Fino a trent’anni fa la Polonia sembrava agli italiani un paese davvero molto lontano, separato dall’impenetrabile “cortina di ferro” che spezzava l’Europa in due blocchi contrapposti. Eppure i rapporti tra l’Italia e la Polonia si sono sviluppati senza interruzione sin dai tempi più antichi. Grazie a ciò in questo paese la lingua italiana è da sempre annoverata tra le più popolari. I contatti italo-polacchi si sono sviluppati sin dal XII secolo, quando in Polonia, come primi dalla penisola italiana, fecero la loro comparsa i legati papali. Nel Trecento arrivarono invece i primi mercanti, quasi tutti genovesi, che si occupavano del commercio di sale, pelli, schiavi e quant’altro. Nella maggior parte dei casi si comunicava con quei rudimenti di latino che si possedeva, ma senza dubbio la folta colonia genovese presente nelle città di Poznań, Cracovia e Leopoli a volte utilizzava anche alcuni termini appartenenti agli idiomi allora parlati nella penisola italiana.
Nei primi anni del Quattrocento l’afflusso di italiani verso il Regno di Polonia aumentò sensibilmente: mentre la presenza genovese andava lentamente scomparendo, in Polonia arrivarono toscani, lombardi e veneti. Ma è nel Cinquecento che si assistette a un vero e proprio arrivo in massa di italiani. Come ben sappiamo, allora in Polonia si stava affermando la corrente rinascimentale. Il nuovo stile proveniente dalle terre italiche in breve soppiantò il gotico tedesco, fino a quel momento assai diffuso nel regno di Polonia. I nobili polacchi, intanto, iniziarono a recarsi in Italia per motivi legati alla loro formazione; le università di Padova e Bologna erano infatti ritenute il modello ideale di studio. Dopo alcuni anni i nobili in questione facevano ritorno in Polonia culturalmente formati e preparati, con i rudimenti della lingua italiana. Fu così che il soggiorno in Italia di alcuni polacchi si rivelò essere di grande influenza per la loro produzione letteraria. Si pensi ad esempio a Fraszki, Le Frasche, di Jan Kochanowski, oppure a Dworzanin di Łukasz Górnicki, realizzato su modello de il Galateo di Baldassarre Castiglione. Altri polacchi sarebbero diventati in seguito professori dell’Università Jagellonica, quindi Padova e Bologna (cui col tempo si sarebbero aggiunte anche Ferrara, Roma, Siena, Venezia e Napoli) erano il completamento ideale del loro percorso di studio. Da una parte venivano rafforzati i rapporti accademici tra lo Stato polacco e la penisola italiana, dall’altra i professori stessi, che alla Jagellonica insegnavano varie materie (ma non la lingua), avevano occasione di trasmettere ai loro discepoli rudimenti della cultura e lingua italiane apprese in loco. Inoltre, già dal Quattrocento è attestata la presenza di docenti provenienti direttamente dall’Italia. In questa sede si possono citare Tomaso di Andrea de Amelia e Giovanni de Sakis de Papia «egregius magister artium et medicinae doctor». L’insegnamento vero e proprio della lingua italiana in Polonia rimaneva però prerogativa dei soli nobili, dell’intellighenzia, e del clero; avveniva privatamente tramite il lavoro di precettori, di solito polacchi, che conoscevano molto bene l’idioma italico.
Molto importanti in ambito linguistico e culturale furono i rapporti dinastici ̶ già attivi con gli Jagelloni per poi trovare piena fioritura con la regina Bona Sforza ̶ tra la corte reale polacca e quelle delle città italiane. Di particolare importanza si rivelò essere il matrimonio dell’italiana Bona con il monarca polacco Sigismondo il Vecchio (1518). Al seguito della regina arrivarono architetti, scultori, pittori, filosofi e molti altri. La lingua ufficiale rimaneva il latino, ma l’italiano a corte era comunque assai diffuso. Ce ne dà una conferma lo storico Marcin Kromer (1512-1589) che, sottolineando la popolarità della lingua italiana negli ambienti del re, ne identifica il motivo non solo nella folta presenza di italiani, ma anche e soprattutto nella facilità con cui i polacchi apprendevano questa lingua: “Complures libenter peregrinantur […] Itaque linguas earum gentium, ad quas pervenerint, cupide et facile discunt”.
La lingua italiana era ritenuta dai polacchi (e non solo) di grande prestigio, in quanto, oltre a rappresentare il genio artistico del Rinascimento, incarnava quella figura, in generale ben vista, del mercante italico, rispettato e bravo negli affari.
