“Lessico famigliare” finalmente tradotto in polacco

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Dopo quasi 60 anni, nel maggio del 2021, i lettori polacchi hanno finalmente potuto leggere “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg nella loro madrelingua. La traduttrice del libro pubblicato dalla casa editrice Filtry è Anna Wasilewska che è nota ai lettori polacchi per le numerose traduzioni dall’italiano e dal francese. Durante la chiacchierata con la traduttrice cercheremo di rispondere alla domanda cruciale: perché questo libro è importante anche oggi?

Cominciamo dalla domanda fondamentale. Perché, di tutti i libri di Natalia Ginzburg, è Lessico famigliare ad essere stato tradotto in polacco?

Anna Wasilewska: Lessico Famigliare è il libro più conosciuto della Ginzburg. Il romanzo è stato un gran successo. Nel 1963 ricevette il prestigioso premio Strega nonostante nella competizione ci fossero autori come Primo Levi, Beppe Fenoglio e Tommaso Landolfi. Con grande sorpresa, anche della stessa autrice, il libro batté la concorrenza. In realtà, è possibile invertire la sua domanda e chiedere perché uno dei libri più importanti del Novecento italiano, che da 60 anni resta tra i bestseller, viene pubblicato solo oggi. Vale la pena sottolineare che Lessico famigliare ebbe fino alla fine del XX secolo 54 edizioni ed anche oggi è uno delle letterature scolastiche. Quando due mesi fa ho detto a Paola Ciccolella (ex direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Varsavia) che Lessico famigliare sarebbe stato pubblicato in polacco, ha esclamato “è uno scandalo che lo si faccia solo ora!”. Per anni il libro sembrava difficile da tradurre perché contiene un po’ di dialetto milanese e triestino e anche un peculiare codice di linguaggio usato dalla famiglia Levi. Non penso che l’assenza della traduzione polacca di questo libro possa essere spiegata in altro modo, per esempio legato all’atmosfera antisemita dopo il 1968. Anche perchè “Il giardino dei Finzi-Contini”,di tema ebraico, pubblicato in Italia nel 1962, fu tradotto in Polonia solo due anni dopo l’edizione italiana.

Cosa significa per Lei il lessico famigliare?

Esattamente quello che significa in generale: il codice del linguaggio creato dalla famiglia Levi, usato entro la loro “tribù” (questa parola appare spesso nel romanzo). Quasi ogni famiglia, o gruppi di persone legate tra loro, hanno un loro proprio modo di parlare. La famiglia Levi non fece eccezione e usava un codice nel quale singole parole spesso avevano un signifi cato diverso dal normale. Questo permetteva di formare delle relazioni immediate da espressioni specifiche. Ginzburg scrisse: Quelle frasi sono il nostro latino.

Un lessico è un insieme di espressioni caratteristiche per una famiglia. C’è stata qualche espressione particolarmente difficile da tradurre?

Sì, una che proviene dal dialetto e su cui ho riflettuto qualche mese. Si tratta di una filastrocca ripetuta da Mario, fratello di Natalia. L’espressione Il baco del calo del malo a prima vista sembra priva del significato ma in realtà non è così. Basta sostituire la vocale a con la u e la frase diventa il buco del culo del mulo. Volevo rendere questa infantilità, trivialità e semplicità. Mi venivano in mente varie espressioni ma nessuna sembrava accurata. Cercavo di trovare una filastrocca fino a quando finalmente mi sono resa conto che è possibile parlare al contrario. Perciò nella versione finale ho riorganizzato delle sillabe e ho creato l’espressione zapu, kapu, dapu, facile da decodificare per un lettore polacco.

Rimanendo sulle questioni linguistiche, ho una domanda relativa al ruolo del traduttore. Fin dall’inizio del libro appare l’espressione negrigura, tradotta da Lei come murzyństwo. Secondo Lei, un traduttore dovrebbe essere fedele all’originale oppure adattare il linguaggio al contesto moderno?

A quel tempo la parola negrigura non aveva un carattere razzista. Il padre di Natalia Ginzburg lo usava per descrivere una persona goffa oppure maleducata. La stessa domanda me la fece uno storico italiano, indicando un esempio della traduzione inglese nella quale la parola negrigura fu cambiata. Io non ho optato per tale intervento per non falsificare il testo. Non possiamo censurare la letteratura, attribuendo alle parole dei significati e connotazioni moderne.

Anna Wasilewska, fot. Renata Dąbrowska

La narrazione di Natalia Ginzburg può sembrare quella di una persona che resta in disparte. Quindi possiamo definirla una descrizione obiettiva della famiglia oppure quando un pensiero attraversa la sensibilità di una persona, la narrazione inizia ad essere soggettiva?

Il libro basato sulla memoria non può essere obiettivo e anche quando sembra esserlo è soltanto il risultato del gioco letterario. È vero che la narratrice si pone in secondo piano, ma lei stessa muove i fili. Natalia Ginzburg decide quando i personaggi appaiono sul palcoscenico e quando lo lasciano. I ritratti dei membri della famiglia sono descritti per sommi capi. Non hanno una profondità psicologica. Sono dipinti dalla scrittrice nelle pose e nei gesti caratteristici. Il romanzo è sempre una costruzione. Ginzburg scelse la forma dei ricordi. Tuttavia il modo nel quale li compone, li srotola come il nastro di una pellicola, saltando nel tempo, accendendo le luci su alcuni eventi e ignorandone altri, dà testimonianza della sua presenza. Nella memoria ci restano sia cose importanti che futili.

Possiamo dire che la stessa storia, raccontata da un’altra persona, per esempio dal fratello di Natalia, sarebbe significativamente diversa dalla versione che possiamo leggere oggi?

Ogni storia raccontata da un’altra persona sarebbe diversa. Quando quattro persone sono testimoni di un evento, ascoltiamo quattro testimonianze diverse. La memoria funziona come “il telefono senza fili”. Ogni persona memorizza una situazione in modo diverso e presenta la sua interpretazione, cioè cambia la frase originale. Anche il proprio ruolo nell’evento viene memorizzato in modo soggettivo. Per esempio Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginzburg fu sorpreso per il modo nel quale lo ricordò Natalia: Non mi ero reso conto di arrabbiarmi così tanto!

Non possiamo classificare questo libro come saggistica. Anche quando l’autrice evoca figure di persone legate alla politica italiana, è una sua scelta. Allo stesso tempo, quando parla della seconda Guerra Mondiale, non usa un pathos eccessivo. Invece quando descrive il mondo rinchiuso tra le quattro mura di casa, dal punto di vista di una bambina, lo fa in modo realistico. Secondo Lei questo è un valore di Lessico Famigliare?

È proprio grazie a questo che il libro mantiene ancora oggi il suo significato. Non serve usare parole ridondanti per descrivere la grande sofferenza, questa è la forza della letteratura. Non ci vuole nient’altro.