Borse di funghi e scarpe d’uva. La moda italiana e l’ambiente

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Save The Duck

traduzione it: Agata Pachucy

Il mercato della moda vale attualmente più di 6.000 miliardi di zloty. La cifra comprende numerose industrie, aziende e prodotti, non sorprende quindi che il suo impatto ambientale sia enorme.

“Nel 2024, l’industria della moda dovrà affrontare sfide ambientali significative: consumo eccessivo di acqua e inquinamento, emissioni di carbonio e produzione esorbitante di rifiuti”, afferma Mathilda Niclazon, esperta della rivista di moda sostenibile Circulaire. “Anche le pratiche di lavoro non etiche e l’uso di sostanze chimiche tossiche nei processi di produzione sono problemi urgenti”.

Capire come determinati marchi stiano rispondendo a sfide specifiche non è così facile, perché non tutte le aziende vogliono condividere queste informazioni. Il Fashion Transparency Index creato da Fashion Revolution, un’organizzazione che si batte per un cambiamento pro-ambiente e pro-sociale nella moda, cerca di misurare la trasparenza delle informazioni fornite dal 2016.

Dall’oscurità alla luce

I risultati dell’Indice 2023 non ispirano ottimismo: dei maggiori 250 marchi di abbigliamento al mondo ben l’88% non fornisce ancora i dati sulla produzione annuale, mentre addirittura il 99% non comunica quanti lavoratori vengono pagati abbastanza per vivere decentemente.

C’è comunque speranza di fare progressi sul tema della trasparenza, visto che ogni anno sempre più marchi forniscono informazioni corrette. I marchi italiani sono in testa alla classifica: il miglior punteggio (83%) nell’Indice 2023 appartiene a OVS, seguito da Gucci (80%) al secondo posto e da United Colors of Benetton (73%) al quinto.

Funghi, banane o uva?

I marchi italiani si adattano rapidamente alle nuove esigenze: anche nel caso di settori competitivi, come l’abbigliamento invernale, nascono innovazioni. Un marchio dal nome evocativo, Save The Duck, punta a eliminare i prodotti di origine animale dai suoi prodotti. Al posto delle piume utilizza un materiale chiamato Plumtech®, creato da poliestere riciclato, che ha già salvato circa 29 milioni di anatre.

Tuttavia questo è solo l’inizio. Il mercato tessile è stato sconvolto nel 2021 da una borsa di Hermès realizzata in Sylvania, un materiale sintetico prodotto dai funghi, ora questo tipo di soluzione viene proposta da molti marchi. Per esempio Inuikii, un marchio che unisce la precisione italiana al rispetto groenlandese per la natura, utilizza nei suoi modelli materiali ricavati da piante commestibili: dalla banana Bananatex al Vegea®, ricavato dalle vinacce dei vigneti italiani.

Dialogo con la tradizione

Oltre ai materiali, stanno cambiando anche le aspettative. Uno studio ampiamente citato di Tata Consultancy dimostra che i giovani consumatori guardano con attenzione alla sostenibilità: ben l’84% degli intervistati della Generazione Z ha dichiarato di essere pronta a spendere di più se un prodotto è stato creato con attenzione all’ambiente o di provenienza etica. Cosa significa questo per i marchi italiani, dove l’elemento chiave è spesso la tradizione sartoriale secolare? I brand del Belpaese stanno entrando in dialogo con il proprio patrimonio, come dimostra MaxMara. Fondato nel 1951 a Reggio Emilia, il marchio comprende oggi nove linee specializzate e genera profitti per oltre 8 milioni di zloty all’anno. Nel 2020 hanno proposto l’iniziativa Cameluxe in cui i tessuti scartati dalla produzione, soprattutto quelli color caramello, tonalità spesso protagonista dei capi del marchio, vengono utilizzati come materiale isolante nelle nuove collezioni.