Falsi amici: le trappole della traduzione

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Nel vasto universo delle lingue, il polacco e l’italiano emergono come due affascinanti sistemi linguistici, ognuno con le proprie peculiarità e intricati labirinti di significato. Tuttavia, quando si tratta di traduzione, ci sono delle trappole insidiose che possono confondere anche i traduttori più esperti: i cosiddetti “false friends” o falsi amici.

In linguistica i falsi amici sono tutte quelle parole appartenenti a due lingue diverse che, nonostante possano sembrare simili o avere una radice comune, in realtà hanno significati completamente diversi. Questi ingannevoli termini possono creare confusione durante la traduzione e richiedono un’attenta considerazione per evitare fraintendimenti linguistici.

Uno degli esempi più evidenti è rappresentato dalle parole “tapeta” in polacco e “tappeto” in italiano. A prima vista queste parole sembrano avere somiglianze, ma i loro significati sono completamente divergenti. Tappeto in italiano indica un tessuto di un certo spessore e morbido, utilizzato per coprire il pavimento, mentre tapeta in polacco si riferisce alla carta da parati, impiegata per adornare le pareti interne degli edifici.

Nonostante le apparenze, queste due parole condividono una radice etimologica comune, derivando entrambe dal latino “tapétum” e, ancor prima, dal greco “tápes”, che a sua volta risale alla radice persiana “tap”, con il significato di “tessere”, riferito quindi al tessuto. Il tappeto è stato un elemento centrale nella vita di molte società per secoli, utilizzato per delimitare spazi sacri, proteggere dal freddo e dalla sporcizia, e rendere più accoglienti gli ambienti domestici.

Sebbene la derivazione etimologica sia la stessa, le due parole hanno acquisito significati differenti a causa del diverso utilizzo che le popolazioni ne hanno fatto. Nel contesto storico e geografico dell’Impero Romano, la presenza abbondante di pietra naturale in Italia ha permesso la costruzione di edifici solidi, come ad esempio il maestoso Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo, che è composto nella sua maggior parte di travertino, una pietra molto comune nelle zone limitrofe della città di Roma.

Nell’antica Roma, dove le case in pietra garantivano un’adeguata protezione dalle intemperie, i tappeti venivano utilizzati a terra per conferire comfort durante i banchetti, consentendo agli ospiti di consumare il cibo stando seduti sul pavimento. Ci spiega bene Petronio nel suo celebre Satyricon all’interno del capitolo dedicato alla Cena di Trimalchione, che i generosi banchetti che il ricco offriva ai suoi invitati si svolgevano sul pavimento perché solo al proprietario e agli invitati più illustri veniva data la possibilità di mangiare stesi su un letto (di nome triclinio) e per tutti gli altri non c’era altra possibilità di mangiare stando seduti per terra. Vista poi l’abbondanza di vino che veniva offerto ai commensali, a questi, tramortiti dall’alcool, non rimaneva altra scelta che accoccolarsi sui tappeti e dormire.

Mauro Tucciarelli

Al contrario, nelle regioni del nord Europa, dove la pietra era meno disponibile, si utilizzavano prevalentemente materiali meno isolanti come il legno nella costruzione delle case e capanne e i tessuti “tapétum” venivano utilizzati a scopo protettivo dalle avversità climatiche, dunque come rivestimento protettivo delle pareti. Inoltre dobbiamo considerare anche che i tappeti, specialmente quelli pregiati provenienti da regioni come la Persia, venivano appesi alle pareti come decorazioni nelle dimore delle classi nobiliari, e dunque ben esposti in quanto considerati simboli di ricchezza e status.

Tutte le lingue sono intrinsecamente collegate e in italiano esistono parole di ritorno come “tappezzeria” e “tappezzare”. Il termine tappezzeria deriva dal francese “tapisser” e dal latino “tapes” e indica attualmente qualsiasi tessuto o rivestimento impiegato nell’arredamento interno degli edifici o delle automobili, mentre nel linguaggio colloquiale italiano “fare tappezzeria”, che in polacco si potrebbe tradurre con il detto “podpierać ściany”, ha il significato di stare in disparte in un contesto sociale, un chiaro riferimento alla tappezzeria che riveste le pareti interne delle case.

Un’altra delle intriganti vicende linguistiche che attraversa il confine tra polacco e italiano riguarda le parole “dywan” e “divano”. Questi due termini, pur apparentemente simili, conducono a mondi concettuali differenti, offrendo uno spunto interessante per esplorare la storia e l’evoluzione del loro significato nel tempo. La parola diwan in polacco ha il significato di tappeto nella lingua italiana. Questa bizzarra e apparentemente illogica connessione ha in realtà una spiegazione ben precisa.

