In Italia il centenario dell’Indipendenza della Polonia appena trascorso è stato accompagnato dall’uscita di una perla della letteratura polacca rimasta finora nascosta al pubblico italiano e scovata dall’intraprendente casa editrice Edizioni della Sera: si tratta de La rivolta, l’ultimo romanzo del premio Nobel Władysław Stanisław Reymont.
Abbiamo incontrato Laura Pillon, traduttrice e curatrice de La rivolta, per una chiacchierata.
Perché è stata scelta La rivolta di W.S. Reymont?
Il libro si inserisce nella collana I Grandi Inediti ideata da Giorgio Leonardi per la casa editrice romana Edizioni della Sera di Stefano Giovinazzo. La serie raccoglie chicche della letteratura straniera otto-novecentesca offerte al pubblico italiano in prima edizione nazionale. La lungimiranza del direttore della collana e dell’editore ha fatto sì che anche La rivolta (Bunt), un testo breve ma denso di contenuti, sia stata tradotta per la prima volta in lingua italiana.
Di cosa parla?
La rivolta. Una fiaba è stata edita per la prima volta in volume nel 1924, l’anno dell’assegnazione del Nobel della letteratura e, come suggerisce il sottotitolo baśń scelto dallo stesso Reymont, è una fiaba, anche se un po’ sui generis…
Perché sui generis?
Perché se è vero che gli animali sono gli unici veri protagonisti di questa storia ambientata in uno spazio e in un tempo indeterminati, quello che appare in effetti come un romanzo breve è una fiaba dalle tinte fosche e sanguinose e destinata a un pubblico adulto. L’opera ha pure un forte sapore allegorico e, pur prestandosi a svariate interpretazioni, senza dubbio racchiude un’amara riflessione di Reymont sul tema della rivoluzione, influenzata anche dall’evoluzione socio-politica degli eventi del 1905 e del 1917 in terra polacca, cui lo scrittore ha assistito in prima persona.
Animali, rivoluzione, una riflessione ispirata da eventi storici: tutto ricorda La fattoria degli animali di Orwell…
È vero, ma numerose sono anche le differenze tra le due opere. Interessante sicuramente un dato: appena uscito, il libro è stato tradotto in tedesco e in olandese – il che fa di quella italiana la terza traduzione a livello mondiale – per poi cadere nell’oblio a livello europeo e nazionale. Durante la guerra, Orwell si è interessato alla situazione storica polacca, non so se anche alla sua letteratura, non ci sono prove che sia venuto a conoscenza del libro o che l’abbia letto in traduzione. Fatto sta che non è stato il primo a raccontare il tema della rivoluzione in chiave ferina, preceduto da Reymont di ben quasi un quarto di secolo.
Com’è stato tradurre un’opera scritta negli anni ‘20 del Novecento?
Con entusiasmo ho accettato l’opportunità offertami dalla casa editrice Eds tramite il prof. Andrea Ceccherelli dell’Università di Bologna, che si è occupato della revisione linguistico-scientifica e della postfazione. Sapevo che sarebbe stata una sfida stimolante! Mi sono concentrata soprattutto nel tenere ben distinti i vivaci dialoghi tra gli animali dalle sequenze descrittive della natura. Il cane Rex, il lupo Cianca e gli altri personaggi in maniera realistica e convincente parlano davvero la loro lingua. Mi sono dovuta ingegnare, permettetemi il termine, quando facevano uso di proverbi o di frasi fatte ispirate alla saggezza popolare che erano prive di una corrispondenza italiana, ma che rimanevano sempre legate al mondo naturale. E poi mi sono sforzata di rimanere aderente al talento di Reymont di scrivere per immagini: le descrizioni dei paesaggi sono poetiche e talvolta persino cinematografiche da sembrare quasi un technicolor su carta!