo traghettare la poesia dei secoli passati, irrigidita dentro forme classiche ormai logore, verso la poesia libera da schemi e metri, ma ricca di sonorità foniche e fonematiche, della più alta produzione novecentesca.

Lo stile di D’Annunzio, sia in prosa sia in poesia, fu davvero inimitabile e personalissimo: parole nuove o ripescate dalla tradizione, rese sonore e luminose da inattesi accostamenti, ritmi studiati per riprodurre emozioni, giri di frasi come sculture morbide e seducenti oppure spigolose e taglienti. Pennellate lampeggianti, ricchissime coloriture, manipolazione incantata di luci e ombre, un’armonizzazione musicale sublime. La maestria verbale, la suggestione sensuale, l’inarrivabile uso della parola da lui utilizzata sia per la capacità evocativa che per la pertinenza semantica, costituiscono una magia e una malìa da cui è difficile sottrarsi.

Riuscì ad infiammare gli animi e a conquistare migliaia di donne grazie ad un fascino magnetico ed irresistibile. Non fu mai però un buon marito, né un buon padre: troppo tumultuosa la sua esistenza, al cui centro restarono sempre la scrittura, l’arte, la passione per tutto ciò che fosse bello ed elegante. Donne comprese.

Migliaia, si disse, ma poche quelle veramente amate e tutte trasfigurate in Muse, tutte eternate nei suoi capolavori. «Il mio cervello è alimentato dal fuoco degli inguini», soleva ripetere, ribadendo quanto il trasporto sentimentale ed erotico fosse propellente necessario alla sua creatività.

Tra le prime sue muse, allora, ci fu Giselda Zucconi, l’amore della sua «adolescenza anelante e furiante», eternata col nome di “Lalla” nella sua seconda raccolta poetica “Canto Novo”, e poi Elvira Fraternali, sposata Leoni, ma amata dal poeta con il nome di “Barbara”, e immortalata nella figura di Ippolita Sanzio del suo romanzo “Il trionfo della morte”. Dopo l’abbandono del Poeta, morirà sola in un pensionato gestito da suore. Nonostante le moltissime amanti, fu sposato con una sola moglie, Maria Hardouin di Gallese, immortalata nella poesia “Peccato di maggio” e che poi gli diede tre fi gli: Mario, Gabriellino e Veniero. Un’altra figlia, Renata, l’ebbe da Maria Gravina Cruyllas Ramacca Anguissola di San Damiano, principessa siciliana che per lui lasciò la famiglia e alla quale dedicò il suo romanzo capolavoro L’innocente.

Tra tutte le muse dannunziane, una però spicca per grandezza e bellezza: Eleonora Duse. Di cinque anni più vecchia di lui, tisica, bisessuale, appassionata e di inarrivabile talento, lo proiettò sull’empireo della drammaturgia europea: fu lei l’ispiratrice di tutti i suoi capolavori teatrali. Lui l’amò senz’altro, ma poi la descrisse impietosamente ne “Il fuoco” e la lasciò comunicandole, spietato: «Sento nelle fibre più profonde il bisogno imperioso del piacere, della vita carnale, del pericolo fisico, dell’allegrezza». Fine di un grande amore.

In realtà, quella fine era dovuta ad una nuova “musa”, la giovane e avvenente Alessandra Starabba di Rudinì, bella e statuaria (che ribattezza “Nike”, come la Nike di Samotracia), la quale, quando sarà da lui abbandonata, fuggirà in Francia, si farà suora, ma conserverà sempre, tra le biografie dei Santi e i libri di preghiera, le audacissime lettere del suo mai dimenticato amante.

E poi via via fino ad uno dei più brucianti amori della sua vita, quella contessa fiorentina, che di nome faceva Giuseppina Giorgi Mancini, ma che lui appellerà “Giusini” nello splendido “Solus ad Solam”, una sorta di struggente diario scritto da Gabriele quando la sua appassionata amante finirà nel gorgo della follia, per arrivare a quella che fu la sua ultima Ninfa Egeria: l’attrice del muto Elena Sangro, nome d’arte della vastese Maria Antonietta Bartoli Avveduti che divenne la protagonista del torrido e senile poemetto “Carmen Votivum”.