In seguito a questa massiccia affluenza di italiani in Polonia avvenuta tra il tardo medioevo e il rinascimento, si potrebbe immaginare una forte penetrazione delle parole italiane nella lingua polacca. In realtà non fu proprio così: i prestiti dall’italiano si limitarono a campi ben specifici come l’architettura, la cucina italiana, i vestiti la musica e la vita di corte. Caso emblematico sono i nomi delle varie verdure arrivate in Polonia proprio tramite la corte di Bona: ecco allora che troviamo p.es. kalafior, cavolfiore, cebula, cipolla, szpinak, spinaci, cykoria, cicoria, pomidor, pomodoro, etc.
Nei secoli successivi lo studio della lingua italiana in Polonia rimase appannaggio dei nobili, tramite l’insegnamento privato. Si hanno notizie certe di come i reali polacchi (da Ladislao IV a Poniatowski) conoscessero le basi dell’italiano, alcuni di essi mandavano i propri figli a studiare in Italia e in Francia. Anche alcune consorti dei reali, come per esempio Maria Kazimierza, moglie di Jan Sobieski, studiarono la lingua italiana che poi utilizzarono per la loro corrispondenza pubblica e privata.
I metodi per imparare la lingua italiana erano semplicemente di tipo traduttivo, spesso si leggevano testi in originale per poi tradurli e arrivare a comprenderli. Strumenti per l’apprendimento della lingua erano i glossari multilingui, antenati dei dizionari.
Nel Seicento abbiamo notizia della pubblicazione delle prime due grammatiche di italiano per polacchi, la prima (1649) scritta in latino, venne realizzata da François Mesgnien-Meniński, la seconda (1675), Grammatica Polono-Italica (titolo abbreviato), è opera del polacco Adam Styła ed è la prima grammatica della lingua italiana scritta in polacco. Si trattava chiaramente di strumenti per autodidatti integrati dai citati glossari. Entrambe le grammatiche erano ancora fortemente legate al modello latino.
Nel Settecento, secolo dell’Illuminismo, la lingua dominante in Europa era il francese, eppure, grazie alla folta presenza di italiani alla corte di Stanislao Augusto Poniatowski, a Varsavia spesso capitava di sentire parlare italiano. In Polonia allora si assisteva a un sensibile sviluppo del teatro e la maggior parte delle compagnie teatrali presenti nella capitale erano costituite proprio da italiani. Lo stesso re Stanislao Augusto comprendeva l’italiano, sebbene, al pari di alcuni suoi predecessori, si esprimesse con difficoltà. Proprio in questo periodo l’idioma italico offre ancora il suo contributo a livello di prestiti nel settore teatrale.
Alla fine del Settecento la Polonia scomparve dalle carte geografiche, spartita dalle tre potenze occupanti, Austria, Prussia e Russia. Le varie rivolte e insurrezioni, oltre alle terribili repressioni e le numerose vittime, ebbero come conseguenza un esilio di grandi proporzioni. Chi aveva partecipato alle insurrezioni era costretto a lasciare la patria per trovare rifugio in paesi come la Francia, la Gran Bretagna e la stessa Italia. Nel Belpaese alcuni di essi, nel sogno del rispristino dell’indipendenza, organizzarono le Legioni polacche, altri vedevano la penisola italiana come una meta di viaggio, per sfuggire dalla triste realtà della Polonia occupata. Ed è proprio nel contesto romantico polacco che la Polonia divenne la rappresentazione dell’Inferno di Dante, un inferno che, secondo l’interpretazione dei romantici polacchi, non si trovava più nelle viscere della terra, bensì sulla terraferma, esattamente nelle terre polacche soggiogate. La generazione dei romantici polacchi (e non solo) attinse alla Divina Commedia: reminiscenze dantesche in cui si utilizzano termini in lingua italiana si trovano in molte loro opere (basti pensare ad Adam Mickiewicz e Juliusz Slowacki). Leggere la Commedia era un modo per imparare l’italiano. Proprio in questo contesto nel 1856 venne pubblicato il primo dizionario bilingue italiano-polacco, polacco-italiano con il titolo Dokładny słownik włosko-polski, polsko-włoski. L’autore è Erazm Rykaczewski, un esule polacco che, trovatosi in Italia, aveva partecipato anche alla fallimentare Repubblica Romana. Nella seconda metà del XIX secolo nelle terre polacche occupate vennero attuate le riforme dell’insegnamento; la lingua italiana non venne inserita tra quelle straniere obbligatorie da studiare a scuola ̶ che, a seconda della zona di spartizione, erano il russo o il tedesco, più il francese e un’iniziale presenza dell’inglese ̶ ma nonostante ciò ne registriamo la presenza in alcuni licei. La situazione più favorevole per la lingua italiana si riscontrava nella Galizia austro-ungarica, anche grazie alla relativa tolleranza che vigeva in questa zona di spartizione rispetto a quelle russa e tedesca. Importante è qui il contributo dato dalle università di Leopoli e Cracovia, dove già verso la fine dell’Ottocento agli studenti di filologia romanza si offrivano corsi di italiano pratico. Sempre in Galizia veniva pubblicata la maggior parte delle grammatiche di lingua italiana per polacchi, mentre a Varsavia, viste le difficoltà che procurava la censura russa, spesso si doveva ripiegare sulla scelta di opere occidentali, tradotte poi in polacco. Nella zona di spartizione russa bisogna comunque segnalare l’importante presenza dell’insegnamento dell’italiano a Vilna e nel Liceo di Krzemieniec in Volinia.
