Mestiere traduttore, fedeltà a se stessi

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Jadwiga Miszalska

Quando sogni segretamente di diventare un traduttore è una grande gioia incontrare Jadwiga Miszalska, italianista polacca, studiosa di lettere e professoressa all’Università Jagellonica. Onorata dal Presidente dell’Italia con il Premio Onorificenza Stella d’Italia per il suo lavoro volto ad avvicinare la cultura italiana al lettore polacco, è anche teorica della traduzione e traduttrice.

Cos’è la cultura italiana per un polacco e come viene percepita?

L’Italia è per la Polonia un punto di riferimento costante in termini di cultura e storia sin dal XVI secolo, e anche prima. Ricordo un cliché: sono due paesi che si menzionano reciprocamente negli inni nazionali. L’intero XIX secolo, cioè la lotta per l’indipendenza, il cosiddetto Risorgimento in Italia, e le rivolte nazionali in Polonia, si intrecciavano. Probabilmente abbiamo anche una natura simile. Spesso ci consideriamo una sorta di Italiani del Nord. Queste affermazioni sono banali, ma c’è qualcosa di vero. Inoltre è molto facile fare amicizia con qualcuno che è lontano, invece non sempre andiamo d’accordo con i vicini.

Tanti giovani polacchi si vantano di conoscere l’Italia come le loro tasche, perché ogni anno ci vanno in vacanza. Cosa significa, secondo Lei, conoscere l’Italia?

Si può andare in Italia come turista, fermarsi in un albergo elegante a Bibione, visitare Firenze, Roma e dire che si conosce l’Italia. Secondo me si può conoscere l’Italia in un modo completo quando abbiamo amici italiani e si va in un piccolo paesino con un solo ristorante riservato agli abitanti. Quando visito l’Italia, evito le grandi città. Cerco di scegliere i luoghi che non sono d’interesse turistico, paesini che hanno sempre una qualche chiesetta del 15° secolo. Si deve sottolineare che l’Italia non è definibile in modo univoco. Quando si va al nord e al sud, ci si scontra con due mondi completamente diversi. Dirò di più, ogni regione ha una popolazione con una cultura diversa. Non so se sia possibile conoscere l’Italia pienamente.

Conosciamo la cultura italiana già a scuola, grazie alla Divina Commedia di Dante o ai sonetti di Petrarca. Come l’insegnante dovrebbe introdurre allo studente i testi così difficili per incoraggiarlo a leggere la letteratura italiana?

È un compito difficile. Le Tre Corone, cioè Dante, Petrarca e Boccaccio, i tre grandi scrittori del tardo medioevo, sono difficili da comprendere non solo per i polacchi, ma anche per gli italiani, soprattutto Dante. È difficile, quindi, richiedere a uno studente polacco di entrare facilmente in questa tematica. Gli insegnanti dovrebbero sottolineare che questi autori scrivevano in volgare, perché tutta la letteratura medievale italiana è stata scritta in lingue vernacolari; queste erano lingue moderne, a volte chiamate come dialetti. Penso che l’insegnante debba prestare attenzione a ciò che è diverso e collega entrambe le culture, ovvero il fatto che il Medioevo in Polonia era diverso dalla realtà italiana, proprio in termini di uso della lingua, cultura di corte, ecc. Invece quello che ci univa era la base giudeo – cristiana e la cultura mediterranea che, insieme al cristianesimo, è arrivata fino a noi e per noi è molto importante. Petrarca generalmente non viene letto nelle scuole, ad eccezione dei Sonetti a Laura, tradotti da Jalu Kurek. Tuttavia il Canzoniere non è composto solo dai sonetti e non solo da quelli a Laura. La scelta dei testi dipende principalmente dagli insegnanti, pertanto il docente polacco dovrebbe approfondire la sua conoscenza della letteratura e della cultura italiana facendo riferimento a manuali di qualità. Dall’altro lato, so che è difficile perché di solito non c’è abbastanza tempo per completare il programma.

Quali autori della letteratura italiana sono accessibili alle persone che iniziano la loro avventura con la cultura italiana, e quali consiglia a chi vuole confrontarsi con il testo originale?

