Tra i tanti gentiluomini del cinema italiano, come Fellini, Pasolini, De Sica o Visconti, spicca lei, una donna con telecamera e occhiali bianchi. Ecco Lina Wertmüller, regista dimenticata, quasi inesistente nella coscienza di massa. Eppure è la prima donna ad essere stata nominata agli Oscar come miglior regista. È la madre del cinema di Roma!
Correva l’anno 1977. Dopo qualche mese Agnieszka Holland debutterà nei lungometraggi. In Europa Agnès Varda, rappresentante della New Wave, festeggia i suoi nuovi trionfi. Mentre Liliana Cavani crea scalpore con il film “Il portiere di notte”. Non sono molte le donne regista. Alla nomination agli Oscar per la miglior regia, invece, c’è un presentimento: in mezzo alla cerchia di uomini, improvvisamente, appare lei, una donna, oggetto di derisione in un mondo maschile, conservatore ed eretico. Compare al fianco di registi premiati come Ingmar Bergman, Alan J. Pakula. Sul palco Jane Fonda, attivista e influente femminista, invita Jeanne Moreau, leggenda della cinematografia francese, a leggere il verdetto. Quella sera, Avildsen trionfa con “Rocky”. Eppure gli occhi del mondo, soprattutto di tutte quelle ragazzine che sognano il cinema dietro la cinepresa, sono puntati su Lina Wertmüller, su una donna con un outfit modesto e con i capelli raccolti indietro. Poi gli anni passano, fino ad arrivare ai primi anni Novanta, quando l’esempio dell’italiana è seguito da Jane Campion, poi Sofia Coppola, Kathryn Bigelow, Greta Gerwig e con la candidata di quest’anno, già vincitrice in altri concorsi, Chloe Zhao.
La Wertmüller, all’anagrafe Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, viene al mondo nella prosperità della vita decadente e folle degli anni Venti. Nasce in una famiglia aristocratica svizzera nel 1928 anno in cui il Parlamento italiano adotta una legge elettorale fascista. La sua storia inizia a Roma presso il Palazzo San Gervasio, proprio nella Roma in cui nel 1900 una signora di nome Angiolina sposa il guardiano del comune Arcangelo Santamaria. Da questo amore è nasce Maria, la madre di Lina, e successivamente dall’unione di Maria e Federico Lucaniano, un nobile avvocato di origine svizzera, viene alla luce una bambina, la quale fin dalla giovane età andrà controcorrente.
Il carattere difficile di Lina si manifesta fin da ragazzina, quando cambia scuola quindici volte, sempre cacciata per comportamenti inappropriati verso le altre ragazze, ed erano tutte scuole cattoliche. Non le interessavano le regole rigide e i divieti imposti dalle suore, per lei contava solo l’immaginazione, la creazione di personaggi e di situazioni e la provocazione della realtà. Da piccola è stata affascinata dai fumetti, descrivendoli come particolarmente influenti su di lei in gioventù, soprattutto “Flash Gordon” di Alex Raymond. È proprio a causa della lettura di questi fumetti che viene espulsa da una delle scuole. Tali passatempi non si addicono ad una ragazzina. I fumetti di Reymond la conducono al mondo del cinema che lei sogna e di cui parlava anche da adolescente.
Compie i primi passi nel mondo dello spettacolo all’età di 17 anni, quando si iscrive all’Accademia d’Arte Drammatica “Pietro Sharoff”, per debuttare poco dopo come regista di marionette sotto la direzione di Maria Signorelli (la maestra italiana dei burattini). È anche il periodo in cui Lina sostituisce i fumetti con i drammaturghi russi di Vladimir Nemirovich-Danchenko e Konstantin Stanislavskij, i quali la attirano nel mondo delle arti dello spettacolo. Dopo essersi diplomata all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico nel 1951, la Wertmüller fa una tournée pluriennale tra i teatri europei, dirigendo una serie di spettacoli di marionette d’avanguardia. Si occupa letteralmente di tutto lei: dirige, gestisce l’intera produzione, disegna e realizza la scenografia, e dopo l’orario di lavoro si occupa di giornalismo e di scrivere le sceneggiature per la radio e la televisione. Si sente come se fosse protagonista di un fumetto, e questa esperienza lavorativa è tutto il suo mondo.
Con un tale bagaglio teatrale, nei primi anni Sessanta Lina fa la sua comparsa in televisione, dove con successo diventa la prima donna a creare delle serie tv. Mentre lavora su una di esse, incontra Flora Carabella, una vecchia compagna di scuola, che le presenta suo marito, Marcello Mastroianni. Mastroianni aveva appena fatto successo con “La dolce vita” di Fellini ed era una delle più grandi stelle del cinema europeo. Non appena la star viene a sapere dei sogni cinematografici di Lina, la presenta al suo mentore Federico Fellini. E così inizia il sogno che continua ancora oggi. La Wertmüller più volte ha parlato dell’importanza dell’incontro con Fellini e di come, non appena l’ha conosciuta, le abbia subito proposto di diventare la sua assistente nell’imminente produzione di “81⁄2”. Fellini fu affascinato dalla sua forza, era una donna che voleva essere indipendente, soprattutto dagli uomini, cosa rara nell’Italia del dopoguerra. Inoltre l’anima di Lina era profondamente innamorata del teatro, dei burattini, elemento di spettacolo molto affine a quel mondo del circo che amava Fellini.
