L’articolo è stato pubblicato sul numero 65 della Gazzetta Italia (ottobre-novembre 2017)
Dicono che l’Italia sia la patria della migliore cucina. Nel nostro Paese abbiamo tutto, almeno in teoria. Le migliori materie prime, e una cultura gastronomica che affonda le radici nelle nostre tradizioni più antiche: non per niente siamo la culla della Dieta Mediterranea.
Eppure dopo essere stata qualche giorno in visita a Varsavia, e aver mangiato cibo buonissimo preparato con gli ingredienti che in Italia sarebbero definiti “poveri”, sono tornata a casa con la triste conferma dei miei dubbi. La modernità ci sta lentamente togliendo i due fattori più importanti: il tempo e la fantasia.
Sempre di più le persone restringono la propria alimentazione a pochi ingredienti, limitati nella varietà e anche nelle preparazioni. Forse perché è più semplice, o più rassicurante. Di certo non è più veloce, perché nel dimenticatoio finiscono anche tanti cibi di rapida cottura, o addirittura le verdure che potrebbero essere consumate crude.
Sono vegana e quando mio malgrado si finisce sull’argomento, la domanda che mi viene rivolta è sempre la stessa: “ma allora cosa mangi?”
Questo accade anche perché si è persa l’abitudine di consumare cereali, legumi, frutta secca e tantissimi tipi di verdura, dando invece la preferenza a cibi più moderni e purtroppo anche più calorici e meno nutrienti. Ora per fortuna qualche locale, in controtendenza, ha iniziato a riproporre la cucina di una volta, quella definita “povera”, ma di fatto più genuina e più varia. A dimostrazione del fatto che gli ingredienti sani costano meno.
Nei miei pochi giorni trascorsi nella capitale ho trovato una varietà di sapori nuova, più ampia, complici anche le forti influenze estere che si ritrovano mescolate nei piatti polacchi, e di cui ora sento la mancanza. Ecco cinque cose che la cucina italiana dovrebbe invidiare!
La tradizione israeliana, ancora fortemente presente, viene reinterpretata nella cucina polacca con l’uso di cereali e spezie. Cereali in chicco intero o spezzato, comunque integrale: cous cous, taboulè, bulgur. Per la preparazione di queste specialità, i chicchi di frumento vengono cotti a vapore, fatti essiccare, e poi macinati e ridotti in piccoli pezzi.
Presentano le stesse caratteristiche del cereale integrale. Ricchi di fibra, vitamine, minerali, sono una buona alternativa alla pasta, che oltre a essere solitamente preparata con farina raffinata, richiede una lavorazione industriale più lunga. Ricordiamo che meno trasformazioni richiede la preparazione, più il risultato può essere considerato sano.
Sempre dal Medio Oriente arriva una delle mie ricette preferite in assoluto: l’hummus, in tutte le sue varianti. Per gli italiani, che ancora lo conoscono poco: l’hummus è una crema a base di ceci e pasta di semi di sesamo (tahina), nella sua versione più tradizionale aromatizzata con olio d’oliva, aglio, succo di limone, paprica, semi di cumino in polvere e prezzemolo finemente tritato. Si presta poi a essere personalizzato in mille modi, dall’avocado ai peperoni, dalla barbabietola alla senape, arrivando persino alla versione dolce con aggiunta di cioccolato.
Viene solitamente consumato insieme a focacce di pane azzimo, oppure in accompagnamento ai falafel (polpette di ceci). Nella cucina mediterranea può essere utilizzato come salsa per verdure crude (carote, sedano, finocchio) in piacevole alternativa al classico pinzimonio, o spalmato sui crostini e all’interno di panini e tramezzini.
Goloso e leggero, è un ottimo stratagemma per riabituarsi al consumo di legumi. Da provare anche nella versione con le fave, con i lupini, oppure con i fagioli cannellini e l’aggiunta di capperi sotto aceto (prende un gusto molto simile a quello della salsa tonnata). Perfetto anche per i pranzi da asporto.
Parlando di cereali e hummus, non si possono dimenticare le spezie, in particolare pepe, paprica, cannella, curcuma e zenzero. Da sempre utilizzate per insaporire e conservare i cibi, riducono il consumo di sale, e possiedono interessanti proprietà: migliorano la digestione e l’assorbimento dei grassi, aumentano il senso di sazietà, riducono il tempo di transito del cibo nel tratto gastrointestinale, stimolano l’attività degli enzimi. Ecco perché dovremmo usarle di più.
Per terminare, frutta e verdura: sembra impossibile ma anche sotto questo aspetto avremmo qualcosa da imparare. O da ricordare.
Gli smoothies: frullati di frutta e verdura, a volte con l’aggiunta di latte o yogurt, da gustare anche mentre si cammina per la città. Nei nostri locali bere qualcosa che non sia una bibita zuccherata e che sia preparato con ingredienti freschi, sembra essere una rarità. Solitamente si trovano le centrifughe, quasi mai gli estratti (che sono da preferire perché mantengono inalterate le vitamine e i sali minerali), ma non saziano allo stesso modo di un frullato. Soprattutto, centrifugare la frutta vuol dire assumere il fruttosio privato del suo antidoto naturale, la fibra: una pratica da sconsigliare.
E le verdure? Rape, barbabietole, e soprattutto verdure in foglia, così dimenticate. Gli ortaggi a foglia verde, così come le barbabietole, sono una grande fonte di acido folico e di folati, utili per la prevenzione dell’aterosclerosi. Sono ricchi di vitamina C e favoriscono quindi l’assorbimento del Ferro contenuto nella frutta e nella verdura.
Per quanto se ne parli, non se ne mangia mai abbastanza. Una piacevole sorpresa trovare gli spinaci crudi nelle insalatone, accompagnati da frutta fresca e frutta secca, come i semi di zucca.
Quello che invece hanno in comune la cucina italiana e quella polacca, è il cambiamento e i rischi che questo comporta. Le tradizioni sono in pericolo, minacciate dal progresso che porta fastfood, piatti pronti, sapori standardizzati. Un po’ alla volta, vengono a mancare la curiosità per gli ingredienti, la fantasia negli abbinamenti, e la pazienza di aspettare la trasformazione del cibo.
Non facciamoci derubare di ciò che abbiamo di più prezioso. Ogni momento dedicato al nutrimento e alla preparazione dei pasti, è un investimento per il futuro.
«Quello che mi sorprende degli uomini è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute.» (Dalai Lama)
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