Mostra del Cinema di Venezia, un ponte tra le culture

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LIDO VENEZIA 09/09/17 - 74a Mostra del Cinema. Fotografi sul red carpet. ©Andrea Pattaro/Vision

La Mostra di Venezia, il più antico festival del cinema al mondo, nacque quale sezione della Biennale nel 1932, quando il cinema passava dal muto al sonoro. Una rassegna definita internazionale fin dalla prima edizione cui parteciparono ben 37 pellicole, tra cortometraggi, lungometraggi e documentari, provenienti da Italia, Francia, Germania, USA, URSS, Gran Bretagna, Olanda, Polonia e Cecoslovacchia. Primo film proiettato, il 6 agosto 1932, fu “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” dello statunitense Robert Mamoulian sulla terrazza dell’Hotel Excelsior del Lido, il lussuoso albergo che tuttora accoglie nelle sue atmosfere liberty-moresche tanti protagonisti dello star system cinematografico.

Il carattere biennale della Mostra fu mantenuto solo per la successiva edizione del 1934 dato che il successo della manifestazione indusse gli organizzatori non solo a renderla annuale ma a realizzare, a poche centinaia di metri dall’Excelsior, il nuovo Palazzo del Cinema, con l’attiguo Casinò (ormai da tempo riconvertito a servizio della Mostra), nello stile razionalista dell’epoca.

La storia della Mostra del Cinema è inevitabilmente connessa alle vicende socio-politiche susseguitesi in quasi novant’anni di storia della manifestazione. Dopo i primi anni di grande apertura internazionale seguì una pressione politica che rese via via la rassegna sempre più autarchica, limitata ai Paesi alleati prima dell’incombente conflitto. Nonostante la crescente influenza dell’oscurantismo culturale già in queste prime edizioni della Mostra approdano al Lido film, registi e attori che hanno indelebilmente segnato la settima arte, tra questi, solo per citarne alcuni, i registi Rene Clair, John Ford, Frank Capra, l’esordiente Roberto Rossellini; gli attori Jean Gabin, Amedeo Nazzari, Paola Borboni, Vittorio De Sica, Hedy Lamarr, al secolo Hedy Kieslerova, resa celebre per essere stata la prima attrice nuda sullo schermo nella pellicola cecoslovacca Extase; e film come “La grande illusion” di Renoir, “Olympia” di Leni Riefensthal, “Biancaneve e i sette nani” di Walt Disney. Alla rinascita dell’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale corrisponde il rilancio della rassegna veneziana che dal 1946 al 1968 accoglie il meglio della produzione cinematografica mondiale tenendo parallelamente a battesimo il Neorealismo e poi la Commedia all’italiana. In un’Europa divisa dalla cortina di ferro la Mostra di Venezia, così come tutte le manifestazioni della Biennale, ha poi il grande merito di aver sempre tenuto aperto il dialogo artistico tra Est ed Ovest, prova ne sono la costante presenza a Venezia di film dei paesi cosiddetti socialisti al fianco delle produzioni hollywoodiane, del cinema d’autore, soprattutto italiano e francese, oltreché dei film del lontano oriente. Da Kubrick, a Venezia con “Lolita“, a Visconti, da Fellini a Monicelli, da Tarkovskij (Leone d’oro per “L’infanzia di Ivan“) a Kurosawa, da Alain Delon a Brigitte Bardot, da Wajda a Pasolini, da Mastroianni a Gassman a Rosanna Schiaffino, da Catherine Deneuve a Michelangelo Antonioni, solo per provare a ricordare alcuni degli innumerevoli protagonisti del firmamento cinematografico dell’epoca arrivati in laguna prima che il furore della rivoluzione culturale del 1968 si abbatta sulla Mostra, una contestazione che si impone trasformando l’evento veneziano, dal 1969 al 1979, in una rassegna non competitiva.

I Leoni d’oro tornano nel 1980 con la vittoria a ex aequo di “Alessandro il Grande” di Theo Angelopoulos, “Atlantic City” di Louise Malle e “Gloria” di John Cassavetes. Primo Leone d’Oro ad una regista donna l’anno seguente a Margarethe Von Trotta per “Anni di Piombo”. Insomma sulle ali del leone la Mostra riprende il suo volo di ricerca sulla cinematografia mondiale ed ecco arrivare al Lido Wim Wenders “Lo stato delle cose”, Rainer Fassbinder, Peter Greenway, Moretti, Chabrol, Scorsese, James Ivory, Zanussi, Kieslowski, Peter Weir… con una copiosa partecipazione del cinema del “Far East”, Zhang Yimou e Mira Nair, “Monsoon Wedding”, solo per citarne due.

E via così fino alle recenti edizioni con le star, Nicole Kidman, Tom Cruise, Lady Gaga, Johnny Depp, Joaquin Phoenix…, che non si avventurano più tra le capanne per farsi fotografare sulla spiaggia del Lido, né tantomeno si mescolano tra gli avventori dei bar e dei ristoranti, ma transitano, rigorosamente inavvicinabili, dalle camere dorate degli alberghi al tappetto rosso del Palazzo del Cinema racchiuse nella loro inscalfibile nuvola di notorietà.

Lady Gaga / fot. Matteo Tagliapietra

Anche la vita dei paparazzi, irregimentati davanti al “photo call” per la foto “segnaletica” delle star, non è più quella avventurosa e divertente degli Anni Sessanta, quando le stelle e stelline del cinema avevano bisogno di creare o certificare la loro popolarità attraverso i lampi dei flash. Ma anche se i tempi cambiano l’animo dei fotografi non si è imborghesito, la voglia dello scoop è rimasta. E così a bordo di sfreccianti barchini immortalano ancora sguardi complici e sventolio di gambe maliziose delle star che si fanno traghettare da Venezia al Lido a bordo degli eleganti taxi acquei che in laguna si narra siano, in caso di necessità, inconsueto teatro di relazioni amorose.

Tutto questo è ancor oggi dopo quasi novant’anni il meraviglioso, onirico, caravanserraglio del cinema, virtuale rappresentazione di crude realtà, di sogni audaci o di incubi inquietanti che ci fanno provare concrete emozioni.

Un indefinibile mondo d’arte e glamour che, grazie all’efficace organizzazione della Biennale, in laguna è andato avanti in presenza, a differenza di altri festival, nonostante la peggiore pandemia dell’ultimo secolo. Ma forse questo è solo un altro dei miracoli della “Fiaba di Venezia”, la città dove i piccioni camminano, i leoni sono alati, i palazzi escono dall’acqua e l’umanità si sposta in vaporetto, insomma il set ideale per ospitare l’effimera, magnifica, sconfinata, arte cinematografica. Un piacere di cui non possiamo, né vogliamo, fare a meno.