Ma il poeta “Vate” non fu solo un grande seduttore e amante; seppe anche lasciare ai posteri la memoria di sé eroe della prima guerra mondiale: dalla Beffa di Buccari al Volo su Vienna durante la Grande Guerra, fino alla straordinaria conquista di Fiume, il 12 Settembre 1919 alla testa di oltre duemila fervorosi combattenti, uomini e donne. Qui scrisse e promulgò la Costituzione (la Carta del Carnaro) più lungimirante dell’epoca, che arrivava a riconoscere ammissibile ogni tipo di amore, ogni cittadino uguale agli altri, alle donne la possibilità di votare e di essere votate.

Fu fervente nazionalista, irredentista, monarchico: difficile, però definire il suo contraddittorio rapporto con Mussolini e con il fascismo. Fu quest’ultimo, semmai, ad ispirarsi a D’Annunzio e, specialmente, al dannunzianesimo fiumano adottando pose e mode, miti e modi del Comandante di Fiume.

Chiusa l’esperienza di Fiume in un tragico Natale di sangue del 1920, si ritirò a Villa Cargnacco sul Lago di Garda, dimora di campagna appartenuta a Henry Thode e che, trasformata e trasfigurata, diventerà il celebre e celebrato Vittoriale degli Italiani: l’ultima sua opera d’arte, “libro di pietre vive”, ancora oggi monumento nazionale al suo genio e alla sua indomita personalità. Lì, al Vittoriale degli italiani, tra viuzze, slarghi, piazzette e meravigliosi giardini interamente pensati da Gabriele D’Annunzio e realizzati dall’architetto Maroni, l’anziano e ormai stanco poeta fu risucchiato in un gorgo erotico senza fine, vittima di un predace e patetico delirio sessuale. E nella ubriacatura orgiastica degli ultimi anni una giovane donna spicca su tutte: la Contessa Scapinelli Morasso, “Titti”, “l’ultima Clematide”, fresca e splendente creatura, che gli destò un ultimo singulto d’amore.

Gabriele D’Annunzio, il vate, l’eroe, l’amante, il venturiero, l’artifex immaginifico di capolavori e di vite inimitabili, morirà di lì a poco, per ictus cerebrale, alle 20,05 del 1° marzo 1938 (ultimo giorno di Carnevale), ottantacinque anni fa, mentre eraintento a «capolavorare» alla sua scrivania.

foto: per gentile concessione della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani

Il villaggio nella grotta

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Il minuscolo borgo all’interno del Monte Cofano regala uno scenario da favola. Vi troviamo una culla, dei giocattoli, delle vecchie pentole e delle forme da calzolaio, tanti utensili per
la casa il cui uso è spesso difficile da indovinare. La caverna alta 70 metri ha una superficie di almeno 650 metri quadri ed è la più grande delle nove grotte di Scurati in Sicilia. Già nel Paleolitico vi abitarono i primi cavernicoli, come testimoniano i semplici arnesi, ossa di animali, dipinti rupestri e pezzi di ceramica rinvenuti tempo fa dagli archeologi, oggi esposti nei musei di Trapani e Palermo. Per millenni la grotta fungeva da rifugio, ma solo nel 1819 vi si creò un piccolo villaggio. I membri della famiglia Mangiapane (da cui il luogo prende il nome) costruirono nella pancia della roccia una fattoria, ovvero due file di palazzine con in mezzo una stradina, dove fino alla fine degli anni ‘50 del Novecento condussero un’esistenza
quasi autosufficiente, basata su pesca e agricoltura. Poi il luogo fu abbandonato.

Negli anni ’80, grazie all’iniziativa degli appassionati del luogo e dell’unico discendente della famiglia Mangiapane, tutti gli ambienti sono stati meticolosamente restaurati. Nacque così il Museo Etnoantropologico di Arte Contadina Siciliana all’aperto. Qui non ci sono bacheche né soluzioni sensoriali e multimediali, ma c’è odore di mobili e tessuti antichi, di cuoio e di paglia. Ci sono le galline che schiamazzano e i galli che cantano, capre, asini e cavalli, ulivi secolari e fichi d’india carnosi. Come si sa i loro frutti, tinti di arancione, viola e fucsia, sono molto spinosi e prima del consumo devono essere accuratamente puliti con un’apposita grattugia. Alcune varietà però sono lisce e così, almeno in polacco, vengono chiamate “indifese”. Questo termine mi diverte e intenerisce, così come i ricordi e artefatti della vita quotidiana raccolti negli interni di questo sito roccioso.

