La lingua italiana viene associata in tutto il mondo allʼallegria, al cibo, al mare e alla spensieratezza. Appare come una lingua facile da imparare, fatta di parole semplici e poco impegnative, che non richiedono al parlante particolare sforzo o esperienza. In realtà, però, si tratta di una lingua molto più complessa di quanto non sembri. Il lessico italiano, infatti, attinge a numerosissime fonti, legate alla ricca e stratificata storia linguistica della penisola. E molte parole d’uso comune hanno unʼorigine più antica e sorprendente di quanto ci si potrebbe aspettare.
Pensiamo a una parola semplicissima e universalmente nota, forse la prima parola italiana che tutti nel mondo imparano: ciao. Si tratta di un termine di origine veneziana, diffusosi poi, a partire dallʼOttocento, nel resto dʼItalia e successivamente, nel Novecento, nel mondo, dalla Germania al Sudamerica. Lʼorigine di questa parola può apparire sorprendente: essa deriva infatti dal veneziano sʼciao, ovvero “schiavo”. In origine si trattava infatti di un saluto estremamente formale e reverenziale (“sono vostro servo” o “al vostro servizio”). È curioso come la stessa cosa sia accaduta con il termine latino servus, usato come saluto informale in Polonia o in Germania. Altrettanto interessante è lʼorigine della stessa parola schiavo, che proviene dal latino medievale sclavus o slavus. Nellʼalto medioevo, infatti, il termine usato per definire i prigionieri di guerra di origine slava finì per designare gli “schiavi” per antonomasia. Come si vede, già lʼetimologia di una parola “semplicissima” come ciao ha alle spalle una storia a dir poco lunga e complessa.
Lo stesso si potrebbe dire del termine ragazzo, di origine araba (anche se alcuni ipotizzano che provenga invece dal greco), probabilmente entrato in italiano attraverso il siciliano. Del resto le parole dallʼetimologia araba sono tuttʼaltro che rare in italiano e in altre lingue europee: basti pensare a molti termini legati al mondo militare, marinaresco o commerciale, quali ammiraglio, arsenale (arzanà in veneziano) o magazzino, per non parlare della matematica (algebra, algoritmo e altro ancora).
Provenienza araba avrebbe, secondo alcuni studiosi, anche la parola mafia, anche se altri cercano la sua origine addirittura nel nome dellʼapostolo Matteo. Il ghetto, parola diffusa in tutte le lingue del mondo, è di origine veneziana. La pizza, ovviamente, è napoletana, ma il suo nome deriva molto probabilmente dal latino pinsa (“schiacciata”), anche se alcuni ricollegano tanto la pizza quanto la piadina romagnola alla pita comune nei Balcani e nei Paesi islamici. Nellʼambito culinario, ovviamente, non sono rare parole dialettali diffusesi poi in tutto il territorio nazionale: si pensi anche solo ai grissini piemontesi, al panettone milanese oppure allʼarancino o arancina siciliana.
Già questi pochi esempi fanno capire che, se è vero che lʼitaliano che conosciamo oggi ha le sue radici nel volgare fiorentino del Trecento, il suo lessico ha comunque unʼorigine più composita e le singole parole provengono dalle più diverse regioni dʼItalia. Non di rado a farne le spese sono stati gli stessi termini toscani, sostituiti da quelli provenienti da altri dialetti: un buon esempio è la parola giocattolo, tratta dal dialetto veneto, che nel Novecento è andata a sostituire il termine toscano balocco, oggi sentito come decisamente arcaico. Unʼaltra parola legata allʼinfanzia è il diminutivo di padre: nella maggior parte dʼItalia prevale il termine papà, di origine francese, mentre in Toscana è tuttora comunemente usata la parola babbo. Unʼeccezione di non poco conto è Babbo Natale, così chiamato in tutta Italia.
Altre parole comunemente usate in Toscana, ma sentite ormai come desuete in altre regioni, sono per esempio uscio per porta o ancora termini colloquiali e offensivi come bischero o grullo. Un caso interessante è quello delle parole in -aio e –aro: da un lato abbiamo la parola marinaio, dallʼaltro la pizza alla marinara, così come il salvadanaio in cui teniamo il denaro o danaro. Le parole in -aio, dal latino -arius, sono tipicamente toscane. Spesso sono nomi di professione: altri esempi, oltre a marinaio, sono fornaio, notaio o ancora libraio.
Nel resto della penisola, tanto al Sud quanto al Nord, è invece comune il suffisso -aro o -ero. Spesso però, come i già citati denaro o marinaro/a, lʼitaliano standard ha accolto, caso per caso, la forma napoletana, romana ecc. A Roma, del resto, sono estremamente diffuse le parole in -aro, da notaro a gelataro, fino a molti termini colloquiali e volgari del dialetto romanesco. Spesso i termini in -aro definiscono particolari gruppi o subculture giovanili: del resto un appassionato di musica heavy metal si chiama, in italiano, metallaro, mentre chi pratica la street art è un graffitaro…
Lʼorigine così composita e stratificata del lessico italiano dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, la grande ricchezza e bellezza di una lingua davvero senza eguali.
Riva degli Schiavoni
Famosissimo punto panoramico sul Bacino di San Marco. È la lunga riva che va dal ponte della Paglia fino al rio della Ca’ di Dio nel cuore del sestiere di Castello. La riva prende il suo nome dalle popolazioni della Dalmazia, che ai tempi della Repubblica di Venezia era chiamata anche Slavonia o Schiavonia. La Dalmazia, insieme a molte città e isole della lunga costa orientale dell’Adriatico furono per secoli parte della Repubblica di Venezia, tant’è che per secoli sulle carte geografiche l’Adriatico era chiamato Golfo di Venezia. La riva costituiva parte integrante dell’allora porto commerciale di Venezia e rivestiva una notevolissima importanza grazie alla sua prossimità con piazza San Marco e con il centro del potere politico veneziano. In questa riva approdarono per nove secoli le navi dei mercanti schiavoni che spesso avevano qui dei banchi in cui vendevano le loro merci.