Al Rione Sanità bisogna andarci senza pregiudizi, con la mente aperta e con il cuore che batte. Perché il Rione Sanità è la quintessenza di Napoli, al di là del bene e del male. Miseria e nobiltà, delitto e bellezza, castigo e sorriso, vicoli scuri e cupole innalzate nell’azzurro del cielo: è una storia lunga millenni che si sente palpitare a ogni angolo, dai sottoportici alle piazze. Ogni napoletano del Rione, sorto appena fuori le antiche mura aragonesi e sotto l’ombra protettrice di Capodimonte, si sente più napoletano di ogni altro cittadino.
E ha ragione, probabilmente, perché il suo quartiere può renderlo felice o può dannarlo, più di quanto possa fare il resto della città. Ma può anche bastargli una vita, senza mai sentire il bisogno di uscirne a cercare il mare e altri orizzonti.
Qui, a via Santa Maria Antesaecula, è nato Totò, il grande attore, il principe della risata, che adesso primeggia tra i murales che da anni hanno cominciato a decorare le mura di tufo degli antichi palazzi, scalfite dalla Storia e dalla decadenza, e per il quale si attende da anni e anni che la sua casa natale diventi un museo. Intanto fuori al portone cisi può far scattare una foto da un intraprendente ambulante abusivo che vende magneti e souvenir. Questo è il rione del sindaco di Eduardo De Filippo, la celebre e celebrata commedia del 1960. Ma la Sanità è pure il quartiere della camorra che qualche anno fa ha lasciato morto sui basoli bollenti un adolescente, colpevole solo di trovarsi per strada durante una “stesa” (i raid in moto dei giovani delinquenti dei clan rivali che percorrono di notte le strade del rione sparando all’impazzata per imporre un loro predominio territoriale). Però la rinascita e una forte presa di coscienza della Sanità civile e perbene sono in atto da tempo, grazie anche all’attività di parroci come Antonio Loffredo che coinvolge mamme e giovani in efficaci attività legali e redditizie. La nera nebbia della malavita comincia a diradarsi.
Eppure basta passeggiare per qualche ora nel rione, entrando da piazza Cavour e immergendosi subito nel mercato di piazza Vergini per essere travolti dall’oleografia più pittoresca di Napoli. Un palcoscenico di chiese barocche e di botteghe stracolme che espongono per strada la merce come in un bazar del Medio Oriente. Profumi e fetori, colori e voci, musica dai balconi, tazzine di caffè bevute in fretta e in piedi davanti ai banconi dei bar. Il concentrato della vita popolare è qui. Poi tocca avviarsi verso la grande chiesa del Monacone (San Vincenzo Ferrer), ovvero Santa Maria della Salute, cuore della Sanità, e allora si resta incantati dalle scale del settecentesco Palazzo dello Spagnolo e del suo gemello Palazzo Sanfelice, pensati come quinte teatrali di uno spettacolo quotidiano, gratuito, dove ognuno è nel medesimo tempo attore e spettatore. Lungo il percorso troverete pizzerie (come l’imperdibile Concettina ai Tre Santi) e pasticcerie (come Poppella), perché alla Sanità il cibo è nutrimento e cultura, piacere della gola e della vista.
Il quartiere è nato nel XVI secolo, appena a nord del centro antico, dei Decumani, e probabilmente prende il nome dalla sua natura di vallata salubre, stretta tra Capodimonte e Caponapoli (l’antica acropoli greco-romana), subito dopo l’area acquitrinosa fuori porta San Gennaro. Ma la Sanità esisteva già prima di nascere. Perché, come hanno dimostrato le recenti indagini nel sottosuolo, qui la vita e la morte si confondevano da secoli. Non ci sono solo le magnifiche catacombe paleocristiane, aperte al pubblico e gestite da una cooperativa di giovani del rione. Scavando scavando, son venuti fuori pezzi dell’Acquedotto Augusteo, gli ipogei ellenistici e tutta una città sotterranea che sta cominciando ad attrarre sempre più turisti che nemmeno la recente pandemia ha completamente fermato. Così gruppetti di italiani e di stranieri si avviano volenterosi e curiosi fino al cimitero delle Fontanelle, un’enorme caverna che per secoli ha raccolto le ossa e i teschi di migliaia e migliaia di morti per peste e colera e i resti di corpi precedentemente seppelliti nelle chiese e poi trasportati in questo luogo dove si riesce a spettacolarizzare e rendere umano e trascendente, orrido e familiare persino l’Aldilà.
Attorno e sopra questi resti sparsi dell’antichità sono sorti dei quartieri nel quartiere. La Sanità pur essendo un rione urbanisticamente concentrato, chiuso e sufficiente a sé stesso, si divide in tanti altri microcosmi che all’occhio del residente si trasformano in pianeti lontani. Provate a chiedere a un abitante della Sanità come andare, per esempio, ai Cristallini, o ai Miracoli, ai Cagnazzi, ai Cinesi, alle stesse Fontanelle, tutti angoli distanti tra loro poche centinaia di metri, provate a domandare: vi risponderanno con gesti, sguardi e parole di supremo stupore, spiegandovi che sono luoghi lontanissimi, pianeti persi nello spazio che girano attorno al sole della chiesa della Salute. Eppure stanno lì, a due passi. È che l’uomo della Sanità non si sente solo al centro di Napoli, ma immagina di essere collocato al centro del sistema solare, anzi del cosmo. E sa bene che quello che gli accade attorno si ripeterà ciclicamente come l’eterno ritorno, nel quale sono immersi insieme a tutti i napoletani, ignari dell’eterno riposo.
***
Pietro Treccagnoli vive a Napoli e per quasi quarant’anni ha lavorato al “Mattino”. Ha scritto di cultura, spettacoli, cronaca e soprattutto di Napoli alla quale ha dedicato alcuni dei suoi libri: “Elogio di san Gennaro” (Pironti), “Il Lungomare” (Rogiosi), “La pelle di Napoli” (Cairo), “I Quartieri Spagnoli” (Rogiosi), “L’Arcinapoletano” (Guida).
Passa le sue giornate da pensionato ascoltando Mozart, Bruce Springsteen e Pino Daniele. Se non siete troppo invadenti potete chiedergli l’amicizia sui social.