È incredibile, qui tutto sembra intatto: i locali di servizio, la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno e le botteghe del calzolaio e del cestaio. C’è una macchina da cucire, un telaio, un tornio e un frantoio, ma anche una grossa stufa a legna. Le camere modeste ma dignitose, arredate secondo lo stile dell’epoca. Le pareti bianche e ruvide decorate con tappeti di pezza, stoffe dipinte con scene cavalleresche. Dal soffitto pendono i pupi, le marionette del tradizionale teatro siciliano. Su tavoli e scaffali di legno massiccio ci sono dei secchi e delle tinozze di latta, le ceste di vimini, delle vecchie bottiglie e delle damigiane, per terra barili di ogni tipo. Poi ancora una cappella privata e una stanza da barbiere, o cerusico, che non solo tagliava i capelli, ma toglieva denti, eseguiva piccoli interventi chirurgici e curava disturbi della pelle, spiega la guida.

Oggi, questo piccolo mondo rinchiuso nella grotta come in una capsula del tempo prende vita diverse volte all’anno, proprio come ai vecchi tempi. Da oltre quarant’anni, grazie al lavoro di 160 volontari, durante l’estate si tiene qui un festival degli antichi mestieri. Vi partecipano circa 70 rappresentanti di professioni in via di estinzione, che negli ambienti del museo mostrano la loro arte. Uno di questi è o zabbarinaru, che lavora l’agave, zabbara è l’agave in siciliano. Con degli strumenti semplici batte e stira le sue foglie carnose e poi su una tavola piena di punte metalliche
(a mo’ di grattugia) ne pettina le fibre. Dalla polpa ricava una sorta di sapone, e le fibre essiccate le passa al funaio, che le trasforma in corde. C’è anche uno scalpellino e un maestro d’ascia, che lavora il legno. Un pescatore che cuce le reti e un altro che riempie un barile mettendo sotto sale le sarde fresche (in passato scambiate con aringhe e baccalà che arrivavano da altri paesi). Una delle stanze serve per la produzione del vino, dove una cisterna in
muratura viene riempita con grappoli d’uva pigiati poi a piedi nudi, proprio come i crauti in Polonia. Sopra alla cisterna c’è una corda, a cui aggrapparsi in caso di malessere o vertigini, siccome il profumo del mosto fresco a volte offusca i sensi. Nel cortile, all’ingresso della grotta, due cavalli trebbiano il grano, girando – secondo una tradizione millenaria – sopra le spighe stese per terra. La paglia calpestata viene poi setacciata con uno sbarratozzo. Così, invocando i nomi dei santi locali, si separa il grano dalla pula. Le preghiere, gli incantesimi ed i talismani sono sempre in voga in Sicilia, spesso frutto di antiche influenze musulmane.

Il sito si attiva anche a Natale: nella tradizione italiana una grotta è un presepe ideale. I volontari con costumi d’epoca rievocano scene della Natività, tornano di nuovo gli artigiani: un calzolaio cuce le scarpe a mano, un impagliatore intreccia sedie e le cuoche preparano specialità natalizie. Tra queste, le sfincie cioè le frittelle dolci fatte con patate, il cui nome deriva dalla parola ispong, in arabo: spugna. Tutto questo succede d’inverno, invece d’estate c’è… la calura. Il mare
vicino luccica come un diamante, una volta usciti dall’ombra della grotta, il suo bagliore azzurro dà quasi fastidio agli occhi. Nella quiete, si sentono le instancabili cicale. L’aria calda è densa di aromi e di sale. Per un attimo penso al Commissario Montalbano, un siciliano D.O.C. e il protagonista dei gialli di Andrea Camilleri. Proprio nella Grotta Mangiapane sono state girate le scene de Il ladro di merendine, l’adattamento
televisivo dell’avvincente romanzo noto anche ai lettori polacchi.

