Oskar Winiarski, da Cracovia alla conquista dei palchi teatrali italiani

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O. Winiarski, E. D'Arigo, G. "Le affinità elettive" di A. Baracco, foto di Guido Mencari

Oskar Winiarski, diplomato all’Accademia Teatrale di Cracovia, ha passato gli ultimi anni sui palchi teatrali italiani più importanti. Come afferma lui stesso dopo un periodo così intenso, durante cui ha assorbito lingua, cultura, cucina insieme alla bellezza delle regioni e delle città italiane, ora sente un vuoto enorme perché l’Italia crea dipendenza. A marzo doveva iniziare un’altra tournée con lo spettacolo “Le affinità elettive” basato sul romanzo di J.W. Goethe ma purtroppo la pandemia ha ostacolato i suoi piani artistici.

Le tue “affinità elettive” con l’Italia sono iniziate abbastanza presto?

Sì, grazie al lavoro di mia madre, l’Italia è sempre presente nella mia vita. Ci passavo le vacanze e già da ragazzino parlavo un po’ di italiano. Ho imparato leggendo i fumetti e guardando la tv. Poi mia madre ha sposato un italiano, è nato mio fratello e ci siamo trasferiti a Milano. Ho iniziato il liceo linguistico Manzoni in cui ho passato tre anni veramente duri. Immagina un polacco che deve imparare le lingue straniere e tutte le altre materie in italiano, ovvero in una lingua che non conosce perfettamente. È stata un’esperienza estrema ma la apprezzo molto perché ho imparato un sacco di cose. Mi piacevano tanto la storia dell’arte e la filosofia che sono obbligatorie nel programma scolastico italiano. Ho avuto insegnanti straordinarie di queste due materie e sono state loro a indirizzare i miei interessi.

Nessuna tentazione di continuare gli studi in Italia? Alla fine Milano è una città con una ricca offerta culturale e ci sono anche le scuole di recitazione?

Dopo quei tre anni ero deciso a fare l’attore e sapevo che volevo provare ad entrare nelle accademie teatrali polacche. È vero che avevo pensato anche al Piccolo Teatro di Milano, uno dei più conosciuti teatri in Europa che ha anche la propria scuola ma alla fine ho scelto la Polonia. Ho fatto gli esami d’ammissione a Cracovia e Varsavia ma senza successo. Ho deciso di prepararmi bene e riprovare un anno dopo. Mi sono iscritto alla scuola Lart studio di Cracovia che fa corsi preparatori per gli esami all’Accademia Teatrale. È stato un anno stupendo, ho conosciuto persone fantastiche e finalmente ho avuto modo di divertirmi e recuperare il periodo del liceo che a Milano avevo dedicato allo studio. Purtroppo neanche la seconda volta sono riuscito ad entrare anche se ho provato dappertutto, dipartimento delle marionette e scuole di danza inclusi. Ho realizzato il mio sogno con la terza prova, non mi sono arreso solo grazie ai miei genitori, che entrambi sono artisti. 

“Il maestro e Margherita”, in foto da sinistra: O. Winiarski, G. Agrusta, A. Pezzali, M. Nani, F. Bonomo, M. Riondino, F. Rosellini, D. Sepe, F. Bolo Rossini, C. Balucani, C. Fiocchetti; foto di Massimiliano Serci

Come mai sei finito sui palchi teatrali italiani?

Nonostante gli studi in Polonia non ho mai perso i contatti con l’Italia, non solo grazie alla famiglia, ho anche partecipato due volte ai workshop all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma. Dopo la laurea ho fatto fatica a trovare lavoro. La laurea per gli attori è spesso un momento difficile in cui molto spesso cambiano la professione. È un periodo quando finiscono le borse di studio, gli sconti e non si sa dove sbattere la testa. Io il mio primo lavoro lo ho trovato per puro caso e la sorte ha voluto che fosse proprio in Italia. Era un progetto di messa in scena di alcuni racconti del “Decamerone” di Boccaccio con la regia di Andrea Baracco. Lo spettacolo doveva andare in scena all’aperto al Casale Pio V a Roma. Ho un bel ricordo di quella collaborazione. Anche il regista era contento del mio lavoro perché subito mi ha invitato a partecipare al suo nuovo spettacolo, questa volta si trattava de “Il maestro e Margherita” di Bulgakov al Teatro Stabile dell’Umbria.

