Matteo Massardi, CFA
Il ruolo dello Stato nelle economie di mercato è da sempre un argomento di accanita discussione. Democrazie compiute e consolidate sono riuscite a concretizzare situazioni estreme: da un lato il modello scandinavo con uno Stato pesante e deputato a compiti numerosi, dall’altro il modello americano dove allo Stato si chiede di fare poco, il meno possibile.
Questo almeno fino al 2008, fino allo scoppiare della crisi quando, di fronte al ritracciamento di indicatori critici per la classe politica (numero di occupati e ricchezza prodotta in un anno), lo Stato viene chiamato a fare di più. Molto di più di quanto si era mai immaginato: salvare interi settori industriali (il comparto degli automakers negli Stati Uniti), garantire interi comparti finanziari (intermediari bancari e sistemi di pagamento), aumentare la protezione offerta dagli ammortizzatori sociali (sussidi e sgravi fiscali).
Qualunque sia il giudizio sul risultato di questo esperimento di politica economica espansiva – le opinioni lasciano il tempo che trovano non essendo possibile in economia ripetere una prova di laboratorio – l’unica cosa certa è che il costo sostenuto dalla macchina pubblica, sotto forma di accresciuto deficit da finanziare, rimane. E, di solito, va pagato.
L’accresciuto deficit americano si è tradotto in una violenta accellerazione dello stock di debito che si è già avvicinato rapidamente al precedente limite nominale consentito dalla legge (ceteris paribus, il nuovo tetto sarà raggiunto grosso modo nella primavera prossima).
Consapevoli di questa dinamica, e sulla scorta di uno sgradevole downgrade, lo Stato americano aveva predisposto dei meccanismi di aggiustamento automatici che – in assenza di diversa indicazione dal legislatore – subentreranno automaticamente alla fine del 2012.
Questa sorta di rientro forzato dall’emergenza di spesa si può per comodità suddividere come: 1) riduzioni automatiche nella spesa pubblica per la Difesa; 2) riduzioni automatiche nella spesa pubblica per settori diversi dalla Difesa e riduzioni nella remunerazione di alcuni settori del comparto Sanità; 3) eliminazione di numerosi (piu di 80) sgravi fiscali di varia foggia e genere; 4) eliminazione del sussidio di disoccupazione di emergenza e di alcuni sgravi sul reddito da lavoro dipendente (la tassazione a carico del dipendente in busta paga era stata ridotta dal 6.2% al 4.2% per gli anni 2011 e 2012).
In assenza di un diverso accordo politico, questi aggiustamenti automatici, avrebbero dovuto assicurare la salvaguardia del bilancio pubblico mediante risparmi di spesa/maggiori entrate stimate per il 2013 grosso modo in 500 miliardi di dollari.
Tuttavia, ecco che all’avvicinarsi della attivazione automatica di questi meccanismi di salvaguardia di bilancio, ci si accorge che il sottrarre 500 miliardi di dollari dal bilancio pubblico non lascia indifferente il settore privato ed il livello di attività complessiva del Paese.
Nasce il fiscal cliff. Una rupe, un dislivello nel livello dei due indicatori critici per la credibilità della classe politica: livello di occupazione e ricchezza annua prodotta. Molto più importanti ed immediati che la salvaguardia della solvibilità del bilancio pubblico per la quale, pare, c’è sempre tempo. Il burrone fiscale, ci viene detto, si pagherà in termini di minori occupati (circa 3.4 milioni di posti di lavoro) e meno ricchezza prodotta (un calo del 2.9%) alla fine del 2013. La tentazione al rinvio è quasi irresistibile. Se non fosse che, all’interno dei documenti di analisi prodotti dal Congressional Budget Office, si legge che per ognuno dei 500 miliardi di dollari di deficit da finanziare la ricchezza annua del paese crescerà in media di soli 300 miliardi di dollari (il cosidetto moltiplicatore fiscale, stimato a 0.6).
E che ognuno dei posti di lavoro salvaguardati costerà circa 4 milioni di dollari di deficit da finanziare. Non male. Nelle fiabe la mezzanotte è la mezzanotte e la carrozza di Cenerentola ritorna una zucca. Nel caso degli Stati Uniti invece la realtà superera’ la fantasia ed un rinvio verrà concordato. Il ballo continua.
Ref: Congressional Budge Office – Economic Effects of Policies Contributing to Fiscal Tightening in 2013 – November 2012