I siciliani amano la loro terra. In più, le tradizioni locali ed un forte senso di appartenenza sono elementi importanti della cultura italiana in generale. Il cognome Mangiapane significa “quello che mangia il pane”. Suggestivo nella sua semplicità, sembra appropriato per una famiglia che nei tempi lontani lavorava la terra. All’epoca, l’ecologia e la sostenibilità non erano né politiche né ideologie, ma giusto il pane quotidiano dei contadini, e
proprio per questo motivo è importante coltivare la loro memoria, sapienza e manualità.

Il Castello Reale di Varsavia acquista il dipinto “Madonna con bambino” di Paolo Uccello

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Il 7 settembre 2023 al Castelo Reale di Varsavia si è svolta la conferenza stampa riguardo i progetti dell’istituzione per la seconda metà di quest’anno.

All’evento hanno partecipato, tra l’altro Wojciech Fałkowski, direttore del Castello Reale, i curatori delle mostre Tomasz Mleczek, Przemysław Mrozowski, Monika Przypkowska e il capo del dipartimento dei progetti scientifici e museali Paweł Tyszka. Il prof. Wojciech Fałkowski ha annunciato il nuovo acquisto del Castello Reale ovvero il dipinto di Paolo Uccello, uno dei più illustri rappresentanti del Quattrocento, intitolato “Madonna col Bambino”, databile al 1310 circa. Il direttore ha descritto il dipinto come “uno dei più importanti acquisti del Castello Reale nell’ultimo decennio”. L’opera d’arte farà parte del Gabinetto Italiano e deve rappresentare l’arte italiana del XIV e XV secolo. Sono poi state annunciate le nuove mostre al castello Reale: dal 6 ottobre si potranno ammirare 91 nuovi dipinti dalla storica Galleria di Lviv e ci sarà anche la mostra dedicata all’armamento italiano e tedesco a cavallo tra XVI e XVII secolo. Alla fine di quest’anno è prevista l’esposizione dei lavori di Jerzy Nowosielski, famoso pittore polacco. La mostra comprende circa 100 opere d’arte.

Al Forum di Karpacz si discute di investimenti tra Italia e Polonia

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Ieri si è svolto il secondo giorno del Forum economico a Karpacz, durante il quale sono stati discussi molti temi comuni per la Polonia e l’Italia.

Al panel “Promozione del business nell’Europa Centro-Orientale e opportunità di partnership con l’Italia, focus Polonia”, condotto da Valerio Mancini, Direttore del Centro Ricerche di Rome Business School, hanno partecipato: Laura Ranalli, Vice Ambasciatrice d’Italia a Varsavia, Alessandro Saglio, Direttore Generale di Confindustria Polonia, Aleksandra Leoncewicz, Responsabile dell’Ufficio del Commercio Estero dell’Agenzia Polacca per gli Investimenti e il Commercio a Milano, Maria Luisa Meroni Presidente di Confindustria Est Europa, Nicola Pettenò membro del Consiglio di Gestione di Confindustria Polonia, Salvatore Toma, Presidente di Confindustria Taranto e Emanuele Loperfido, deputato, Presidente del Gruppo Interparlamentare dell’Amicizia Italo-Polacca. I partecipanti hanno sottolineato all’unanimità la continuità storica delle relazioni italo-polacche e il successo della cooperazione economica negli ultimi anni. I rappresentanti di Confindustria Est Europa e Confindustria Polonia e dell’Agenzia Polacca per gli Investimenti e il Commercio a Milano hanno presentato gli strumenti per sostenere le imprese italiane in Polonia e le imprese polacche in Italia, ovvero pubblicazioni, guide ai paesi dell’Europa Centrale e Orientale per le aziende che pianificano investimenti. La vice ambasciatrice Laura Ranalli ha sottolineato l’entusiasmo dei giovani polacchi nell’imparare l’italiano per lavorare nelle imprese italiane.
Il deputato Emanuele Loperfido ha sottolineato l’importanza delle secolari relazioni italo-polacche, tra cui la figura del generale Władysław Anders, che unisce entrambe le nazioni, durante il panel: “In difesa dei valori comuni. Perché la guerra in Ucraina è un punto di svolta per l’Europa?”, i cui partecipanti hanno confermato l’importanza della guerra in corso in Ucraina per la difesa dei valori che uniscono l’Europa da più di mezzo secolo, e che l’Ucraina, che da molti anni lotta contro l’aggressione russa. Un altro aspetto del conflitto è stato dedicato al panel “Alla ricerca di una nuova casa – sulle migrazioni nell’Europa di ogg” condotto da Isabella Corvino, docente dell’Università di Perugia. Il sindaco di Priero (CN), Alessandro Ingaria, ha accusato i paesi dell’Europa Centrale e Orientale di concentrarsi solo sull’ottenimento dei fondi europei dall’UE mentre non si impegnano nel processo di accoglienza dei rifugiati. Inta Mieriņa, direttrice del Centro di ricerca sulle diaspore e le migrazioni dell’Università della Lettonia, ha sostenuto che questi paesi hanno mostrato il pieno impegno nell’accogliere i rifugiati ucraini e questa apertura positiva dovrebbe essere utilizzata per dimostrare che meccanismi simili possono essere utilizzati nel caso di immigrati di diversa origine. Allo stesso tempo, ha notato che la maggior parte degli immigrati recenti in Lettonia sono russi, il che ha costretto all’applicazione di alcune restrizioni. Oltre ad altri panel dedicati all’architettura di sicurezza e alla ricostruzione dell’Ucraina, i partecipanti hanno discusso, tra l’altro, sui nuovi valori del Vecchio Continente (sessione plenaria con la partecipazione, tra gli altri, di Fabio Righi, ministro dell’Industria, della Ricerca, dell’Artigianato e del
Commercio, Ricerca Tecnologica, Semplificazione delle normative della Repubblica di San Marino), le sfide della politica sociale nel 2023, la politica energetica, la sicurezza informatica e la digitalizzazione dei servizi pubblici. Molto spazio è stato dedicato alle questioni relative al governo locale e alla politica sanitaria. Durante la serata di gala sono stati consegnati i premi del Maresciallo del Voivodato della Bassa Slesia, dell’Organizzazione Non Governativa dell’Anno, del Forum Economico dei Giovani Leader, del Premio Polonia del Foro Economico, nonché i premi del Sindaco di Breslavia.