Entrambe le parole trovano le loro radici nel turco “diwan”, dove il punto d’origine da indicare è probabilmente il persiano “debir”, con il significato di “scrittore” e più in generale “quaderno”. Nel turco antico questo termine veniva originariamente utilizzato per indicare i registri amministrativi dove gli scribi lavoravano seduti su comodi cuscini. Nel corso del tempo, questo termine si estese per indicare l’ambiente in cui questi registri erano conservati e, in senso traslato, l’insieme dei cuscini su cui gli scribi sedevano. Tale pratica era già consolidata durante l’epoca califfale e persistette nell’Impero Ottomano, dove il Diwan indicava anche il Consiglio dei ministri riunito accanto al sultano per trascrivere le sue decisioni. Durante tali incontri, solo il califfo aveva il privilegio di sedere su un trono, mentre gli altri membri del consiglio erano relegati a sedere a terra su tappeti e cuscini, simboleggiando la loro sottomissione al sovrano. Successivamente il tappeto imbottito “diwan” fu applicato sulle panche per permettere una maggiore comodità alle persone anziane e in questa dualità influenzò la sua presenza nelle case ottomane, dove divenne un elemento comune dell’arredamento domestico. Nel corso dei secoli, l’idea del “divano” si trasformò in un mobile autonomo, particolarmente diffuso nelle dimore signorili a partire dal XVII secolo, assumendo la forma di una poltrona. Tuttavia, in alcune culture, come in quella polacca, il concetto rimase legato all’uso come semplice oggetto per il pavimento.

La distinzione tra le parole “divano” e “sofà” rappresenta un altro interessante sviluppo linguistico. Attualmente, non esiste una differenza sostanziale tra i due elementi, ma piuttosto una variazione di terminologia tra diverse lingue. Mentre in italiano prevale il termine “divano”, nelle lingue anglosassoni come l’inglese e il tedesco o le lingue slave, si preferisce utilizzare “sofà”. Quest’ultimo termine di lingua araba e precisamente all’arabo-persiano “sofah” o “suffah” indicava una tipica panchina imbottita con cuscini posta davanti alle case a scopo di ristoro.

A chiusura del cerchio linguistico analizziamo l’etimologia del termine polacco “kanapa”, equivalente di “divano” in italiano. La parola kanapa ha un’etimologia collegata al moderno francese “canapé” che indica un tipo di divano a due braccioli e schienale basso, spesso utilizzato già nel XVIII secolo. A sua volta questo termine è collegato all’antico francese “conope”, che si riferiva dapprima alla zanzariera e successivamente a una sedia a baldacchino con attorno una tela protettiva dagli insetti.

La radice comune è latina da “conopeum” che aveva lo stesso significato di zanzariera. Tuttavia, il significato della parola si è evoluto nel tempo e la parola canapé ha acquisito il significato di un piccolo pane o toast su cui venivano serviti vari condimenti, spesso consumati come spuntino o antipasto. Questo legame tra i due significati può essere ricondotto alla forma a sandwich dei canapé che, ricordano la struttura del mobile, crea una connessione insolita tra il mobile e il concetto di cibo.

In Italiano questo termine nel tempo si è mutuato in “conopeo” che indica il panno a maglie larghe che nelle chiese copre il tabernacolo in cui sono custodite le ostie consacrate e in “canapé” che, seppur in disuso, mantiene il doppio significato di divano e tartina. Quest’ultima dualità di significato resiste anche nel francese e nel polacco tra le parole “kanapa” e “kanapka” .

Questa affascinante evoluzione linguistica mostra come le parole possano assumere significati diversi nel corso della storia e riflettere le tradizioni e le pratiche culturali delle società in cui sono utilizzate.

Per terminare questa riflessione etimologica ci addentriamo nell’inglese “couch” che deve per l’appunto il nome al suo inventore Jay Wellington Couch. Nel 1895 Couch ebbe l’idea di allargare il divano nel modo in cui lo conosciamo quest’oggi, cioè con una seduta più lunga su cui potersi anche sdraiare e riposare.

In conclusione, la storia etimologica di queste parole riflette le complesse interazioni culturali e linguistiche che caratterizzano il panorama delle due lingue. Queste parole, seppur simili, rivelano sfumature e storie uniche, offrendo uno sguardo affascinante sulla ricchezza e la diversità di concetti molto diversi, ma con una storia comune che affonda le radici nella tradizione e nell’uso culturale di queste parole nel corso dei secoli.