La parola Italia, nell’odierno immaginario collettivo, richiama alla mente quel crogiolo di culture che nei millenni hanno costituito la storia di questa straordinaria penisola, la cui peculiarità maggiore è proprio la sua ricca e complessa identità. L’ideale risorgimentale dell’unità italiana è stato un fenomenale motore per realizzare quella forma di Stato, che era all’epoca assolutamente inderogabile, necessaria per potersi confrontare in una Europa delle nazioni.
Ma la visione associata al Risorgimento di una nazione Italia che in modo lineare ha acquistato consapevolezza di sé fino ad arrivare alla costruzione di un proprio Stato è stata da tempo superata. Il libro “L’Italia immaginata”, a cura di Giovanni Belardelli, nel riconoscere il complesso rapporto tra pluralità di culture italiche e unità di rappresentazione del Paese, affronta in modo sistematico l’iconografia che ha caratterizzato l’Italia nei secoli. A questa interessante pubblicazione l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, per volontà del suo direttore Ugo Rufino, ha dedicato nello scorso dicembre due incontri – uno all’Istituto stesso ed uno all’Università Pedagogica di Cracovia – alla presenza dei professori Alessandro Campi, dell’Università di Perugia, coautore del libro, del professore Stefan Bielanski, dell’Università Pedagogica di Cracovia e del sottoscritto.
La pubblicazione curata da Giovanni Belardelli ha il merito di affondare la ricerca sull’iconografia fino alle città greche, anzi risalendo addirittura alle più antiche civiltà orientali, per chiarire come sia intrinsecamente connesso alla nostra cultura il raffigurare le comunità territoriali con figure femminili.
“In certi casi, come quello della stessa Italia o come la Britannia che in un bassorilievo del III sec d.C., viene sottomessa dall’imperatore Claudio, questo genere di allegorie precede di molti secoli la comparsa di qualunque idea di nazione in senso moderno, e poi quasi scompare per un lungo periodo. Ricompare all’inizio dell’età moderna, quando si formano le grandi monarchie nazionali europee e con il Rinascimento si tornano a studiare sculture e monete antiche che di quelle allegorie femminili forniscono numerosi esempi…”, spiega nell’introduzione a “L’Italia immaginata” lo stesso Belardelli.
Un altro passaggio interessante della pubblicazione è quello che ricorda le complementari identità di Roma e Italia – nome che definiva le province della penisola ai tempi della Roma antica – che convivono fino all’assorbimento reciproco, prima di Roma sull’Italia e quindi, dallo svilupparsi dell’idea di nazione, dell’Italia su Roma.
Sullo sviluppo dell’allegoria femminile dell’Italia ne parliamo con il professore Alessandro Campi:
“Chi si ricorda, ai giorni nostri e soprattutto tra i più giovani, del fatto che l’Italia – stando alla sua iconografia ufficiale – è una bella e prospera signora e dunque, non foss’altro che per buona educazione, andrebbe sempre trattata col massimo del rispetto e del garbo? Una donna elegante e piena di fascino, rimasta eternamente giovane e piacente da quando per la prima volta Cesare Ripa (1560-1645), nella sua Iconologia (1603), ebbe l’idea di stilizzarla sontuosamente vestita, per indicare una terra ricca d’arte e natura, e con addosso i contrassegni della prosperità, della regalità e della fortuna. C’era già, in quest’immagine che Ripa ricavava dall’antichità classica, tutto ciò che l’Italia da allora in avanti ha sempre rappresentato a livello di immaginario popolare, anche per chi ad essa ha guardato e continua a guardare da oltre i suoi confini geografici e politici. Le torri e le muraglie come ornamento sulla testa indicavano «Città, Terre, Castelli e Ville»: quel pluralismo di territori, borghi e comunità locali, oggi più prosaicamente le sue 20 Regioni, le sue 107 Province e i suoi 7904 Comuni (secondo il dato aggiornato al 20 febbraio 2021), che nemmeno una volta raggiunta l’unità nazionale si è riusciti – nel giudizio di molti – a ricomporre all’interno di un tessuto istituzionale organico e funzionale”.
Nei secoli le raffigurazioni dell’Italia-donna hanno assunto diverse fattezze secondo le mutevoli contingenze e necessità storiche. L’iconografia può dunque ben fotografare lo stato d’animo di una nazione?
“L’Italia è stata di volta in volta una madre amorevole e protettiva, una sorta di Madonna laica impegnata a difendere tutti i suoi figli e ad assicurare loro giustizia e benessere; una vedova o madre piangente, quando dopo le guerre c’era da simboleggiare il dolore di un’intera comunità per i suoi morti (o come appare, affl itta e dolente per la scomparsa del somma poeta, nel celebre cenotafio dedicato a Vittorio Alfieri realizzato da Antonio Canova); un’amazzone combattente quando bisognava chiamare gli italiani alle armi; una bambina irriverente per indicare una nazione da poco nata che lotta per vedersi riconosciuto il proprio posto all’interno di un consesso mondiale popolato da vecchi marpioni; una ragazza piena di vita, radiosa e con lo sguardo rivolto al futuro tutte le volte che l’Italia si è dovuta rimboccare le maniche o ha cambiato politicamente pelle; una sorella che, all’epoca delle lotte irredentiste, bramava per ricongiungersi con le terre ancora sotto il giogo straniero (Trento, Trieste, Gorizia, sorelle minori di Italia) o che, all’epoca di quelle risorgimentali, avanzava pugnace contro l’invasore austriaco avendo al fianco Marianne-Francia, sua sorella maggiore e simbolo per eccellenza della libertà rivoluzionaria”.Un’Italia che è stata anche raffigurata come sposa del Re ai tempi dei Savoia, o rappresentata con fattezze via via sempre più marziali ai tempi del fascismo fino ad arrivare ad un volto, ben poco femminile, che alludeva chiaramente a quello del Duce. Merito della pubblicazione curata da Giovanni Belardelli è l’aver ordinato, riassunto e interpretato, soprattutto con riferimento al periodo post-unitario, le molteplici immagini rappresentazioni che sono state date dell’Italia nei secoli.
“Si tratta di un campionario di immagini simboliche dell’Italia che arrivano fino all’oggi quando, attraverso l’inventiva dei vignettisti dei grandi giornali (Matteo Bertelli, Mauro Biani, Emilio Giannelli, Vauro), le raffigurazioni si fanno spesso dolenti, come l’Italia distesa a terra ferita dopo l’ennesima uccisione per mafia di un servitore dello Stato; l’Italia impietrita dal dolore, come la Pietà michelangiolesca, dopo il terremoto che nell’aprile del 2009 ha devastato l’Aquila; l’Italia che si sorregge con le stampelle dopo i danni ad essa causati dalla crisi economica; l’Italia esanime a terra mentre il Capo dello Stato (all’epoca Carlo Azeglio Ciampi) cerca di rianimarla con un massaggio cardiaco; l’Italia dallo sguardo impaurito che indossa una mascherina a protezione del volto (ultima trasmutazione iconografica legata ovviamente alla pandemia scoppiata nel febbraio 2020)”.
L’Italia turrita, ovvero con in testa la corona di torri e mura delle città, ha però anche un altro simbolo sempre ben presente: una stella radiosa sul capo che rappresenta la buona sorte di un territorio baciato da un clima mite e salubre.
“Un simbolo che per estensione è diventato lo «stellone»protettivo e provvidenziale, forse sin troppo autoconsolatorio, di una nazione che secondo la percezione comune della gente riesce sempre a cavarsela, capace con le sue sole forze di superare ogni avversità”.