“Corpus Christi”, il candidato polacco all’Oscar

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“Corpus Christi” è la storia vera del ventenne Daniel che durante il suo periodo al riformatorio passa attraverso una trasformazione spirituale e sogna di diventare prete, una cosa impossibile visti i suoi precedenti criminali. Quando è mandato in una piccola località a lavorare in una falegnameria, dopo l’arrivo si traveste da prete e per caso viene assunto come sostituto alla parrocchia locale. La presenza del giovane e carismatico Daniel permette alla comunità del paese di uscire da un trauma psicologico dopo una tragedia subita.

Con il regista Jan Komasa e il protagonista di “Corpus Christi” Bartosz Bielenia abbiamo parlato appena dopo la prima mondiale del film alla Mostra di Venezia, dove presentato nel concorso Giornate degli Autori, il terzo lungometraggio di Komasa, a parte essere ben accolto dal pubblico e dalla critica, ha vinto il premio Label Europa Cinemas, che offre supporto finanziario alla produzione e distribuzione nella rete dei cinema europei. Nel frattempo il film ha continuato il percorso alla conquista dei vari festival e adesso può vantarsi di una serie di premi del Festival del cinema polacco di Gdynia, tra cui quello per la miglior regia e la miglior sceneggiatura per Mateusz Pacewicz, e inoltre della nomina a candidato polacco agli Oscar come miglior film straniero.

In Polonia ci sono numerosi casi all’anno di persone che si fingono di essere sacerdoti, che cosa ti ha affascinato proprio di questa storia, in cosa era diversa dalle altre?

Jan Komasa: Sono stato fortunato perché ho ricevuto un testo che, dopo le piccole correzioni, era quello che volevo fare. La sceneggiatura è basata su un articolo che Mateusz Pacewicz ha scritto per Duży Format di Gazeta wyborcza ed è stata scritta da lui sotto la supervisione di uno sceneggiatore esperto Krzysztof Rak (autore, tra l’altro, delle sceneggiature dei film “Bogowie” e “Sztuka kochania”). Il protagonista della storia è speciale perché voleva solamente fare qualcosa di buono. Mi è piaciuto che è una storia scritta bene, sembra un aneddoto incredibile, a metà tra kitsch e commedia. Leggo tantissime sceneggiature e di solito ogni scena è fedele ad un genere solo. Questa invece era diversa, contorta, a volte divertente a volte seria e in più in modo geniale descriveva pluridimensionalità del protagonista. È bello quando leggi qualcosa e sai che non capisci tutto ma la storia ti incuriosisce perché contiene un segreto e percepisci che la persona che l’ha scritta sa più di te.

Bartosz Bielenia: Mi è sembrata una storia strana e interessante nello stesso tempo, inoltre volevo lavorare con Janek quindi già questo mi ha attirato su questo progetto. Un ragazzo con il passato criminale che finge di essere un prete è un bel inizio per costruire un’identità affascinante che è lontana dalla mia. Ho cercato di non avere nessun tipo di ispirazione, era più importante per me assorbire tutto quello che pensiamo di questo mondo e capire quali potessero essere le motivazioni del protagonista.

La forza del protagonista è il suo carisma, la capacità di rompere con gli schemi e saper comunicare con tutti. Da una parte è lui che ha bisogno della comunità da cui arriva perché sta cercando un accettazione, dall’altra anche loro hanno bisogno di qualcuno che li cambi e gli faccia vedere un altro modo di vivere.

J.K.: Daniel ha conosciuto la vita dal lato peggiore, ha oltrepassato ogni limite e vince perché conosce le situazioni diverse e sa parlare con tutti. Paradossalmente è un valore in più che gli permette di capire tutti e non respinge nessuno anche perché lui stesso è respinto dalla società per quello che ha fatto. Un’altra cosa importante è che arriva in mezzo a persone che anche loro si sentono respinte. Potrebbe sembrare che sono fatti l’una per l’altro, fino ad un certo punto sicuramente è così, ma una cosa che mi sorprende sempre, e succede anche nel mio film, è che anche le persone respinte sono in grado di trovare la forza di respingere altri. Quindi questo film è anche sulle divisioni tra le persone. È più forte di noi stessi e in qualche modo ci identifica dimostrando che siamo unici, e lì iniziano le tragedie. Dall’altra parte quando arriva qualcuno che non respinge, questa persona ad un certo punto diventa un pericolo perché la struttura o la gerarchia è in grado di esistere finché ci sia qualcuno da respingere.

Bartek è un attore con esperienza soprattutto teatrale, recita al teatro di Warlikowski e a Teatr Stary di Cracovia, quindi parte da un altro livello, come era la collaborazione tra di voi?

J.K.: In effetti mentre nei film precedenti ho lavorato con attori giovani che non sapevano ancora bene se continuare la carriera o no, qui ho incontrato una persona con molta esperienza e soprattutto consapevole, nonostante la giovane età. Ho avuto sul set un partner che conosce le proprie capacità e al limite può sorprendersi che sa fare di più. L’unica novità per lui era che il film era completamente basato sul suo personaggio, era lui il film alla fine. 

B.B.: Sono molto grato per l’incontro con Janek perché è un regista molto attento e tenero che sa ascoltare. Non è attaccato alla sua visione e se proprio vuole che qualcuno segua il suo immaginario sa spiegarlo bene e convincere delle sue ragioni. Per me lavorare con lui è stato un misto tra fiducia e dialogo.