Spesso lo studio della lingua italiana nelle università si identificava con alcune personalità concrete: a Leopoli un grande contributo alla materia venne dato da Edward Porębowicz, professore e poi rettore dell’Università Jana Kazimierza, poeta e traduttore della Divina Commedia (si tratta della prima traduzione completa in polacco) mentre a Cracovia un forte sviluppo allo studio pratico dell’italiano fu dato da Fortunato Giannini, padre scolopio di origine toscana. Il religioso sviluppò i lettorati di lingua italiana all’Università Jagellonica, facendone crescere il numero degli studenti. Giannini fu anche autore di alcune grammatiche della lingua italiana e di un dizionario bilingue italiano-polacco, polacco-italiano che ebbe una certa fortuna editoriale nella prima metà del XX secolo.
Lo studio dell’italiano continuava a essere popolare: nell’immaginario polacco l’Italia, ormai unita, continuava a essere una sorella che aveva combattuto per una causa comune, ovvero l’indipendenza dall’occupante. Il sentimento di simpatia era reciproco: bisogna infatti ricordare che agli inizi del XX secolo in Italia era sorto il Comitato Pro Polonia che raccoglieva intellettuali e politici di alto rango i quali diffondevano l’idea del ritorno a una Polonia indipendente. La questione polacca, che sembrava stare così a cuore al popolo italiano, continuava a suscitare tra i polacchi simpatie e interesse verso il Belpaese e di conseguenza anche verso l’apprendimento della lingua e lo studio della letteratura. Un altro fattore che manteneva alto l’interesse dei polacchi verso l’Italia era il viaggio. Molti polacchi benestanti vi si recavano per visitare le vestigia greche e romane, così come per rendere omaggio alle tombe di Dante e Virgilio. Il tutto assumeva anche un significato patriottico, mentre lo studio della lingua italiana presentava anche finalità pratiche.
Subito dopo l’indipendenza della Polonia (1918) a Varsavia venne creata la missione diplomatica italiana, mentre nei primi anni Venti fece la sua comparsa la Società Dante Alighieri. Il primo Comitato fu fondato a Cracovia, cui seguirono quelli di Leopoli, Vilnius, Poznań e Katowice. Negli anni Trenta queste istituzioni vennero sciolte, a Varsavia e Cracovia iniziarono la loro attività gli Istituti Italiani di Cultura, mentre nelle università polacche, affrancate dal potere dei paesi occupanti, il percorso di sviluppo dell’insegnamento della lingua italiana nell’ambito della filologia romanza continuava a grandi passi.
I primi anni del dopoguerra furono assai complessi in quanto vigeva la chiusura stalinista, ma i rapporti tra Polonia e Italia ripresero con il Disgelo. Durante gli anni Sessanta e parte degli anni Settanta del XX secolo nel paese era ancora diffuso un metodo di insegnamento dell’italiano assai tradizionale. Senza dubbio in tale contesto la chiusura dei regimi dell’Europa centro-orientale alla possibilità di espatriare per turismo, così come la mancanza di modelli d’insegnamento occidentali avevano avuto un certo peso.
