Alla scoperta dell’Asti e delle “cattedrali” di Canelli

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Dalle “cattedrali” sotterranee di Canelli alle bollicine che hanno conquistato il mondo, l’Asti è la prima denominazione spumantistica italiana e oggi gioca anche con la mixology

Il vino è parte della storia di un territorio e di una comunità, entrando così a fondo nelle pieghe del paesaggio da modellarne il volto e la conformazione. Ci sono però in Italia luoghi che hanno visto trasformarsi non solo la superficie, ma anche il sottosuolo.

Canelli è uno di questi luoghi, perché l’avvento della spumantistica – l’Astigiano è sicuramente un’area che ha scritto la storia delle bollicine italiane – ha portato alla realizzazione di autentiche “cattedrali sotterranee” in cui ancora oggi viene affinato il vino Docg che porta il nome del borgo. 

Vero e proprio tesoro nascosto, le cattedrali sono un luogo che incanta e affascina. Questi spazi, intrecciati con la storia e la cultura della regione, emanano un’atmosfera suggestiva con le maestose volte in pietra, le navate oscure e gli intricati passaggi che conducono in un mondo sospeso nel tempo, unendo passato e presente. Esplorarle è come intraprendere un viaggio nel cuore stesso della tradizione e della vocazione vinicola di Canelli.

Oggi protetti come patrimonio Unesco, i grandi spazi cavi nel sottosuolo furono scavati per conservare il vino scendendo sino a 32 metri di profondità e attraversando l’intera collina canellese, in un reticolo che si estende sotto la cittadina per oltre 20 km. Nel corso dei secoli, le cattedrali sotterranee sono state ampliate e decorate, diventando autentiche opere d’arte architettoniche. 

Molte delle cattedrali sono aperte al pubblico e oggi le case spumantistiche ne fanno un vanto per la proposta enoturistica, in primis le cantine Bosca e Gancia (dove nel 1865 fu creato il primo spumante italiano), ma anche le cantine Contratto e Coppo.

MILIONI DI BOLLICINE ASTIGIANE NEL MONDO

Le “cattedrali” patrimonio Unesco sono emblema di un territorio e dei suoi vini, perché in quelle caverne scavate da mani umane è nato lo “champagne” italiano (al tempo si chiamava così). L’Asti spumante è infatti un vino nato come metodo classico, grazie all’intraprendenza di Carlo Gancia che nel 1865 andò a “rubare” i segreti enologici in Champagne e portò in Piemonte la tecnica della doppia fermentazione, ma trasformato a fine Ottocento da Federico Martinotti, allora direttore dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, che brevettò la seconda fermentazione in autoclave.

Da allora sono passati fiumi di Moscato nei calici, con l’universo Asti che ha invaso il mondo di bollicine, con le grandi case spumantistiche che hanno fatto la storia della comunicazione pubblicitaria nel settore vitivinicolo.

Oggi la denominazione spumantistica più antica d’Italia produce 100 milioni di bottiglie, per il 90% esportate sulle tavole di tutto il mondo. E se Canelli è la culla del Moscato d’Asti, da giugno 2023 è anche una Docg. Le uve da vigneti composti esclusivamente dal vitigno Moscato bianco che entrano nella nuova Denominazione provengono da 17 comuni attorno alla cittadina, punto di passaggio tra Langhe e Monferrato. 

Nel frattempo i costumi si evolvono e l’Asti, mentre celebra i fasti di una storia secolare, guarda al consumo contemporaneo e gioca la carta della mixology. Da anni, infatti, il Consorzio spinge sulla proposta di un vino aromatico e leggero come ingrediente fresco nella miscelazione di cocktail che possono raccontare il territorio in modo nuovo, magari in abbinamento con il Vermouth, altra specialità a base vino che in Piemonte ha trovato un’identità peculiare.