Quando si parla della letteratura che è facile da leggere e linguisticamente accessibile, consiglio i gialli, ad esempio quelli di Carofiglio o Camilleri (però quest’ultimo utilizza il dialetto siciliano). Tra le letture più ambiziose, vale la pena citare alcuni scrittori apprezzati nel mondo come Italo Calvino o Antonio Tabucchi. Pensando alla letteratura del ‘900, credo che si debbano leggere sempre autori come Tomasi di Lampedusa, Alberto Moravia o Elio Vittorini (compreso “La Conversazione in Sicilia”). Questi sono autori fondamentali.

Si ritiene che un traduttore, per apportare qualcosa di personale alle sue traduzioni, debba occuparsi anche di qualcos’altro, ad esempio essere un giornalista o un politico. Vede differenze tra le traduzioni fatte da persone che provengono da professioni diverse?

Mi occupo di traduzioni nel senso teorico più che pratico. Mi interessa principalmente la figura del traduttore, il cosiddetto translator studies, le ultime tendenze nella teoria della traduzione vanno in questa direzione. Il traduttore non è mai solo un traduttore. Lui vive in un ambiente specifico, ha un certo capitale culturale. Di solito si sostiene che le traduzioni accademiche siano molto corrette, ma non necessariamente avvincenti. Io stessa, mentre traducevo Petrarca, ho passato alcuni mesi a lavorare su un sonetto e mi sembrava sempre imperfetto. Jalu Kurek, che era un poeta e scrittore, aveva tradotto questi sonetti magnificamente, ma a volte si discostava troppo dall’originale. Il poeta-traduttore diventa spesso un poeta più che un traduttore. Attualmente sto scrivendo un articolo sulla traduttrice del 19° secolo Waleria Marrené-Morżkowska, che era una pubblicista, giornalista, scrittrice, femminista e anche traduttrice. Tutte le sue traduzioni dipendono assolutamente da chi era nella vita. Il suo esordio letterario fu una traduzione, poi si guadagnò da vivere scrivendo, mantenendo se stessa e tre figlie. Successivamente, si rivelò come femminista: traduceva i testi delle donne o sceglieva quelli in cui la donna interpreta il ruolo principale. Nessuna delle sue traduzioni è banale. Sceglieva i testi che riteneva importanti e che voleva condividere, scrivendo saggi su questo tema.

Umberto Eco diceva che “tradurre significa dire quasi lo stesso”. Dove lo troviamo, questo “quasi”?

Eco non specifica di che cosa si tratta. Penso che la lingua possa essere affrontata e che il “quasi” si trovi nelle differenze culturali. Eco afferma che la traduzione sia una negoziazione costante. Proprio questo è il motivo per cui vengono create serie di traduzioni, perché diversi traduttori negoziano in modo diverso. È affascinante. Non posso rispondere inequivocabilmente alla domanda se si dovrebbe o meno rimanere sempre il più fedeli possibile all’originale, ma non ci si può discostare troppo dall’autore. Barańczak menziona il sottolineare quello che è più importante nel testo. Il traduttore non può tenere tutto, ma deve cercare una linea dominante. Soprattutto, dovrebbe essere fedele alle proprie scelte.

Tadeusz Boy-Żeleński e Julian Tuwim consideravano le traduttrici poco istruite che non hanno nulla da fare e traducono solo grazie alla loro conoscenza della lingua. Le donne lottano ancora per una posizione di parità rispetto agli uomini nella professione di traduttrice?

La traduzione letteraria è sempre stata ed è fino ad oggi un campo femminile. La donna viene talvolta definita la traduttrice eterna, considerando questa espressione in due modi. Da un lato è una donna che realmente lavora come traduttrice e dall’altro è una traduttrice della lingua dei maschi. Nei suoi testi, la donna spiega il mondo descritto dagli uomini. Le traduttrici femministe, d’altra parte, chiedono di trovare la propria lingua femminile nella traduzione. Guardando il modo in cui una donna entra nei mondi letterari, e in Europa questo accadeva nel 19° secolo, vediamo emancipate e suffragette che spesso sono anche giornalisti, che lottano per il diritto al voto e all’istruzione. Definirei queste donne non tanto traduttrici quanto mediatrici transculturali. Mediatrici, perché non solo traducevano i testi, ma scrivevano anche commenti. Tra il 1870 e il 1930 ne troviamo molte di queste donne. Quando si impara a conoscere la loro storia, si può vedere quanto sia ingiusta l’opinione di Boy e Tuwim. Grazia Deledda fu Premio Nobel per la Letteratura nel 1927 come unica donna italiana e seconda donna al mondo. Era stata precedentemente tradotta in polacco solo da donne. Poco dopo aver ricevuto il premio mondiale, Leopold Staff traduce immediatamente i suoi due romanzi. Quindi ci deve essere una consacrazione. Quando una donna entra nel mondo della cultura, un uomo comincia ad accettarla e tradurla.

