Dato che è passato qualche lustro da quando, fiero di una copiosa chioma ben pettinata con la riga in parte e il ciuffo, frequentavo i banchi dell’amato Liceo Classico Marco Polo, posso pubblicamente ammettere che non è che fossi uno studente modello.
Per carità non ero neanche un disastro, diciamo che mi assestavo su un livello di salvifica mediocrità. Salvifica nel senso che in qualche modo riuscivo a raggiungere il minimo per salvare l’anno scolastico e andare avanti. In italiano e geografia astronomica avevo voti discreti, in greco e latino carpivo la sufficienza per il rotto della cuffia, in matematica e fisica ero insufficiente ma… – si c’è un salvifico ma – in storia e filosofia me la cavavo bene. E così inevitabilmente quando ho preso un 48/60 alla maturità, portando all’orale Italiano e Storia, sono entrato a casa trionfante comunicando che mi sarei iscritto all’università di Storia e Filosofia. La reazione fu fredda per usare un eufemismo. “E poi cosa farai? Ti pare che riuscirai a trovare un lavoro?” Così passai l’estate a cercare una facoltà “utile, che mi avrebbe fatto trovare un lavoro”. Alla fine scelsi di studiare Giurisprudenza nell’Università più antica del mondo: Bologna. Quel ragazzo, con in tasca la laurea in legge, dopo diverse peripezie lavorative, tra cui l’esser stato perfino amministratore di condominio, è finito a fare il giornalista che si sa, come si suol dire in Italia, “piuttosto che lavorare è meglio fare il giornalista”. Un mestiere particolare in cui si è costretti a parlare e scrivere di tutto anche se spesso non si conosce granché della materia di cui si tratta.
Ora fatta questa premessa immaginatevi la reazione dello studente mancato di Storia e Filosofia, ovvero io, alla notizia che avrei moderato Alessandro Barbero, eccezionale storico, eccelso divulgatore, celebre personaggio televisivo, protagonista di meravigliosi podcast sui più disparati temi storici dalla “Vita sessuale nel Medioevo” a “Chi è stato San Francesco”, da “Hitler non voleva la guerra?” a “Le Brigate Rosse e il caso Moro”. Un professore di storia capace di appassionare alla materia un pubblico intergenerazionale e delle più diverse estrazioni sociali; un personaggio che ha un seguito pari ad una rock star, con nugoli di persone che si dichiarano suoi vassalli e gli dedicano pagine social.
Lo studente di storia mancato che è in me si è quindi messo furiosamente al lavoro per affrontare l’ossimoro “moderare Barbero”. Come si fa a moderare un fiume in piena di conoscenza trasmessa con straordinario pathos? Diciamo che a Barbero il massimo che si possa fare è dargli il microfono in mano proferendo quattro parole: “dica quel che vuole”.
Però sono un giornalista e la deontologia del mestiere mi impone di mettere tutti allo stesso livello, perché in fondo siamo tutti umani, così come quel giorno di qualche anno fa a Varsavia quando attraversai lo sbalordito cordone di sicurezza per porre una domanda all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, senza batter ciglio, si fece intervistare.
E questo è uno di quegli aneddoti vissuti che esaltano questo mestiere e che mi fanno pensare a Humphrey Bogart che in “Deadline”, quando dà il via alle rotative, sentenzia: “È la stampa bellezza, la stampa, e tu non puoi farci niente!”.
E così, il 25 maggio scorso, eccomi sul palco principale della Fiera Internazionale del Libro di Varsavia, dove l’Italia è paese ospite d’onore. Nella sfilza di interessanti autori del ricco calendario italiano uno degli assi è sicuramente il professor Barbero che alle 15 si presenta puntualissimo sul palco accompagnato da Fabio Troisi direttore dell’Istituto Italiano di Cultura che ha il grande merito di accollarsi la presentazione dell’incontro. Io da bravo giornalista mi sarei preparato delle domande ma invece comincio chiedendo che effetto gli fa questa Varsavia in rutilante sviluppo architettonico. Barbero parte subito dicendo che in fondo il vecchio Palazzo della Cultura gli sembra esteticamente più interessante dei nuovi grattacieli che lo circondano. Applauso a scena aperta di una sala gremita di centinaia di persone con altre che seguono dall’esterno mentre i più smaliziati si sono direttamente distesi a terra davanti al palco. Dopo qualche altra riflessione gli chiedo se questa sorprendente attrazione intergenerazionale per la storia sia dovuta, oltreché al merito del divulgatore, anche ad un bisogno dell’uomo contemporaneo di dare un senso alla sua esistenza. Barbero prende il là e decolla sul rapporto tra storia e popoli, ricordando quei Paesi che fanno della storia uno strumento di propaganda, di identità, per arrivare a parlare di una contemporaneità in cui a volte si rischia il pericolo di vivere in una bolla di eterno presente. La brava traduttrice trasforma l’italiano in polacco e io rilancio con domande sugli speciali rapporti storici tra Italia e Polonia e poi ancora sul raccontare l’Italia come continente di culture. Il professore risponde ammaliando il pubblico con il suo modo di raccontare che ti fa letteralmente scorrere davanti agli occhi le cose che spiega. Una narrazione che non vorresti mai interrompere perché mentre Barbero mulina il suo braccetto, con il suo abitudinario gesto dall’alto in basso, tu sai che ti stai arricchendo di nozioni.
A questo punto sono talmente a mio agio che gli chiedo della “fine della storia”, che sarebbe simbolicamente avvenuta con l’entrata delle truppe napoleoniche a Jena dopo aver vinto l’omonima battaglia del 1806, una teoria emersa dalle riflessioni di Hegel, Kojeve e Fukuyama. “Ma dai il fatto che la storia possa finire è solo un divertente aneddoto, l’illusione che le democrazie liberali e il capitalismo diffuso avessero esaurito il confronto sociale tra gli uomini è superata da tempo, è un’idea figlia del nostro modo europa-centrico di vedere la storia,” ribatte Barbero a cui allo scadere, tiranno, del tempo faccio ancora in tempo a chiedere “Cosa scriverà uno storico tra 50 anni quando dovrà parlare dei primi 25 anni del 2000?”.
“Magari gli storici daranno una enorme importanza all’epidemia di Covid del 2020 dicendo è stato l’inizio dell’epoca delle grandi epidemie. Oppure no? E poi gli storici tra 100 anni scriveranno ancora nelle nostre lingue o in cinese? Chissà! Al momento mi fermo qui con le previsioni. Grazie a tutti!”, saluta Barbero prima di raggiungere lo stand dell’Italia e firmare pazientemente centinaia di copie di libri di adoranti lettori concedendo un’infinità di sorrisi per gli altrettanti infiniti selfie cui si presta.
Il video completo sull’intervento di Alessandro Barbero alla Fiera Internazionale del Libro di Varsavia è disponibile QUI.