La Sardegna è una regione comunemente conosciuta soprattutto per il mare color smeraldo, le stupende spiagge e i fenicotteri. I turisti più esigenti possono però trovarvi anche la ricchezza del folclore locale e delle tradizioni uniche con radici plurisecolari, nonché vivere sulla propria pelle il passato trovandosi di fronte ad un patrimonio archeologico all’altezza di quello di Pompei. Allo stesso tempo l’isola è in grado di accontentare quanti invece preferiscano immergersi nelle tematiche più moderne, dato che tutta la Sardegna costituisce quasi un museo d’arte contemporanea all’aperto. Chiunque lo desideri può conoscere le sue storie, fermate come da un incantesimo, sotto forma di immagini, di murales, muti testimoni degli ultimi cinquant’anni.
La radici del muralismo risalgono però a molto prima della metà del secolo scorso. Alcuni studiosi considerano come primi murales già le pitture sulle pareti rocciose nelle caverne del paleolitico. Una delle caratteristiche inscindibili dell’uomo è infatti il desiderio di segnalare la propria presenza, lasciarne una traccia per i posteri utilizzando un codice universale, quello delle immagini, comprensibile all’istante, indipendentemente dall’uso della lingua.
Di solito ad essere associata per prima con il termine “muralismo sardo” è la città di Orgosolo, situata nella zona montuosa di Barbagia nel cuore dell’isola, dove grazie al professor Francesco Del Casino furono create opere che riprendevano lo stile cubista e i codici espressivi dei muralisti messicani degli anni ’20 e che divennero famose sia in Italia che all’estero. Ciò che distingueva i murales orgolesi nei decenni passati era la prevalenza di temi legati alla resistenza contro i nazisti e i fascisti, alla debolezza dell’individuo nei confronti del potere oppressivo, alla ribellione contro le ingiustizie sociali. Col passare del tempo ai suddetti argomenti si aggiunsero le problematiche riguardanti la piccola comunità locale e la sua quotidianità, nonché quelle più universali quali l’emancipazione femminile o l’emigrazione. Oggi a Orgosolo si trovano circa 150 murales e la città è sempre aperta all’abbellimento dello spazio urbano da parte di artisti locali e internazionali.
Orgosolo non è stata però la prima città sarda a sviluppare il fenomeno della pittura murale. Come precursore bisogna indicare il paese di San Sperate, situato nella provincia del Sud Sardegna. Mentre nel ’68 in tutta Europa si respirava l’atmosfera della rivoluzione col pugno chiuso, San Sperate trovò la propria strada. Pinuccio Sciola, insieme ad un gruppo di amici, portò il suo paese a risvegliarsi dalla letargia grazie alla forza dell’arte. Insieme ai colori a San Sperate ritornò la vita. Angelo Pilloni, considerato il capostipite della scuola etno-realista, e i suoi seguaci si concentrarono sulla restituzione della dignità alla gente, la cui vita da secoli era segnata dal duro lavoro nei campi. Le loro opere rappresentano gli antichi attrezzi da lavoro contadini, le facce degli abitanti del paese, raccontano la fatica del lavoro, le tradizioni e celebrazioni locali, fanno da altare alla ciclicità del cerchio della vita. Gli artisti volevano che i murales riunissero gli abitanti suscitando discussioni e ricordi dei loro antenati, che diventassero centri focali della vita culturale del paese. Infatti, lo stile etno-realistico ha acquisito grande popolarità nellʼisola, e nonostante San Sperate rimanga la sua capitale, paesini sempre nuovi chiedono agli artisti di catturare sulle pareti le loro storie e i loro costumi.
Una delle continuatrici dello stile iniziato da Angelo Pilloni è senza dubbio Pina Monne, nata ad Irgoli, da anni residente a Tinnura, una piccola città sarda nella provincia di Oristano, oggi piena di opere dellʼartista. Pina Monne esprime il proprio amore verso la sua terra natale non solo trattando tematiche legate all’agricoltura e mostrando scene del passato, tradizioni e usanze ormai quasi scomparse che vuole salvare dallʼoblio, ma nutre un interesse particolare per la donna sarda. Le figure femminili dei suoi murales sono dolci e fiere allo stesso tempo, invincibili indipendentemente dalle circostanze e sempre pronte a proteggere i valori a cui tengono.
Spostandoci nel sud-ovest della Sardegna in cerca di murales vale la pena fermarci anche a Carbonia, dove le singole opere sono molto diverse tra loro. Per esempio il comune di Serbariu, nucleo originario della città in questione, è pieno di rappresentazioni quasi fiabesche a opera di Debora Diana. L’artista, pur vivendo a Roma da anni, scende ogni estate in Sardegna per dedicare una parte delle sue vacanze alla creazione di un nuovo murale, avendo come unico compenso la gioia dei suoi compaesani. Debora rappresenta quasi esclusivamente figure femminili di ogni età, richiamando il passato, i tempi in cui le donne si incontravano nelle piazze per chiacchierare, sbucciare i piselli, rammendare, ma anche parlare di magia, della forza della luna, per scambiarsi i segreti e consigli tramandati da secoli, di generazione in generazione.
Invece nella zona di Is Gannaus si possono incontrare murales in tuttʼaltro stile. Lì, un gruppo di amici, ritrovatisi un giorno in un bar all’ingresso del quartiere, decise di ridare la vita al noioso spazio urbano proprio grazie all’arte muraria, allo stesso tempo dando voce ai più ardenti problemi della giovane generazione sarda. Per questo motivo gli artisti toccavano temi come la crescente disoccupazione causata dalla chiusura delle grandi fabbriche, l’emigrazione forzata in cerca di lavoro o la violenza sulle donne. Non tutti i murales sono finiti, alcuni sono stati lasciati incompiuti, suscitando un effetto forse ancora maggiore, come un grido sospeso, e costringendo a un momento di riflessione sulla situazione della Sardegna di oggi.
Un luogo assolutamente unico dal punto di vista del patrimonio artistico è San Gavino Monreale, piccolo comune situato nel sud dell’isola, nel cuore del Campidano, la più vasta pianura della Sardegna. Proprio lì, nel 2014, come iniziativa dal basso di un gruppo di volontari sangavinesi, è stata fondata l’associazione “Skizzo”. La morte di un giovane artista locale, Simone Farci (Skizzo), ha suscitato nei suoi amici l’idea di commemorarlo tramite l’abbellimento di un certo spazio urbano. Questo progetto ha portato alla creazione, nell’arco di tre anni, di più di 30 opere di street art di tanti artisti, anche di fama mondiale, come Zed1, Spaik, Giorgio Casu, La Fille Bertha e tanti altri facendo sì che San Gavino Monreale costituisce al momento una tappa obbligatoria per tutti coloro che siano interessati allʼarte contemporanea e desiderino lasciarsi stupire da colori intensi, forme insolite e una molteplicità di significati.
Tutti coloro che desiderano sapere qualcosa di più sui murales sardi possono sentirsi invitati alla partecipazione al progetto “Da nuraghes a murales” realizzato dal Circolo scientifico della cultura italiana dell’Università di Varsavia e dall’Associazione culturale polacco-sarda “Aquila Bianca” di Carbonia, la cui realizzazione è prevista per i giorni 4-5 giugno 2018. Durante una serie di eventi sarà possibile incontrare alcuni degli artisti menzionati nel presente articolo, nonché partecipare all’inaugurazione di un’opera di uno dei muralisti sardi a Varsavia.