Matteo Ogliari: Cracovia cuore d’Europa

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Arrivato da soli sei mesi Matteo Ogliari, nuovo direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, si è già perfettamente ambientato in Polonia.

Sono arrivato a Cracovia dopo aver passato circa due anni in servizio alla Farnesina presso l’Ufficio IX della Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese. Ero cioè nell’ufficio deputato alla cooperazione scientifica bilaterale, nel quale mi occupavo di gestire la rete degli Addetti Scientifici nel mondo (professionisti del mondo della ricerca “prestati” alla diplomazia scientifica ed in servizio presso le nostre Ambasciate ed i Consolati all’estero) ma anche di promozione della diplomazia scientifica dell’Italia. Sono stati due anni entusiasmanti, fondamentali non solo per comprendere il funzionamento della “macchina” ministeriale, ma anche per approfondire un settore, quello della ricerca scientifica e tecnologica, nel quale l’Italia vanta eccellenze a livello mondiale. Promuovere queste eccellenze, anche lavorando alla realizzazione di prodotti particolari, come un numero speciale di una rivisita di divulgazione scientifica a fumetti dedicato alla diplomazia scientifica, è stato un lavoro appassionante, soprattutto per me che provengo dall’ambito umanistico. Sono infatti uno storico di formazione, anche se mi sono laureato con due tesi in storia culturale della tecnologia, e ho fatto un po’ di ricerca e qualche pubblicazione sulla storia locale della Toscana. Prima di vincere il concorso al MAECI ho insegnato per quattro anni in una scuola superiore di Pescia (PT).

Una volta conosciuta la scelta del ministero di nominarti direttore a Cracovia qual è stata la tua reazione e quale effetto ti ha fatto la città quando sei arrivato?

Ho desiderato fortemente la sede di Cracovia: per la bellezza e vivacità di una città che mette insieme la storia (è l’antica capitale del Regno di Polonia, uno dei cuori dell’Europa medievale) con il fermento culturale e il dinamismo di una città giovane e universitaria. Non da ultimo, l’Istituto Italiano di Cultura a Cracovia veniva lasciato dal mio predecessore, il collega Ugo Rufino, dopo quasi otto anni di ottimo lavoro. Ho avuto quindi il privilegio di ricevere un’eredità importante e un Istituto in ottima forma, insieme alla missione di valorizzarli al meglio. I direttori vengono assegnati sulla base di una candidatura che, per obbligo, deve comprendere almeno tre o quattro sedi. Niente è dunque certo fino all’ultimo. Nel momento in cui le assegnazioni sono state pubblicate, insieme all’ufficialità della sede di Cracovia, non sarei potuto essere più felice. Questa città, oltre all’indubbia bellezza, è un luogo in cui è facile per un italiano sentirsi a casa. Arrivando, la prima grande sorpresa è stata scoprire come moltissimi polacchi decidano di studiare l’italiano, e chi lo fa arriva molto in fretta a parlarlo ad un ottimo livello.

L’Italia è una potenza mondiale in tutte le declinazioni della cultura, ma ci sono settori o temi che ti interessano particolarmente e che vuoi sviluppare durante il tuo mandato?

Come hai giustamente evidenziato, l’Italia è una potenza culturale. Ma invece che rivendicare primati secondo me “vuoti” (come, ad esempio, quello di Paese col maggior numero di siti Patrimonio Mondiale dell’UNESCO), credo sia più importante concentrarsi su quello che l’Italia ha da dare al mondo, in tanti ambiti diversi. Questo conduce al cuore della mia missione: non promuovere la cultura italiana in maniera unidirezionale, bensì stimolare il dialogo e il dibattito tra la nostra cultura e quella del Paese che ci ospita. La Polonia ha molti settori dinamici e di grande interesse – dalla musica alle arti performative, dall’arte contemporanea al teatro e al cinema – ed è un Paese nel quale l’interesse per l’Italia e per la nostra lingua e cultura è storicamente forte. Tutto ciò rappresenta una ricetta vincente per un dialogo profondo e costruttivo, il cui orizzonte è sempre quello di creare sinergia (siamo due grandi Paesi dell’Unione Europea) e soprattutto conoscenza e simpatia reciproca. Venendo ai settori di primario interesse, credo sia necessario operare un bilanciamento tra ciò che è stato nel tempo associato all’immagine nostro Istituto (che è anche ciò a cui la nostra utenza è più interessata, come ad esempio la musica classica e lirica) e l’apertura ad alcuni campi nuovi ma potenzialmente molto interessanti. L’immagine dell’Italia che vorrei trasmettere è quella di un Paese non soltanto legato alle proprie tradizioni culturali, ma in grado di creare innovazione a partire da queste tradizioni. Un Paese dunque in grado di proporre approcci e soluzioni alle grandi sfide del nostro tempo. La promozione scientifica e tecnologica, ad esempio, è un settore tradizionalmente “minore” nell’offerta degli Istituti e che, personalmente, mi sta invece molto a cuore. L’Italia vanta in questi campi delle eccellenze assolute, testimoniate ad esempio dalla recente mostra We Love Science, recentemente passata a Cracovia e a Varsavia, e da quella “Looking Beyond”, organizzata lo scorso dicembre in collaborazione con Telespazio. Un altro ambito molto interessante è quello della moda, settore “italiano” per eccellenza, ma sempre più aperto alla sperimentazione e all’innovazione.

