Guardare significa per noi avere esperienza d’ogni momento, tentare di familiarizzare con i luoghi per come li vediamo, attraverso quel prisma che è la nostra identità. Siamo turisti in una terra straniera. E forse non siamo in grado di fare null’altro.
La domanda qui, alla quale risponde il verbo, non è tanto “cosa fa?”, ma piuttosto “in che condizione si trova?”. Qui innanzitutto si parla di condizioni. La condizione del cielo, la condizione dei campi di girasole o il silenzio nei pressi di un bacino. La Toscana si insinua sotto la pelle in modo delicato ma contagioso, lasciando un prurito, come un’allergia o un amore. La nostra attività si concentra soprattutto nell’assecondare questa piacevole prurigine. A ogni centimetro di pelle, a ogni pensiero. Perché questo luogo è una vera e propria festa per i sensi.
Il primo giorno ho annotato queste parole: “È nel paesaggio che sta la forza della Toscana. Nel paesaggio ci sono i vitigni, i campi di girasole, le colline puntellate di pietrose tenute di campagna. Ma prima di tutto nel paesaggio sta il cielo. L’enormità dei suoi spazi offre a nuvole monumentali un grande palcoscenico. Alla luce del sole le loro forme straboccanti creano fantasiose composizioni introvabili nelle cartoline. E aveva ragione! – esclamò Tadeusz con ardore – Il cielo italiano, per come ne ho sentito, è azzurro e limpido, ma come l’acqua ghiacciata; il vento e la tempesta non sono cento volte più belli?… (citazione dall’epopea Pan Tadeusz di Adam Mickiewicz n.d.r.) Be’, Tadeusz non sapeva un accidente del cielo italiano, ma dopo un viaggio di alcuni giorni avrebbe dato sicuramente ragione al Conte. I contrasti, accentuati dalle lenti degli occhiali da sole, scavano una profondità che non consente di distogliere lo sguardo.
Chiudo gli occhi soltanto quando iniziano a lacrimare per il bagliore ed è allora che mi raggiungono anche i suoni. O meglio, dapprima lo fa il silenzio, che è la vera dominante del paesaggio acustico locale. A questo silenzio si intreccia il frinire delle cicale, il garrire delle rondini e il melodioso trillare dei gruccioni (sebbene qui la mia erudizione ornitologica forse non basti). Tuttavia nessuno di questi suoni rompe il silenzio, che è egemone come l’oceano lo è sulle onde. Quando nuovamente apro gli occhi, una rondine fa una brusca virata su uno specchio d’acqua e scompare dietro una siepe”.
Dopo cinque giorni qui nulla è essenzialmente cambiato. Anzi, la Toscana ci conferma sempre più come parte integrante dello status quo. La differenza tra ieri e oggi sta nel fatto che, giorno dopo giorno, proviamo sempre maggiore simpatia per questi luoghi. È una campagna, solo migliore, molto migliore di qualsivoglia paesaggio di campagna che finora si è annidato nella mia mente. Qui tutto è al suo posto. I colli, i campi, gli uliveti. Non ho mai visto un paesaggio così coerente (anche se tutto sommato ho visto poco). L’immensità dello spazio fa sì che il sole tramonti dietro le colline come nel mare, distante, e gli elementi interposti tra l’osservatore e l’orizzonte si completano a vicenda, come un tutt’uno composto dalla mano di un maestro fiorentino. Del resto qui tutto è opera di pittore. Se è qui che Da Vinci ha ideato la tecnica dello sfumato è perché è sempre qui che la natura stessa produce questo effetto fino alla noia (sebbene a dire il vero questa parola sia decisamente fuori luogo). La pittura trova qui una legittimazione maggiore della fotografia. Ogni volta che ci troviamo in un villaggio, ogni volta che vorremmo estrarre la macchina fotografica, la vista stessa attraverso la lente ci allontana da quel pensiero. La Toscana non sta in una cornice. Bisogna immortalarla.
Un ultimo appunto: i cipressi. Si annidano nell’immaginazione come cespugli di arbusti ornamentali e quando li si osserva da una terrazza a vista, tali appaiono. Pertiche slanciate e filiformi il cui verde fogliame spicca rispetto al resto del paesaggio. Eppure in realtà sono alberi robusti che si innalzano per diversi metri, ma lo si nota soltanto da vicino. La distanza e l’enormità di questi luoghi divora di fatto la loro grandezza. E questo vale per tutto: per i campi, per le città, per noi.
Qui ci si abbandona al silenzio. Vorrei che ci permeasse nel profondo. Io mi sono già innamorato di questo posto e sono incommensurabilmente contento del fatto che è piuttosto lontano dal finire. Scriverò ancora, quando saremo alla corsa dei barili.
Peregrinazioni: Perugia, Montichiello, Pietrasanta
Cosa ci vuole per rimanere affascinati dalla Toscana? Dopo una settimana di soggiorno in questa regione direi che basta semplicemente solo una sedia sulla terrazza e un caffè mattutino. Tuttavia, a prescindere dalle ammirazioni passive che ho descritto l’altra volta, vi sono molte altre attività da svolgere nelle città e paesini della zona.
