Ancor prima che si attuino le riforme va detto e senza equivoci che da prima è da riformarsi la politica, il modo di far politica. Non è politica quella di chi resti in silenzio dinanzi alle istanze di singoli cittadini, di gruppi sociali o della più vasta comunità. Qui non è in discussione la forma di democrazia statuale, ma il modo di intendere la democrazia. La democrazia è popolare o secolarizzata e istituzionale, quando incapace di rispondere alle ragioni essenziali della partecipazione civile e sociali dei cittadini nella gestione della cosa pubblica? Può la politica dimostrarsi capace di tutelare i diritti dei singoli e nel contempo gli interessi e i diritti comuni? Può mai esservi una democrazia autoreferenziaria, racchiusa nelle sue istituzioni e pur a dirsi di amplio respiro liberale e democratico?
Non sono in gioco i valori, ma e sempre solo in gioco la stessa credibilità della politica e della politica istituzionale. Il problema è più che annoso quando di fatto diritto e progresso sembrano non poter procedere di pari passo. Una democrazia che non sa rispondere alle ragioni sociali dei singoli, né al diritto dei singoli a fronte degli interessi sociali e degli intenti comuni, è una democrazia liberale formale.
La crescita di un Paese può valutarsi nella misura in cui si sappia rispettare il diritto privato a salvaguardia degli interessi comuni, mentre chi di contro si pone nelle ragioni del silenzio, di fatto propone il suo dissenso e trincera la democrazia nel silenzio istituzionale e della politica, di fatto indebolisce lo Stato, causando fratture sociali e divisioni tali e gravi da sostenere il non men grave male della crisi sociale a fronte dei continuum della crisi economica.
Rinaldi Angelo
Lettera alla redazione