Descrivendo la loro collaborazione, la Wertmüller disse: “Non si può parlare di Fellini. Descriverlo è come descrivere l’alba o il tramonto. Fellini era un uomo straordinario, una forza della natura, era un uomo dall’incredibile intelligenza e simpatia. Incontrare un tale genio è come scoprire un panorama meraviglioso e sconosciuto. Mi ha aperto la mente quando disse qualcosa che non dimenticherò mai: “Se non sei un buon narratore, nemmeno tutte le tecniche del mondo ti salveranno”. Bisogna saper raccontare il cinema. E dopo questo contatto la giovane Lina raggiunge ciò che sognava quando frequentava le scuole cattoliche, conservatrici e noiose. “Fellini era più che un uomo e un amico. Era come aprire una finestra e scoprire davanti a sé un paesaggio magnifico mai visto prima. Il nostro rapporto era molto più grande, più profondo e più significativo di qualsiasi altra cosa io possa descrivere”, ha confessato la Wertmüller in un’altra intervista.
Ha debuttato nel cinema con il film “I basilischi”. Era l’anno 1963. Fellini presenta “81⁄2”, mentre Luchino Visconti mostra al mondo l’epico “Gattopardo”, e Alfred Hitchcock l’eccezionale “Gli uccelli”, mentre Jean-Luc Godard scala la vetta della new wave francese con il film “Il disprezzo”. Un uomo che è una potenza dell’industria cinematografica. Comunque nonostante questi nomi importanti, il cinema d’autore della Wertmüller riceve subito il riconoscimento della critica e dei giudici al Locarno Film Festival, dove la regista viene premiata con la Vela D’Oro. L’anno seguente gira la serie “Il giornalino di Gian Burrasca” con Rita Pavone, e allo stesso tempo incontra lo stimato scenografo Enrico Job, con il quale si sposa e con il quale decide di adottare la figlia Maria Zulima. Una carriera che continua con successo, gira altri film, tra cui “Mimì metallurgico ferito nell’onore” e “Film d’amore e d’anarchia”, proiettati a Cannes. Successivamente esce “Pasqualino Settebellezze”, che racconta la storia di un uomo con sette sorelle poco attraenti che uccide il seduttore di una di loro. È proprio grazie a questo film che Lina riceve quattro nomination agli Oscar, tra cui quella che la fa diventare la prima donna nella storia a ricevere la nomination per la regia.
L’interesse per la nomination agli Oscar era così grande in quell’ambiente, che molto presto venne proposto a Lina un lavoro nella fabbrica dei sogni e un contratto da firmare con la Warner Bros. per realizzare quattro film a Hollywood. Persino nella rivista Variety comparse un annuncio di due pagine con il titolo “Welcome Lina”. Purtroppo però questa storia d’amore con Hollywood finì rapidamente, poiché già il primo film che girò, “A night full of rain”, con Giancarlo Giannini e Candice Bergen, fu una delusione. La casa di produzione cinematografica Warner annullò il contratto, e la Wertmüller tornò in Europa e, come ammise nelle interviste successive, non ha rammarichi riguardo l’esperienza nella fabbrica dei sogni, evidentemente non era la sua strada.
Con il suo ritorno nel vecchio continente, l’italiana ha cominciato ad affinare ancora di più le sue doti di regista, ha girato film meno scontati con titoli strani, registrati nel Guinness dei primati: “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada” o “Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico”. Nei suoi film si può notare l’influenza di Fellini. Li univa una comune empatia nel modo di vedere la classe operaia italiana, mostrando la realtà della vita di persone politicamente trascurate ed economicamente calpestate, tendente all’assurdità. La Wertmüller, così come Fellini, mostra continuamente la sua adorazione per l’Italia e per i suoi svariati luoghi di infinita bellezza.
Le eroine dei suoi film sono sempre delle donne forti: femministe, anarchiche, comuniste. La vita di Lina è stata segnata dalla politica e non ha mai nascosto di essersi iscritta, dopo la guerra, al Partito Socialista e di aver sostenuto che le donne nel mondo del cinema dovrebbero avere pari diritti. Ogni volta che poteva, prendeva le distanze dalle posizioni estremiste del femminismo, e ripeteva: “Non puoi fare il tuo lavoro, solo perché sei una donna o un uomo. Lo fai perché hai talento. Conta solo questo per me. Dovrebbe essere l’unico parametro valido per stabilire a chi assegnare la direzione del film. Come tutte le altre donne del cinema, anche io ho avuto problemi ad essere accettata in questo ambiente maschile, ma non mi importava. Sono andata per la mia strada”.
Negli ultimi decenni la regista cede il posto ai nuovi astri italiani del cinema. Il suo allontanamento è caduto ingiustamente nel dimenticatoio. Ha salutato i suoi colleghi De Sica, Fellini, Visconti. Ora è di nuovo sola a bordo, a bordo di una nave che naviga. Durante questo periodo ha girato qualche film, di cui due insieme a Sophia Loren “Sabato, domenica e lunedì” e “Francesca e Nunziata”. Ed è stata la Loren, un’icona del cinema italiano, una delle ultime leggende in vita dell’età d’oro del cinema, ad assegnare nel 2020 a Lina Wertmüller l’ambito Oscar alla carriera. Il sogno del cinema continua ancora, ma per me c’è sempre e solo una madre. Il suo nome è Lina e il suo motto per la vita è: “La curiosità è la mia salvezza”.
Tumaczenie it: Myriam Kędzierski