Cabaret, parodia e nonsense. Umorismo e giochi di parole nelle canzoni italiane

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L’articolo è stato pubblicato sul numero 79 (febbraio-marzo 2020) e 80 della Gazzetta Italia (maggio 2020)

La musica leggera ha sempre avuto la tendenza a non prendersi troppo sul serio: del resto, non è detto che tutti i brani debbano per forza parlare dʼamore o di malinconia. Nel caso della canzone italiana si possono ricordare molti artisti e gruppi che, in varia misura, hanno scritto testi grotteschi, cabarettistici o puramente nonsense.

Uno dei brani più singolari della musica pop italiana è “Prisencólinensináinciúsol” di Adriano Celentano, pubblicato nel 1972. La canzone è una presa in giro di tutte quelle persone che cantano brani in inglese senza conoscere la lingua e, al tempo stesso, una sottile metafora dellʼincomunicabilità. Il testo (e lo stesso titolo) è composto da parole inventate e completamente prive di significato, ma che ad un ascolto superficiale suonano inglesi: lʼunica parte comprensibile è il costante intercalare “all right”.

Un umorismo surreale è sicuramente quello di Pippo Franco, cantante, attore e cabarettista attivo da parecchi decenni. Basti menzionare il suo brano “Cesso”, del 1971, apparentemente una sofferta canzone dʼamore, ma in realtà interamente basata su un umorismo scatologico evidente fin dal titolo (“cesso” come sostantivo e come verbo, da “cessare”). Del 1979 è la sua scherzosa canzone per bambini “Mi scappa la pipì, papà”, mentre al 1982 risale “Che fico”, brano che imitava in maniera ingenua, ma al tempo stesso autenticamente divertente, il gergo degli adolescenti di quegli anni. Fatto curioso, la canzone venne scelta come sigla di apertura del Festival di Sanremo di quellʼanno, una scelta decisamente ironica e poco immaginabile oggi. Negli anni Ottanta non mancarono altri artisti dai testi decisamente insoliti: basti ricordare lʼeccentrica cantante Donatella Rettore, nota principalmente per il brano “Kobra” (1980), pieno di allusioni sessuali, e per “Lamette” (1982), canzone che contiene il famoso verso “dammi una lametta che mi taglio le vene”.

Un genere particolarmente amato e di culto in Italia è il cosiddetto rock demenziale, che ha come precursori gli Squallor, volgarissima band nata nei primi anni Settanta; ma i primi esponenti del rock demenziale vero e proprio furono i bolognesi Skiantos, che esordirono verso fine del decennio. I gruppi che rientrano in questa categoria non sono pochi: si va dai Gem Boy, gruppo noto soprattutto per le innumerevoli parodie di famose canzoni italiane e anglofone, a band come Gli Atroci o i Nanowar of Steel, che prendono in giro e al tempo stesso omaggiano la musica heavy metal. Molti gruppi cantano almeno in parte in dialetto: tra gli esempi si possono menzionare i lombardi Longobardeath, i piemontesi Farinei dla Brigna o i veneti Rumatera. I testi sono sempre divertenti e grotteschi, con un uso massiccio del linguaggio scurrile; si tratta però, in molti casi, di un umorismo più intelligente di quanto potrebbe sembrare, molto apprezzato dagli appassionati dei vari gruppi.

La band più significativa di questo genere, comunque, rimangono Elio e le Storie Tese, già più volte menzionati in questa rubrica, autentici maestri del gioco di parole. Un esempio lampante è la canzone del 1999 “Sogno o son desktop”, ovvio gioco di parole con “sogno o son desto” (citazione da “I vespri siciliani” di Giuseppe Verdi). Altro titolo decisamente caricaturale è “Burattino senza fichi”, brano del 1996, una parodia del disco di Edoardo Bennato “Burattino senza fili”, pubblicato nel 1977 e dedicato al personaggio di Pinocchio: la canzone di Elio e soci racconta infatti una versione decisamente osé del libro di Carlo Collodi. I testi della band milanese sono quasi sempre volgari e carichi di doppi sensi: uno dei brani più esilaranti è “John Holmes (Una vita per il cinema)”, tratto dal loro primo album del 1989, dedicato al famoso attore porno americano. La canzone contiene giochi di parole diventati un vero proprio cult per i fan del gruppo, in particolare il pun tra “pene” e “pane” (“il pene mi dà il pane”, visto il modo in cui il protagonista si guadagna da vivere), ma anche “pene” come plurale di “pena” (“soffrivo le pene per colpa del pene”).

Del 1991 è invece la canzone “La vendetta del fantasma Formaggino” (riferimento a una vecchia barzelletta italiana), uno dei pezzi più surreali di Elio e le Storie Tese, con il gioco di parole tra il passato remoto “mi risposero” e il futuro “mi risposerò”: “Al risveglio di costoro chiesi dove fosse lʼitaliano, che non cʼera. Mi risposero: quando ne avrò voglia io mi risposerò, però adesso no, mi tengo la moglie che ho.” Non mancano nemmeno i giochi di parole con la lingua inglese, come nella canzone del 1996 “First me, second me”, scritta intenzionalmente in un inglese sgrammaticato, dove il cantante Elio gioca con lʼespressione “secondo me”, tradotta letteralmente come “second me” (“il secondo io”). Un anno prima, invece, era uscito il brano “Christmas with the Yours”, il cui titolo è ovviamente un riferimento (di nuovo, volutamente sgrammaticato) al modo di dire “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”.