 

Iniziato il Forum Economico a Karpacz con ospiti italiani, assente Morawiecki

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Iniziato ieri, presso l’hotel Gołębiewski a Karpacz, il XXXII Forum Economico. Il tema di questa edizione è “I nuovi valori di Vecchio Continente- Europa all’alba dei cambiamenti”.

Ieri durante le sessioni plenarie  si è discusso sui temi: “Modellando un nuovo ordine del mondo”, “I vecchi debiti, nuovi orizzonti- l’economia del futuro”. I partecipanti hanno convenuto che il mondo si trova di fronte a grandi cambiamenti economici e politici e che è necessaria una ricerca delle nuove soluzioni non standard per affrontare le sfide del futuro. Tutti d’accordo che per raggiungere questo obiettivo, la cooperazione europea è fondamentale. Inoltre, si sono svolte decine di gruppi di discussione nei diversi moduli tematici, tra l’altro: Europa nel mondo, Forum di Sicurezza, Forum di Cybersicurezza, Nuove Tecnologie, Nuova Economia, Lo sviluppo Sostenibile e la Ricostruzione d’Ucraina. Durante le discussioni non sono mancati accenti italiani: nel gruppo “L’internet del futuro- Metaversum cambierà il mondo?” ha partecipato Mattia Fantenati, ex sottosegretario degli affari amministrativi nel governo Conte, e attualmente presidente di Internet Governance Forum Italia. Nel gruppo di discussione “Educazione del futuro- che cosa dovrebbe offrire l’istruzione” ha partecipato Marta Teresa Astorino, la fondatrice della società tech-media TMP Group e anche uno dei membri fondatori dell’associazione Italia4Blockchain. Durante la serata di gala, sono stati distribuiti diversi premi: come azienda dell’anno il premio è stato assegnato a Bank Gospodarstwa Krajowego,. Nella categoria “Uomo dell’anno della Scuola di Commercio” ha vinto Czesław Lang e il premio “L’uomo dell’anno del Forum Economico” lo ha vinto l’Ambasciatore americano in Polonia Mark Brzeziński.

