“Il Sorpasso” (1962): l’insostenibile leggerezza dell’esistenza italiana

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L’articolo è stato pubblicato sul numero 78 della Gazzetta Italia (dicembre-gennaio 2019/2020)

L’epoca del boom economico del secondo dopoguerra (1958-1964) lasciò un segno indelebile nella storia della penisola appenninica e dei suoi abitanti; fu un periodo intriso di novità, invenzioni e grandi eventi, ma anche di profondi e turbolenti cambiamenti sociali che si manifestarono anche a livello dei comportamenti sociali, degli usi e dei costumi. Il cinema non rimase certo indifferente a questa “spettacolare baraonda”, non a caso gli anni Sessanta vengono ricordati come “l’epoca d’oro” della cinematografia italiana che registrò una produzione straordinaria sia come cinema d’autore (basti pensare alla “Dolce vita” di Federico Fellini, “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti o “L’Avventura” di Michelangelo Antonioni), sia con vari film di genere che hanno raggiunto oggi lo status di pellicole-cult.

Uno dei generi che sembra rispecchiare appieno il carattere di questi tempi folli, spensierati e nello stesso tempo complessi e contraddittori è senza dubbio la commedia all’italiana. Furono proprio i creatori di questo tipo di “commedia” a parlare in modo umoristico e coraggioso delle vicissitudini del cosiddetto “italiano medio”. Queste vicissitudini sono direttamente collegate al “miracolo economico” degli anni ’60 e ai nuovi bisogni, sogni e feticci che da esso derivano.

fot. Dino Risi: Graziano Arici

Usando di solito una chiave tragicomica (a volte anche piuttosto satirica e grottesca), cineasti come Dino Risi, Pietro Germi, Vittorio de Sica (ricordato principalmente nei panni di “triste neorealista”, eppure autore di molte commedie all’italiana famose e amate in tutto il mondo con Sophia Loren e Marcello Mastroianni nei ruoli principali [ad es. Il premio Oscar “Ieri, oggi e domani” o il film premiato con il Golden Globe “Matrimonio all’italiana”), Alberto Lattuada, Mario Monicelli, Luigi Comencini, Steno, Nanni Loy e Luciano Salce erano in grado di rappresentare diagnosi socio-politiche importanti ed estremamente accurate, che anche oggi non sembrano perdere la loro rilevanza. I film dei registi citati hanno evitato a livello concettuale di essere espliciti a favore di un “chiaroscuro emotivo”, le motivazioni di eroi egocentrici, ma anche semplicemente “umani” della commedia all’italiana difficilmente possono essere giudicati soltanto in una luce positiva o negativa; molto spesso si tratta di “Mostri” (riferendosi al famoso film a episodi di Din Risi, 1963), ai quali tuttavia non si può negare carisma, senso dell’umorismo o perfino un po’ di dolce ingenuità. Come ha sottolineato giustamente uno dei veri maestri del genere Mario Monicelli: “La commedia all’italiana è questo: trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici. È questo che distingue la commedia all’italiana da tutte le altre commedie… “.

“Il Sorpasso” (il titolo polacco “Fanfaron” può esser tradotto come “Borioso”, mentre l’italiano è associato all’atto di superare, che nel contesto interpretativo dell’opera avrà una dimensione quasi metaforica) è comunemente considerato un capolavoro della commedia all’italiana. La trama del film di Risi si concentra sul viaggio piuttosto accidentale e particolare di due persone molto diverse, rappresentanti di due modi di vedere il mondo opposti. Bruno (Vittorio Gassman) è un edonista, talvolta grossolano, invece il più giovane Roberto (Jean-Louis Trintignant) è uno studente di legge timido e taciturno. Un giorno (più precisamente durante un caldo Ferragosto, una festa molto importante per gli italiani che si svolge a metà agosto), l’estroverso assume il ruolo di guida dantesca per l’introverso nel Belpaese ai tempi del boom.