Anche nel nuovo millennio non sono mancati, nella musica italiana, brani pieni di ironia e giochi di parole; anzi, si può dire che grazie a internet molti artisti e gruppi appartenenti a generi di nicchia hanno ottenuto più visibilità, tanto che non poche canzoni umoristiche e talvolta sarcastiche sono entrate, molto di più rispetto al passato, nel mainstream musicale.

Tra i cantanti italiani che hanno raggiunto una notevole fama dopo il 2000 va sicuramente annoverato il rapper pugliese Michele Salvemini, in arte Caparezza. Attivo già nella seconda metà degli anni Novanta con lo pseudonimo Mikimix, senza riscuotere un particolare successo, nel 2000 Michele pubblicò il suo primo album come Caparezza, dando inizio a una fortunata carriera. Fu soprattutto con il secondo disco, uscito nel 2003, che lʼartista originario di Molfetta ottenne grande popolarità tra i giovani, anche grazie ai numerosi e pittoreschi videoclip in costante rotazione su MTV. Già il titolo dellʼalbum, “Verità supposte”, contiene un gioco di parole tra il verbo supporre e le supposte mediche, mentre il primo singolo, “Il secondo secondo me”, gioca ovviamente con il doppio significato della parola secondo. Il testo della canzone, apparentemente nonsense, è una lunga rassegna di luoghi comuni, stereotipi su diverse nazioni e gruppi etnici (a partire da “italiani brava gente, italiani dal cuore dʼoro”), modi di dire, adagi e altre banalità del linguaggio e dellʼimmaginario quotidiano, che Caparezza chiaramente deride. Un altro brano di “Verità supposte”, “Giuda me”, è basato invece sul gioco di parole tra Giuda e giù da me, con giù ovviamente inteso come “al Sud”, visto che la canzone è un commento ironico sui problemi dellʼItalia meridionale. Il titolo del disco successivo, uscito nel 2006, è invece “Habemus Capa”, parodia della formula “habemus papam” (Capa è ovviamente la forma abbreviata di Caparezza). I testi dellʼartista pugliese sono sempre ironici e irriverenti, variando da tematiche puramente umoristiche a quelle più profonde, legate alla realtà politica e sociale italiana. Lʼalbum del 2011 intitolato “Il sogno eretico” (ovvio calembour tra eretico ed erotico) spazia da brani puramente assurdi come “Kevin Spacey”, in cui Caparezza “spoilera” i finali di decine di film, a quelli più politicamente impegnati come “Legalize the premier”, una divertente ma feroce satira sullʼallora premier Silvio Berlusconi.

Il rap italiano è ovviamente ricchissimo di giochi di parole e rime ironiche, spesso volgari. Lʼex cantante del duo Articolo 31, J-Ax, ha pubblicato nel 2015 il brano “Hai rotto il catso”, dal titolo censurato nella grafia ma più che eloquente. La canzone è un attacco, ironico e decisamente sopra le righe, contro tutto e tutti, dai politici ai media fino alle persone comuni. J-Ax, come anni prima Caparezza, critica la mentalità stereotipata di molti italiani, le banali saggezze della vita quotidiana, il conformismo degli internauti, gli slogan ripetuti a rotazione dai telegiornali e così via. Lʼanno seguente è uscito il brano, molto più pop, “Vorrei ma non posto”, inciso insieme al più giovane rapper Fedez, che ha avuto un successo incredibile, diventando il classico tormentone estivo. Anche qui compare un gioco di parole (tra vorrei ma non posso e il verbo postare), mentre il testo prende in giro lʼossessione delle persone per Instagram, i selfie e più in generale i social network, che finiscono per far dimenticare il mondo e la vita reale.

Tomasz Skocki, autore dell’articolo

Ovviamente lʼironia non manca anche in altri generi musicali. Negli anni Dieci, grazie soprattutto a YouTube, sono diventati sempre più popolari e apprezzati i già citati Nanowar of Steel. Il gruppo romano, dedito a un heavy metal ironico (legato al filone del rock demenziale), pubblica album principalmente in inglese, ma nellʼultimo decennio ha realizzato non poche canzoni in italiano, come “V per Viennetta” (gioco di parole tra il titolo del celebre fumetto di Alan Moore e il non meno famoso dessert al gelato) o “Bestie di Seitan” (brano che deride i vegani, giocando con la parola seitan e il nome Satan in inglese). Alcune canzoni della band sono state realizzate in collaborazione con pagine di Facebook o siti internet, come “Feudalesimo e Libertà” (immaginario partito politico di ispirazione medievale, divenuto un vero cult per i suoi post umoristici) o “I 400 calci” (dedicato ai film dʼazione, di cui i Nanowar snocciolano tutti gli stereotipi e le convenzioni).