Quest’anno è prevista la partecipazione a Karpacz di tanti ospiti illustri tra cui: il ministro della Cultura e del Patrimonio Nazionale Piotr Gliński, il senatore Stanisław Karczewski, il ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale Robert Telus, il manager Janusz Cieszyński, il ministro della Digitalizzazione, Bogdan Borusewicz e Michał Kamiński vice maresciallo del Senato polacco e Krzysztof Gawkowski-Presidente del gruppo parlamentare della Sinistra. All’ultimo momento il primo Ministro Mateusz Morawiecki ha cancellato la sua partecipazione. Tra gli ospiti stranieri ci sono: Anna Rathsman, Direttrice Generale dell’Agenzia Spaziale Svedese, Halyna Janchenko, deputata del Consiglio Supremo di Ucraina, Mari Velsand, direttrice generale dell’Ufficio dei Media di Norvegia, il Generale Robert Spalding, pronipote di Nelson Mandela, l’autore dei libri e esperto nel campo dei relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina, Ricardo Conde presidente dell’Agenzia Spaziale del Portogallo. Tra i personaggi italiani possiamo elencare Laura Ranalli, Vice Ambasciatore d’Italia in Polonia, Alessandro Saglio, direttore generale di Confindustria Polonia e Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano.


Tutto pronto per l’atteso Forum Economico Internazionale di Karpacz

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Dal 5 al 7 settembre presso l’albergo Gołębiewski a Karpacz si svolgerà XXXII Forum Economico. Il tema principale di questa edizione è “I nuovi valori del Vecchio Continente- l’Europa allalba dei cambiamenti. Levento è organizzato dal 1992 dalla Fondazione “Istituto di Studi Orientali”. Inizialmente si svolgeva a Krynica-Zdrój, ma dal 2021 ad ospitare l’evento è Karpacz. Da una ristretta occasione d’incontro a livello nazionale il Forum è cresciuto fino a diventare uno dei più importanti eventi dincontro per i leader della vita politica, economica e sociale in Europa, in Asia e negli Stati Uniti. La missione del Forum è quella di creare un clima favorevole per lo sviluppo della collaborazione politica ed economica. In questa edizione sono previsti più di 350 dibattiti, oltre a conferenze ed eventi culturali. Ai vari incontri parteciperà circa 5000 persone. Gazzetta Italia anche quest’anno è uno dei media partner del Forum Economico.

 

22 elicotteri AW-101, prodotti da Leonardo, per le Forze Armate polacche

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

“Ieri abbiamo inviato un invito a negoziare la consegna di 22 elicotteri multiruolo AW-101, che sostituiranno presto gli apparecchi post-sovietici”, ha scritto il ministro Mariusz Blaszczak su X (ovvero il “nuovo” Twitter). Così la Polonia si appresta ad acquistare 22 elicotteri multiruolo dal gruppo italiano Leonardo che andranno a sostituire gli apparecchi post-sovietici. Si tratta di un nuovo acquisto, di cui non è ancora noto il valore, nell’ambito di una lunga relazione tra il governo polacco e il gruppo Leonardo. Nel 2019 la Polonia aveva già ordinato quattro Aw-101 per la marina militare di cui due sono stati consegnati in questi giorni – che dovrebbero sfilare nella parata delle Forze Armate polacche il prossimo 15 agosto – e gli altri saranno consegnati nel prossimo autunno. Varsavia ha in programma il dispiegamento di 10.000 soldati per “proteggere a titolo dissuasivo” la frontiera con la Bielorussia. Il ministro Blaszczak ha spiegato che 4.000 uomini saranno impegnati direttamente in operazioni di sostegno alla polizia di frontiera mentre gli altri 6.000 avranno funzione di rinforzo.

https://forsal.pl/swiat/bezpieczenstwo/artykuly/9243667,blaszczak-agustawestland-moze-zostac-dostawca-smiglowcow-aw101-dla-po.html

Rafał Siwek al 100° Festival Arena di Verona

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Cantante lirico specializzato nell’interpretazione dei ruoli verdiani. Nel canto si sente discepolo della scuola bulgara, perché ha perfezionato le sue capacità vocali sotto la guida del maestro Kałudi Kałudov. Si esibisce regolarmente sui più importanti palcoscenici del mondo, in Italia ha cantato, tra l’altro, al Teatro alla Scala di Milano, all’Opera Romana, al Teatro Comunale di Bologna, al Teatro Regio di Torino, al Teatro del Maggio Musicale di Firenze, al Teatro Regio di Parma, al Teatro Lirico di Cagliari, al Teatro Massimo di Palermo e ai festival: Arena di Verona, Terme di Caracalla e Torre del Lago. Tra i ruoli da sogno per il basso gli manca solo Don Chisciotte dall’opera di Jules Massenet. In privato, appassionato di Stevie Wonder e della cucina italiana.