In quegli anni in Polonia iniziò a diffondersi il manuale La lingua italiana per stranieri (1972) di Katerin Katerinov che sarebbe diventato uno dei testi più importanti nella didattica della lingua italiana in Polonia. Come sappiamo, lo studio di una lingua è dettato, oltre che dalla bellezza dell’idioma stesso, anche dall’importanza geopolitica di un dato paese, cui si aggiungono singoli eventi. Verso la fine degli anni Settanta, con l’elezione al soglio pontificio di Karol Wojtyła il richiamo verso l’Italia e la lingua italiana crebbe sensibilmente: agli interessi letterario e filologico si affiancò anche quello comunicativo, necessario per i molti polacchi che si recavano in Italia in pellegrinaggio.
Nel 1989, in concomitanza con l’apertura delle frontiere e del mercato, i manuali di lingua italiana per polacchi si moltiplicarono, mentre si svilupparono anche i corsi di lingua al di fuori dell’ambito scolastico e universitario.
Oggi la lingua italiana in Polonia si studia nelle seguenti università: Cracovia, Varsavia, Danzica, Breslavia, Toruń, Łodź, Stettino, Poznań, Katowice, Lublino, Zielona Góra. Cracovia e Varsavia possiedono più di un’università dove è presente il dipartimento d’italianistica, ma l’italiano viene studiato anche in altre facoltà, come ad esempio gli studi della cultura mediterranea. Inoltre, molti studenti specializzandi in altre filologie scelgono volentieri l’italiano come seconda lingua. Quindi, si può senza dubbio affermare che l’italiano come lingua studiata negli atenei polacchi se la passa piuttosto bene. Lo stesso si può affermare riguardo alla situazione nei licei: l’insegnamento dell’italiano è presente in ogni città di medie dimensioni, in alcuni casi, nelle città più grandi, si ritrova anche nelle scuole primarie. In alcune delle città più grandi del paese si registrano i primi tentativi da parte di alcune organizzazioni e fondazioni nel creare corsi di lingua italiana ̶ o incontri in cui si diffonde la lingua ̶ per i più piccoli con particolare attenzione alle famiglie miste, realtà che in Polonia negli ultimi dieci anni ha visto un sensibile incremento dovuto soprattutto all’ottimo sviluppo economico che il paese sta vivendo e alla conseguente attrattività lavorativa. Tornando ai licei, è doveroso segnalare il concorso nazionale della lingua italiana Bel paese che ogni anno si svolge a Breslavia, presso il liceo numero 9, a cui tutti gli alunni delle scuole superiori polacche in cui si studia italiano possono partecipare, dimostrando la propria conoscenza della lingua e della cultura del nostro paese.
Alcuni professori dei vari dipartimenti di italianistica di tutta la Polonia hanno anche dato il via a un’associazione, Stowarzyszenie Italianistów Polskich, Associazione degli Italianisti polacchi, che si occupa dell’ulteriore sviluppo della ricerca scientifica della lingua e letteratura italiane.
Molto importante è la presenza sul territorio delle istituzioni italiane: a Varsavia e a Cracovia è presente l’Istituto Italiano di Cultura che organizza corsi a tutti livelli. Oltre ai corsi è possibile partecipare a numerosi incontri e convegni dove si promuove la cultura italiana. Un altro sensibile contributo è dato dalla presenza delle Società Dante Alighieri con tre sedi, a Cracovia, a Breslavia e a Katowice, riattivate alcuni anni fa. Questi comitati, tramite volontariato e raccolte di fondi, organizzano conferenze, concerti e rassegne di cinema, così come corsi di lingua italiana. Sul territorio sono presenti anche le certificazioni CELI e PLIDA. La presenza di un mensile bilingue come Gazzetta Italia stimola allo studio della lingua e cultura italiane, anche perché, oltre a proporre interessanti tematiche culturali riguardanti soprattutto il Belpaese, questa rivista si presenta in una veste bilingue, ovvero con testi in lingua italiana e polacca a fronte. Tutte le istituzioni citate partecipano attivamente alla Settimana della lingua italiana, evento culturale che si celebra in tutto il mondo. Quest’anno si è giunti alla XVIII edizione, che verrà celebrata dal 15 al 21 ottobre.
Insomma, lo studio della lingua italiana in Polonia vanta una lunga storia. Abbiamo avuto modo di vedere come i motivi per iniziare o approfondire la conoscenza di questa lingua da parte dei polacchi siano stati diversi nel tempo, ma quello principale rimane sempre lo stesso: la musicalità e la bellezza.