La struttura narrativa de “Il sorpasso” dà l’impressione di esser rilassata e serena; il regista limita molto consapevolmente gran parte delle interazioni dei personaggi principali nello spazio dell’automobile (emblema del “miracolo economico” e probabilmente il feticcio più importante dell’epoca; nel film vediamo un bellissimo modello della Lancia Aurelia) iscrivendo la storia raccontata nel paradigma del road movie. Tra le righe di questa “storia movimentata” – tra osservazioni “apparentemente poco appariscenti”, dialoghi brillanti su questioni a volte molto banali – spicca una verità abbastanza crudele sulla condizione spirituale di una Italia forse troppo baldanzosa. Risi è riuscito a catturare (quasi in flagrante) il paradosso dell’Italia di allora rivolta ingenuamente verso un futuro migliore nei meandri della società dei consumi, ma ancora radicata nella superstizione e nell’ignoranza. “Il vagabondaggio motorizzato” nel film serve non tanto alla ricerca esistenziale di personaggi specifici ma pone una diagnosi più ampia sull’emergente (dinamicamente e drasticamente) nuova identità nazionale (non senza ragione Pier Paolo Pasolini ha descritto il consumismo, due decenni dopo la guerra, come “secondo fascismo”). Anche se i toni della commedia sembrano inizialmente dominare ne “Il Sorpasso”, l’amaro retrogusto sembra non lasciare mai i protagonisti, proprio come ne “La dolce vita” di Fellini. Lo spettacolo e il divertimento rimangono soltanto un’affascinante facciata dietro la quale c’è un vuoto straordinario. In un – sempre più privo di ideali e valori classici – spaccato della realtà contemporanea, è impossibile non notare il doloroso “doppio fondo” (che si manifesterà più chiaramente nel sorprendente finale dell’opera di Risi).

Oggi è difficile immaginare che il ruolo iconico di Bruno Cortona potesse esser interpretato da qualcuno diverso da Vittorio Gassman, uno degli attori più importanti nella storia del cinema italiano. Tuttavia, la prima scelta dei produttori fu Alberto Sordi, favorito dal pubblico e decisamente più associato al genere comico e alla cosiddetta “romanità” (l’azione dell’opera di Risi inizialmente si svolge proprio nella capitale della penisola appenninica). Con il ruolo di Bruno ne “Il Sorpasso” Gassman è riuscito ad aprire un nuovo capitolo nella sua ricca filmografia, noto per molti anni di collaborazione a Hollywood (negli anni ’50 il divo italiano ha recitato due volte al fianco di Liz Taylor!), diventò (accanto a Sordi, e insieme con Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e Nino Manfredi) uno dei pilastri della commedia all’italiana. Nel 1974 la collaborazione con Dino Risi in “Profumo di donna” ha portato a Gassman una menzione estremamente prestigiosa: il premio per la migliore interpretazione maschile all’IFF di Cannes. Dopo due decenni, lo stesso personaggio del colonnello non vedente in pensione (protagonista del romanzo di Giovanni Arpino, “Il buio e il miele” del 1969) fu interpretato con successo da Al Pacino; è stato proprio per questo ruolo che la star americana ha ricevuto il lungo desiderato Oscar nel 1993.

Sebbene negli anni ’60 molti critici non includessero il nome di Risi nel pantheon degli autori cinematografici, oggi è innegabilmente e meritatamente considerato tale. Tra euforia e malinconia, provocazione e beffa, il regista ha tratteggiato un ritratto multidimensionale di una nazione al limite del divario esistenziale. Al confine tra realismo e creazione, Risi non ha realizzato film, ma specchi, in cui generazioni passate di italiani spesso “brutti, sporchi e cattivi” potevano travedere il loro tragicomico passato e guardare da lontano un futuro ancora più grottesco.

Il sorpasso (1962). Prod. Italia, Regia: Dino Risi
Sceneggiatura: Dino Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari
Interpreti principali: Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak, Lucia Angiolillo

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Diana Dąbrowska

FINCHÈ C’È CINEMA, C’È SPERANZA è una serie di saggi dedicati alla cinematografia italiana – le sue tendenze, opere e autori principali, ma anche meno conosciuti – scritta da Diana Dąbrowska, esperta di cinema, organizzatrice di numerosi eventi e festival, animatrice socioculturale, per molti anni docente di Italianistica all’Università di Łódź. Vincitrice del Premio Letterario Leopold Staff (2018) per la promozione della cultura italiana con particolare attenzione al cinema. Nel 2019, è stata nominata per il premio del Polish Film Institute (Istituto Polacco d’Arte Cinematografica) nella categoria “critica cinematografica”, vincitrice del terzo posto nel prestigioso concorso per il premio Krzysztof Mętrak per giovani critici cinematografici.