Lo so, lo so, è in Umbria, ma eravamo lì in zona. Inizio da Perugia, perché la considero l’unica esperienza in minus, che però ci ha dato molto da pensare a come viaggiamo e perché lo facciamo. Volevamo andare ad Assisi, ma per colpa del tempo e del traffico ci siano diretti a Perugia. A dire la verità Perugia si profilava da qualche parte nei nostri piani di viaggio, ma alla fine ci siamo arrivati completamente impreparati. L’intera città era per noi un grande conglomerato di vecchi edifici che non ci dicevano nulla. Potevamo solo valutarli sul principio: bello, non bello. Ci sentivamo a disagio, dato che la città – qui, ovviamente, intendo solo la città vecchia e ciò di per sé mostra quanto limitata sia la nostra percezione e le aspettative nei confronti dei luoghi visitati – è abbastanza monumentale e ci si è presentata in maniera dignitosa e indifferente. Inoltre, siamo arrivati nell’ora di siesta, quindi il silenzio di Perugia ci ha fatto a pezzi.
Questa esperienza tuttavia ci ha dato spunti di riflessione e abbiamo deciso di prepararci nel miglior modo possibile per i prossimi viaggi, per quanto consentito dalle guide e dallo scarso internet. Prima di ogni partenza leggevamo cosa valesse la pena vedere, cosa dovevamo sapere, ecc. Ed ecco un indovinello: cosa è cambiato nella nostra percezione delle città dopo la lettura? Assolutamente niente. Non ci hanno detto nulla, anche se ora sapevamo che la colonna con il leone simboleggia i Medici, mentre la facciata bianco-nera della chiesa è caratteristica per le città fiorentine e per quelle alleate ai Medici. E non importa. Voglio dire è bello saperlo, ma senza lingua e senza immergersi nel contesto della città, le pure informazioni rimangono sempre solo un oggetto di percezione estetica. Se possiamo affrontarlo.
È una cittadina che ci ha dato grande gioia. Totalmente per caso. Una piccola città, quasi completamente vuota – ci siamo trovati di nuovo durante la siesta – era aperto solo un bar con tre uomini anziani che sedevano davanti alla taverna che era il cuore di questo posto. Soltanto quando siamo arrivati alla piazza situata tra la chiesa e il teatro, che probabilmente costituiva il centro, siamo capitati nel vortice della vita. I ragazzi giocavano a pallone, le ragazze si appostavano dietro i muri dandogli un’occhiata, le madri badavano ai loro bambini che giocavano a calcio e chiacchieravano. È stato un pezzo di vita che non includeva nessuna guida turistica, tuttavia riflette al meglio il carattere di Montichiello. La città stessa era in ogni caso molto compatta. Piccola, fortificata, con muri di arenaria pesante e gialla, senza significative interferenze sarebbe perfetta per un set di un film d’epoca.
Quando sedevamo nell’unico bar aperto con giardino panoramico è successo quello che probabilmente ci ha reso Montichiello indimenticabile. Sulle colline di fronte a noi le nuvole si sono espanse in più punti e tre potenti pilastri d’acqua hanno fuso il cielo e la terra. Lo spazio aperto ci ha dato una splendida vista sulle successive piogge. I lampi cadevano martellanti uno dopo l’altro, e non c’era modo di calcolare quanto lontano fosse ciascuno dei temporali. Le case sulle colline vicine lentamente diventavano grigie mentre noi cercavamo di cogliere uno dei fulmini in foto. Non so se in quel momento abbiamo cominciato a sentire l’effetto del caffè, o se semplicemente quello che stava succedendo davanti a noi era talmente emozionante da far scomparire la sonnolenza che mi ha accompagnato per tutto il giorno. In più, quando di fronte a noi le enormi nuvole calpestavano i paesaggi con i loro potenti piedi gonfi di pioggia, non lontano sulla destra, dietro le torri di Pienza, il sole ha deciso di tramontare spettacolarmente con un colore rosso rubino. Un’esperienza unica che nessun stupefacente può fornire.
Non ci aspettavamo i temporali che poi sono diventati un’abitudine. In altre parole una città in Toscana senza pioggia è un’anomalia.
Questa città è la quintessenza dell’accoglienza. La capitale mondiale della scultura, dove vivono i maestri dei tempi odierni. La città delle gallerie e la galleria della città. Ci ha fatto innamorare entrambi. Avevamo il piano di incontrare Botero, quello della gente grassa, che è diventato il biglietto da visita della città. Abbiamo scoperto, pertanto, che Pietrasanta è leggermente più grande di quanto ci aspettassimo e un po’ più sovrappopolata. Cosa che non l’ha privata dell’accoglienza o della bellezza. Non abbiamo incontrato Botero, ma abbiamo trovato una piccola chiesa in cui dipinse affreschi (l’inferno e il paradiso) e una galleria con le sue opere. Ogni galleria è un artista diverso, uno stile diverso. Dalle sculture e dai dipinti alle installazioni fatte di siringhe. Un miracolo stava inseguendo l’altro, gli occhi sorridevano, la salivazione si intensificava come fossimo davanti alla vetrina di un negozio di praline di cioccolato. Questo è uno dei modi in cui l’arte dovrebbe influire sulle persone. Tutto lì era estetico: le grandi teste esposte sul mercato accanto agli sposi che si facevano le foto sulle scale, fino a una tazza di caffè su un tavolo di colore verde pallido. Abbiamo lasciato Pietrasanta con un senso d’insaziabile soddisfazione, salutati dalle piazze piene di blocchi di marmo bianco, con la speranza di ritornarci ancora.
Autrice delle foto: Kamila Radwan-Świstak