Oltre che all’Accademia di Musica (ora Università di Musica Fryderyk Chopin) di Varsavia, Siwek si è laureato in management e marketing alla Warsaw School of Economics (SGH) e, come ammette lui stesso, ha iniziato a cantare un po’ per caso. “Quando avevo 12 anni, è venuto nella nostra scuola con concerti un grande basso polacco, Bernard Ładysz, e mi piaceva molto come cantava. Ai tempi della scuola, cantavo anche nei cori ed ero molto bravo. Al secondo anno di liceo, un amico della scuola di musica mi ha chiesto se avessi voglia di iscrivermi alla classe di canto perché avevo una voce così interessante e bassa. Era già dopo la scadenza per la presentazione dei documenti. Tuttavia, il capo della sezione vocale li ha accettati e dopo gli esami mi ha preso nella sua classe. E così è cominciato tutto. Mi sono innamorato del canto e dell’opera. Quando fai ciò che ami, non lavori mai”.

fot. K. Karpati, D. Zarewicz

Quanto importanti sono stati l’Italia e l’opera italiana nei suoi studi?

L’Italia è presente fin dall’inizio del mio percorso artistico. Ho debuttato all’Accademia di Santa Cecilia a Roma nel 2005 nel “Requiem” di Verdi, condotto dal Maestro Zubin Mehta e trasmesso in mondovisione. In Italia ho avuto la maggior parte dei debutti nei ruoli di Giuseppe Verdi, e sono ormai 17 nel mio repertorio. Mi sono esibito in 27 città italiane e praticamente in tutti i teatri più importanti, ad eccezione del Teatro La Fenice di Venezia. Anche la mia discografia è legata soprattutto all’Italia e al repertorio italiano. L’Italia è la mia seconda patria, e se parliamo di carriera, allora la prima.

È più conosciuto in Italia che in Polonia nel mondo dell’opera?

Di sicuro, perché mi esibisco raramente in Polonia. Ora ho cantato in due concerti alla Filarmonica Nazionale, avevo anche un’offerta per fare un concerto al Gran Teatro di Varsavia, il “Requiem” di Verdi nell’anniversario dello scoppio della guerra in Ucraina, ma era alla vigilia della mia prima esibizione alla Royal Opera di Londra, quindi ho dovuto rifiutare.

fot. K. Karpati, D. Zarewicz

La lingua polacca facilita il lavoro dei cantanti lirici a causa delle proprietà del sistema fonico?

Non credo. Mi sembra che italiani e russi abbiano la massima facilità, perché sono le lingue più melodiche, in cui si parla naturalmente a diverse altezze. La maggior parte dei grandi cantanti, sia bassi che tenori, sono italiani. La lingua polacca non aiuta tanto con la pronuncia ma non disturba neanche. Invece le lingue come il francese, il giapponese e l’inglese non sono per niente melodiche.

Oltre ai ruoli dalle opere di Verdi, ce ne sono altri che le sono particolarmente vicini?

Oltre a quelli nelle opere di Verdi amo il Boris Godunov, il capolavoro di Modest Mussorgsky. Un grande ruolo, il sogno di ogni basso. Ho avuto il piacere di esibirmi come protagonista in Boris aprendo la stagione 2018/19 al Teatro Bolshoi di Mosca. Il 24 febbraio dell’anno scorso, subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ho cancellato le esibizioni programmate lì. Il ruolo di Godunov
è molto complesso, richiede un bel canto e un enorme contributo emotivo e recitativo. È incomparabilmente più coinvolgente di un’altra grande parte di basso, Filippo II nel Don Carlos di Giuseppe Verdi. È necessaria una gamma ancora più ampia di mezzi esecutivi per trasmettere le emozioni del protagonista, che si esprimono sia nella parte vocale che nello strato orchestrale. A novembre di quest’anno avrò il piacere di debuttare al Teatro Lirico di Cagliari come Mefistofele nell’omonima opera di Arrigo Boito. È un altro ruolo da sogno. È esigente in termini di recitazione, voce e anche forma fisica, perché il personaggio è quasi tutto il tempo sul palco. Altri ruoli che amo sono solo dalle opere di Verdi: Filippo II in “Don Carlos”, Zaccaria in “Nabucco”che è il mio biglietto da visita, “Attila” o Fiesco dall’opera “Simon Boccanegra”.