È un teatro composto da una rete di palcoscenici distribuiti in tutta la regione, dove avete provato?

Le nostre prove si tenevano a Solomeo, vicino a Perugia, al Teatro Cucinelli che ha una storia interessante. La cittadina è così pulita e curata che sembra di essere in Svizzera. L’edificio del teatro è stato fondato da un imprenditore, Brunello Cucinelli, che ha fatto fortuna vendendo il cashmere, è persino chiamato il re del cashmere! Lui è sponsor del teatro e direttore artistico. Ultimamente ha anche aperto un negozio in Piazza Tre Croci a Varsavia.

Insomma hai fatto un esordio da invidiare!

Un debutto a teatro si ricorda sempre e nel mio caso si trattava del primo ruolo importante dopo la scuola e in più all’estero! Ero felice e molto grato per questa possibilità. Inoltre il progetto era più grande delle mie aspettative, con una tournée per tutta l’Italia. Il regista mi ha assegnato un doppio ruolo: di Ivan Bezdomnyj ovvero un giovane poeta e di un personaggio ispirato a Gesù: Jeshua Ha-Nozri che appare in una scena con Ponzio Pilato. A dire il vero mi immaginavo diversamente la mia carriera. Pensavo di lavorare di più nei teatri polacchi e di avere ogni tanto un ruolo nei film italiani invece è proprio il contrario.

O. Winiarski, M. Riondino, “Il maestro e Margherita” di A. Baracco, foto di Guido Mencari

Non è stato difficile abituarsi ai ritmi lavorativi italiani?

In Polonia gli attori lavorano in teatro a tempo pieno oppure lavorano in proprio. In Italia invece si lavora a contratto in tournée. Il nostro è durato tre mesi e secondo alcuni era poco. Mi hanno raccontato che una volta le tournée duravano fino a otto mesi. Tuttavia, per me, quei tre mesi sono stati già tanti: ho avuto un lavoro da sogno, mi pagavano e ho girato tutto il paese dalla Svizzera a Catania. Sono stato fortunato. Nel giro di sei mesi abbiamo fatto 70 spettacoli. Un lavoro sfinente ma molto gratificante.

Hai notato qualche differenza nella preparazione degli attori italiani e nel loro approccio verso l’adattamento teatrale dei testi? 

Bisogna dire che in Italia si apprezzano molto gli attori polacchi, soprattutto per il coraggio e per l’impegno nel lavoro. La scuola italiana è sicuramente più classica e dura solo tre anni. Inoltre il teatro rimane sotto forte influenza dell’opera. I registi e gli attori hanno un immaginario visivo, prima dello spettacolo si pensa alla composizione scenica oppure ai costumi. Baracco ad esempio aveva cercato di evitare i nuovi media e mantenere il modo tradizionale di narrazione teatrale. Quando avevo ricevuto la notizia che avrei partecipato a “Il maestro e Margherita” mi ero subito chiesto in che modo il regista avrebbe unito il testo con la realtà di oggi. Nel testo ci sono tanti richiami al mondo odierno: si parla di censura, di libertà degli artisti e della parola. Ero sicuro che la scelta del regista sarebbe stata dettata dal bisogno del tempo. Invece ho scoperto che il teatro è completamente staccato dalla realtà socio-politica. Abbiamo fatto un ottimo adattamento dell’opera senza nessun richiamo alla contemporaneità. In Polonia il teatro spesso contesta la realtà provocando conflitti con il governo. Gli artisti tendono a prendere la parola nelle questioni importanti. In Italia invece ho avuto impressione che il teatro serva solo all’intrattenimento. 

foto: Guido Mencari e Massimiliano Serci