SCANDIANO. Mentre l’altro ieri mattina Fermo Manzotti veniva trasferito dal carcere di Rzeszòw a Cracovia, dove resterà sotto osservazione psichiatrica per quattro settimane, due dei suoi tre figli sono andati a scuola per la prima volta nel loro paese, in Polonia, dove ora vivono insieme ai nonni, nella cittadina di Jadachy, non lontano dal luogo in cui, il 18 giugno scorso, il padre ha barbaramente ucciso la loro mamma, Teresa Misa, di 32 anni.
La figlia più grande, di 11 anni, è iscritta alla prima media del paese mentre il figlio più piccolo, quello di 4 anni che ha assistito all’efferato omicidio della mamma, ha cominciato a frequentare la scuola materna ma entrambi vengono costantemente assistiti e seguiti da una psicologa infantile.
Sono loro – insieme alla sorellina più piccola, di poco più di due anni, l’unica nata in Polonia – le vere vittime dell’uxoricidio commesso dal padre per il quale ora, i legali – con il sostegno dei suoi parenti italiani – stanno procedendo alla raccolta di qualsiasi documentazione che potrebbe confermare l’ipotesi della seminfermità mentale dello scandianese, o di un raptus al momento dell’omicidio della moglie.
Ma i parenti di Teresa non ci stanno e temono che, se i periti dichiareranno Fermo Manzotti incapace di intendere e volere, la morte di Teresa Misa possa trasformarsi in un nuovo durissimo colpo per i tre bambini. Oltre alla Procura generale di Rzeszòv, infatti, anche la sorella di Teresa, Aldona Misa, che da molti anni risiede e lavora in Italia (in Sicilia) si sta attivando per ottenere la delega dagli anziani genitori per ottenere l’affido dei tre bambini e, tramite un avvocato, costituirsi parte civile contro il cognato.
«Stanno cercando di far passare la tesi dell’infermità mentale – afferma Aldona Misa, riferendosi ai parenti di Manzotti – per tenersi i soldi e non dare nessun risarcimento ai figli. Ma quando ci sarà il processo io ci sarò e guarderò in faccia Fermo fino a quando non sarà condannato per il suo delitto».
Un rabbia che, a tre mesi da quel delitto, rivive nel racconto raccolto dal nipote che ha assistito alla morte della madre: «Ha visto e raccontato tutto per filo e per segno, ha persino disegnato la strada che ha fatto per fuggire dall’auto dove il padre aveva ammazzato la sua mamma – racconta la sorella di Teresa Misa – ma ancora oggi aspetta che la mamma torni a casa e non vuole che siano tolte le cose che le appertenevano. La sorellina voleva prendere le scarpe della mamma come ricordo ma lui glielo ha impedito, dicendo “Lasciale stare, sono della mamma!”. Una tragedia e un dolore che continuano anche se ogni giorno vanno sulla sua tomba con la nonna».
La rabbia di Aldona Misa si fa più impetuosa contro la “giustizia” (italiana o polacca che sia) quando spiega che la settimana scorsa il giudice ha respinto la richiesta di scarcerazione di Fermo Manzotti, richiesta avanzata per la scadenza dei termini, tre mesi in Polonia, della carcerazione preventiva. Il giudice, infatti, considerano Manzotti ancora pericoloso, ha quindi disposto il suo trasferimento in un centro psichiatrico di Cracovia dove resterà sotto osservazione per quattro settimane al termine delle quali, sarà emessa una perizia che dovrà stabilire, appunto, se Manzotti sia effettivamente (o lo sia stato al momento dell’omicidio) incapace di intendere e volere.
Ma anche su questo, la sorella di Teresa, insiste sulla sua tesi (per altro la stessa del Pm che ha condotto le indagini) e cioè che Fermo abbia addirittura “premeditato” l’omicidio, cercando di mascherarlo prima come un’aggressione e poi come un gesto di difesa, mettendo il coltello nelle mani di Teresa ormai priva di vita.
Franco Dallasta – gazzettadireggio.gelocal.it