Ci sono registi con cui le piace particolarmente lavorare?

Senz’altro Hugo de Ana, il regista argentino con cui ho avuto il piacere di lavorare al mio primo Filippo II al Teatro Regio di Torino, in seguito ci siamo conosciuti a “La sonnambula” al Teatro Verdi di Trieste e all'”Aida” di Madrid. Un regista meraviglioso che fa tutto il lavoro dalla scenografia, attraverso i costumi, la regia, le luci, il movimento scenico. Lavorare con lui mi ha insegnato molto. Ma devo dire che dal punto di vista pratico, i due registi che mi hanno formato e hanno avuto il maggiore impatto sul mio lavoro sono stati due polacchi: Marek Weiss-Grzesiński e Ryszard Peryt. Ho avuto la fortuna che durante i primi anni dei miei spettacoli teatrali ho potuto imparare il teatro da loro. Anche il lavoro dello scorso anno con il regista italiano Stefano Poda, al Teatro Colon di Buenos Aires, è stato molto stimolante. Sono contento perché quest’anno andrà in scena la sua versione di “Aida” in occasione della 100^ edizione del Festival Lirico di Verona. Ci sono già cinque diverse versioni di quest’opera e ogni anno una o due versioni vengono presentate a Verona, ovviamente ognuna da un regista diverso.

Aida / fot. EnneviFoto

Questo è un elemento molto interessante del Festival. L’opera è una forma artistica che va avanti nella sua forma originale da anni o si sta evolvendo?

Si sta evolvendo, anche se molto dipende dal paese. In Italia o in Spagna, ad esempio, il pubblico è più conservatore e le produzioni eccessivamente moderne possono incontrare una reazione sfavorevole, compresi i fischi. In Germania, invece, non si inscenano quasi mai gli spettacoli classici. La cosa più importante, secondo me, è mantenere la coerenza logica delle prestazioni quando si cercano nuovi contenuti. Tuttavia, se ti allontani completamente dal testo e non c’è alcun messaggio, diventa difficile capire lo spettacolo. A mio parere, è importante che l’opera come genere si sviluppi rispettando il lavoro sia del compositore che del librettista.

Nabucco / fot. EnneviFoto

Che tipo di musica ascolta nel tempo libero?

Ascolto soprattutto buona musica. Un po’ quello che ascoltano i miei figli, ad esempio Amy Winehouse, Adele o i classici: Tony Bennett o persino Elvis Presley. Avendo tre figli, sono al corrente su ciò che ascoltano i giovani d’oggi. A casa nostra si può sentire anche Aretha Franklin o, il mio preferito, Stevie Wonder. Mi piace anche ascoltare musica classica e jazz. Per quanto riguarda l’opera, a causa della mia professione, la ascolto così tanto che nel tempo libero cerco di scegliere altri generi.

Nabucco / fot. EnneviFoto

Se avesse l’opportunità di vivere in Italia, quale città sceglierebbe?

Quando sono a Verona, mi fermo sempre a Colombare sul Lago di Garda, vicino a Sirmione. Da quando ho iniziato a cantare regolarmente a Verona, cioè dal 2014, affitto un appartamento lì e ci passo di solito più di un mese. Amo anche le Dolomiti, vado regolarmente a San Vito di Cadore. È difficile scegliere un posto. L’Italia e i sapori italiani sono meravigliosi. In nessun luogo il caffè ha un sapore così buono come in Italia, e le conversazioni più interessanti si svolgono dopo lo spettacolo o dopo le prove, quando otto italiani discutono su modi diversi di preparare lo stesso piatto. La cucina italiana è meravigliosa. Anche i miei figli, che dalla nascita passano in Italia diversi mesi all’anno la adorano. Hanno i loro piatti e dessert preferiti e conoscono i ristoranti dove si può mangiare di gusto.