Rispondo alla domanda di una lettrice, che mi chiede chiarimenti sull’integrazione della vitamina D: «Sento spesso parlare di vitamina D: è davvero così importante per il nostro organismo? E come è possibile rimediare a un’eventuale carenza?»
Diciamo subito che la vitamina D per il nostro organismo non è solo importante, è fondamentale, e il controllo dei valori ematici viene spesso sottovalutato per superficialità, quindi è un bene che se ne parli così tanto.
Essenziale per il metabolismo del calcio e per la regolazione del sistema immunitario, consente di prevenire e fermare la progressione di numerose malattie, da quelle infettive a quelle degenerative e autoimmuni. Nonostante la sua importantissima attività nell’organismo, la vitamina D risulta carente in una percentuale altissima di persone: in Italia si stima che almeno l’80% della popolazione abbia valori inferiori alla norma (dati forniti dalla Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro – Siomms).
Bassi livelli nel sangue producono medie e gravi conseguenze fra le quali: difetti congeniti (causati dalla carenza nella madre), rachitismo, sovrappeso, osteoporosi, malattie autoimmuni (fibromialgia, Parkinson, Alzheimer, Sclerosi Multipla, Morbo di Crohn, Artrite Reumatoide), Sindrome da stanchezza cronica, maggior rischio di malattie infettive. Solo per citarne alcune!
La carenza di vitamina D è talmente frequente da essere considerata un’epidemia silenziosa. La causa principale va ricercata nella ridotta esposizione al sole, dovuta a sua volta alla vita moderna condotta sempre più al chiuso, e all’inquinamento da gas serra che riduce l’assorbimento cutaneo delle radiazioni solari.
La fonte principale di questa preziosa vitamina infatti è l’esposizione solare, grazie alla quale si attiva il processo di sintesi endogena (cioè interna all’organismo stesso). Per assicurarsi una produzione di vitamina adeguata, dovremmo esporci al sole ogni giorno per almeno 15-20 minuti, senza uso di creme solari. In questo breve lasso di tempo, si produce una quantità pari a 10.000 – 20.000 Unità Internazionali. Inutile stare sotto al sole per ore: l’organismo non è in grado di produrne di più, la sintesi va in saturazione. Meglio quindi esporsi poco, ma per più giorni possibili.
Tuttavia anche chi conduce molte attività all’aperto può sviluppare carenze. Come rimediare? Alcuni alimenti sono ricchi di vitamina D, come per esempio i pesci grassi (tonno, sgombro), fegato, formaggi grassi (burro), tuorlo d’uovo. Tutti cibi di cui però è consigliabile ridurre il consumo al minimo. Se proprio si vuole aumentare l’apporto nella dieta, meglio puntare sulle poche fonti vegetali, soprattutto funghi (shitake e porcini).
L’alimentazione dunque risulta essere insufficiente per il raggiungimento di livelli adeguati di vitamina D nel sangue, per questo motivo l’utilizzo di integratori è fortemente consigliato. Perché se è vero che la natura pensa a tutto, è altrettanto vero che la vita che oggi conduciamo è molto distante da ciò che la natura avrebbe previsto per noi.
Come spiega il dottor Paolo Giordo, autore di “Vitamina D, regina del sistema immunitario” (Terra Nuova Edizioni), «un giusto apporto garantirebbe la prevenzione di molte malattie, anche gravi. Inoltre va preso atto del fatto che, in caso di malattie conclamate, la vitamina D ad alte dosi ha effetti terapeutici evidenti e assai significativi».
La dose giornaliera raccomandata, nota come Rda, è stata individuata sulla base di livelli stabiliti nel 1997 per consentire la prevenzione del rachitismo e altre malattie scheletriche, e prevede 400-600 UI giornaliere (Unità Internazionali). I ricercatori dell’università della California a San Diego e della Creighton University del Nebraska hanno però contestato questi valori, affermando che la Rda è sottostimata di almeno dieci unità di grandezza. Anche un’istituzione molto conservatrice e prudentissima come l’Institute of medicine americano parla di 10.000 UI al giorno come limite sicuro di assunzione per la vitamina D, dose che rappresenta la quantità che il nostro corpo produce in media per un’esposizione solare completa di venti minuti.
Dosi maggiori devono essere monitorate da un medico esperto, per evitare qualunque effetto collaterale, e normalmente vengono somministrate solo in presenza di patologie autoimmuni legate alla carenza di tale vitamina. Il protocollo più noto in materia, è quello ideato dal neurologo brasiliano Cicero Galli Coimbra, ora diffuso e applicato nel mondo da vari medici appositamente formati.
Molte persone, specialmente quelle affette da patologie autoimmuni, presentano una resistenza genetica all’utilizzo della vitamina D: in questi casi si deve forzare questa resistenza aumentando le dosi. Il protocollo terapeutico, ideato e utilizzato dal professor Coimbra, consiste nell’uso di dosi elevate di vitamina D per riportare in equilibrio il sistema immunitario e bloccare l’evoluzione delle patologie autoimmuni, come la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, la malattia di Sjogren, il lupus eritematoso sistemico, la rettocolite ulcerosa, il morbo di Crohn, la psoriasi, la vitiligine e molte altre patologie che rispondono al meccanismo dell’autoimmunità, cioè dell’autoaggressione da parte di cellule del nostro sistema immunitario nei confronti di altre cellule scambiate per “nemiche”.
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