Al giorno d’oggi, le donne non devono più lottare per la loro posizione nel mondo delle traduzioni. È un tipo di lavoro che ci consente di unire diversi ruoli sociali, ecco perché penso che molte donne scelgano questo mestiere anche per questo motivo. Un traduttore generalmente, indipendentemente dal sesso, è discriminato nel mercato editoriale perché è un mestiere mal pagato e molto spesso trascurato. Spesso il suo nome appare scritto in minuscolo oppure non appare affatto. Ad esempio, mi dà fastidio che sui manifesti teatrali che promuovono opere di autori stranieri non venga indicato il nome del traduttore, eppure, ad esempio, Shakespeare aveva molti traduttori.

Quindi vale la pena diventare un traduttore?
Chiaro che sì! La traduzione è una combinazione di imitazione ed emulazione. Imito il prototipo, ma anche per dimostrare che posso fare altrettanto bene, o forse anche meglio. Personalmente ritengo che, ad esempio, la traduzione di “Do trupa” di Morsztyn sia migliore rispetto all’originale di Marino. Il traduttore ha anche una funzione sociale molto importante. Questa professione è sempre esistita. All’inizio c’era una traduzione. Senza di essa non c’è cultura, non c’è comunicazione tra nazioni, tra persone. Penso che il ruolo del traduttore sia fondamentale nella capacità di parlare, anche in situazioni in conflitto.

Quale differenza Lei vede tra uno studente di filologia straniera di oggi e quello di 30 anni fa? I giovani adepti all’arte della traduzione possono essere traduttori più efficienti grazie alla tecnologia?

Vedo una differenza fondamentale: una minore autonomia. 30 anni fa uno studente si recava in biblioteca e cercava una bibliografia per la sua tesi, poi veniva a chiedere eventualmente consulenze e consigli. Oggi, lo studente pensa che tutto debba essere trovato su Internet, e la soluzione migliore sarà quella che il promotore fornirà una bibliografia completa sul suo argomento della tesi. Purtroppo quello che ho notato già a livello di laurea sono i tanti lavori di studenti che sono frutto di plagio, ovvero frammenti scaricati e incollati tra loro dai siti web. Ci sono lavori in cui ci sono persino dei link, quindi non si deve cercare da dove sono stati scaricati. Ci sono ovviamente gli studenti che sanno creare cose meravigliose. È qui che entra sulla scena la tecnologia. Quando traduco qualcosa, succede che mi aiuto con la base dei sinonimi o un sito in cui si possono cercare le rime. Non ho mai usato traduttori “pronti”, forse se scrivessi una lettera ufficiale, soprattutto in inglese, li userei e poi verificherei se il risultato è accettabile. Nel caso di traduzioni di belles lettres, non dovrebbero essere usati. Il traduttore pronto ci impone delle scelte stilistiche. Se devo tradurre solo una trama, posso usarlo (ad esempio, quando traduco arlecchino), ma con le belles lettres, che per me sono più di una semplice trama, non è possibile. Quando si traducono istruzioni o lettere ufficiali, un tale traduttore può essere utile perché velocizza il lavoro.

Ha mai desiderato diventare una scrittrice? Oggi sceglierebbe ancora la professione di traduttrice?

La mia famiglia voleva che studiassi medicina e, dopo il primo anno di filologia romanza, mi sono trasferita alla filologia italiana. Ho trovato qualcosa di nuovo e ho deciso di diventare italianista. Mi sono appassionata subito della letteratura. Quando ero bambina scrivevo poesie, ma se dovessi ricominciare la mia vita, prenderei esattamente la stessa strada. L’unica cosa che cambierei è che al liceo non cercherei di ricevere sempre i voti più alti nelle materie scientifiche, ma dedicherei più tempo a leggere. Non dico che queste materie non siano utili nella vita, perché a volte posso scioccare i miei studenti con conoscenze in vari campi, ma penso che guadagnerei di più se mi fossi dedicata subito alla lettura e non necessariamente all’apprendimento delle dinamiche di Newton. Ma allora il modello era diverso, si doveva avere una bella pagella e si doveva imparare tutto. Si deve avere una comprensione generale del mondo, ma senza esagerare.