Cracovia è una storica capitale culturale europea, in cui hanno sede tante istituzioni culturali, in questo contesto quale ruolo svolge l’Istituto Italiano di Cultura?

Il nostro Istituto è stato in grado, negli anni, di inserirsi appieno nel tessuto culturale di Cracovia. Dialoghiamo con tutte le principali istituzioni culturali e con i grandi festival per cui la città è famosa, contribuendo a portare sui loro palchi molti degli artisti italiani più importanti del momento. La reputazione di partner affidabile e prestigioso è il capitale più importante che abbiamo a disposizione, ed è mio obiettivo continuare ad accrescerlo nel tempo. Un primo passo è stata la firma recente di una lettera d’intenti con KBF – Krakowskie Biuro Festiwalowe, con la quale le nostre due istituzioni si impegnano a sostenersi reciprocamente nell’obiettivo di promuovere a Cracovia il meglio della cultura contemporanea. Su questa base, il prossimo anno l’italiano sarà tra le lingue ufficiali del progetto Traslatorium, un programma di tutoraggio per giovani traduttori letterari organizzato da Cracovia Città della Letteratura UNESCO, con l’obiettivo di sostenere l’editoria italiana in Polonia attraverso la formazione della prossima generazione di traduttori. Continueremo quindi a sostenere le principali istituzioni culturali, in un’ottica di reciprocità. Il nostro lavoro inoltre non si ferma a Cracovia. L’Istituto è competente per i sei voivodati della Polonia centro-meridionale, pertanto siamo chiamati a promuovere l’immagine dell’Italia in un’ampia area. Abbiamo realizzato e continueremo a realizzare eventi e manifestazioni in molte città, collaborando con le istituzioni e le autorità locali.

Quali aspetti della vita e della cultura polacca ti hanno colpito maggiormente?

Un automatismo condiviso da tutte le persone che vivono fuori dal proprio Paese di origine è quello di cercare similitudini e differenze. Nel caso polacco, su entrambi i versanti ce ne sono molte e notevoli. Ho subito un primo “shock” culturale nel corso di un incontro con gli studenti di italianistica di una delle università cracoviane. Presentando agli studenti alcune proposte culturali rivolte – pensavo! – ai giovani, come una mostra di arte digitale e un concerto di musica elettronica, mi sono sentito domandare da una ragazza del primo o secondo anno quando l’Istituto avrebbe portato a Cracovia un’opera di Donizetti. Ho quindi imparato a non sottovalutare mai l’amore dei polacchi per la musica lirica. Più in generale, penso vi siano grandi similitudini nella cultura dei nostri due popoli, dovute a esperienze storiche simili. Italiani e polacchi sono stati entrambi dominati a lungo da potenze esterne, motivo per cui si sono aiutati a vicenda nel corso del Risorgimento (quello italiano, come quello polacco). Il risultato sono due popoli composti da un’unione di influenze e tradizioni anche molto diverse tra loro, nelle quali l’identità culturale gioca un ruolo molto più importante dell’identità dei confini. In Polonia la cultura ebraica, tragicamente colpita dallo sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale, oppressa dalle autorità zariste prima e sovietiche poi, ha lasciato un segno indelebile nella cultura generale (basti pensare all’influenza sulla cucina). Similmente, in Italia si è cercato di creare un popolo foraggiando una comune identità culturale – costruita all’epoca dalla scuola, dalla televisione e dal servizio militare –, che prescindesse dalle mille differenze regionali. Un progetto di questa portata non potrà mai definirsi pienamente compiuto, ma per l’Italia come per la Polonia, la ricchezza sta nella diversità.