Tra i contributi offerti dalla storiografia italiana al dibattito concernente un argomento di così ampia e cruciale portata quale l’origine della seconda guerra mondiale, occupa una posizione di tutto rilievo il libro “Polonia 1939: sfida al Terzo Reich” della studiosa fiorentina Sandra Cavallucci, professore incaricato di Storia dell’Europa Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze ed esperta di temi riguardanti la Polonia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Il volume, edito da Rubbettino, è il risultato della felice convergenza, ancor più apprezzabile in quanto non comune, tra la profonda preparazione storica posseduta dall’autrice – chi scrive ha avuto il piacere di conoscerla personalmente lo scorso giugno a Roma in occasione di un convegno dedicato al Patto Ribbentrop-Molotov – e la sua conoscenza della lingua polacca. L’obiettivo che si è prefissa Sandra Cavallucci è stato quello di ripercorrere i fatali eventi del biennio 1938-1939 dal punto di vista di Varsavia, offrendo un quadro alternativo e maggiormente equilibrato della politica estera della Seconda Repubblica di Polonia, spesso bollata dagli studiosi del periodo in questione come “sconsiderata”. Non si trattava di assolvere in toto la classe dirigente polacca né di forzare le interpretazioni storiografiche tradizionali all’interno di un approccio polonocentrico, quanto di proporre una nuova visione dell’azione diplomatica di Varsavia, più sfumata e maggiormente capace di tenere in debita considerazione le istanze e i timori polacchi dell’epoca, inquadrandoli in un contesto più ampio. L’accesso a fonti documentarie poco accessibili ha permesso all’autrice di ricostruire in modo originale ed esauriente il filo degli avvenimenti che si dipanarono nei mesi precedenti il fatidico settembre 1939, mettendo in luce aspetti spesso trascurati ma significativi del panorama internazionale quale si presentava in quel periodo.
“Nell’accingermi ad affrontare questa tematica – spiega Sandra Cavallucci – volevo scoprire perché l’élite polacca nel 1939 avesse preso certe decisioni. Molti storici hanno infatti giudicato la politica condotta da Varsavia nella seconda metà degli anni Trenta come frutto di delirio da grande potenza e dell’ambizione senza limiti di una ristretta cerchia di statisti sprovveduti. Alla classe dirigente dell’epoca è stata spesso attribuita un’inclinazione filotedesca che avrebbe poi inevitabilmente finito per ritorcersi contro la stessa Polonia. L’artefice di quella politica, il ministro degli Esteri Józef Beck, è stato generalmente giudicato in modo molto negativo. Mi sono chiesta se all’epoca quelle scelte non avessero motivazioni logiche e razionali, invece che essere espressione di follia o cecità politica. Dalla mia ricerca emerge come in realtà sia stato proprio così: la politica polacca era sicuramente mossa da una logica razionale e dalla consapevolezza delle possibili ripercussioni delle proprie scelte”.
In particolare la studiosa fiorentina pone in rilievo come la Polonia sia stata, nel 1939, l’unico Paese europeo a esprimere un netto “no” nei confronti di Hitler, ben sapendo che ciò l’avrebbe esposta ad un conflitto. Il rifiuto delle offerte del dittatore (ritorno della Città di Danzica al Reich e costruzione di un’autostrada extraterritoriale che attraverso il Corridoio Polacco collegasse la Prussia Orientale al resto della Germania in cambio di un’alleanza tedesco-polacca in funzione antisovietica) fu lucidamente determinato dalla consapevolezza che un cedimento al Terzo Reich sarebbe equivalso a fare della Polonia uno Stato satellite, economicamente dipendente ed esposto agli umori della politica germanica. Dalla ricostruzione degli avvenimenti presentata da Sandra Cavallucci si evince come la decisione polacca fu assunta autonomamente sulla base di valutazioni dettate esclusivamente dall’interesse nazionale e non fu, come invece molti storici hanno sostenuto, la conseguenza tardiva e controproducente delle garanzie anglo-francesi. In realtà Varsavia aveva espresso fin dal 1938 la sua netta contrarietà rispetto ad ogni soluzione della questione di Danzica (costituita dal Trattato di Versailles in Città Libera sotto l’egida della Società delle Nazioni) che mettesse in questione gli interessi polacchi sul Baltico, lasciando però lo spazio per un compromesso cui Hitler non si dimostrò interessato. Escludendo a priori un’alleanza militare con l’Unione Sovietica, di cui si temevano le mire espansionistiche e la possibile infezione ideologica comunista, alla Polonia non rimase che affidarsi alle promesse di aiuto delle due maggiori democrazie occidentali, Gran Bretagna e Francia. Tuttavia le garanzie offerte dai due Paesi si sarebbero rivelate del tutto prive di consistenza pratica, anzitutto per via della lontananza geografica dei due “tutori”. Tale elemento sarebbe emerso in tutta la sua tragica portata nel settembre 1939, quando la Polonia si trovò completamente sola ad affrontare l’assalto del Terzo Reich, terminato con l’ennesima spartizione del Paese, stavolta diviso tra Germania e Unione Sovietica in forza delle clausole segrete allegate al Patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939. Alla luce di ciò viene così correttamente evidenziato quello che fu probabilmente l’errore di valutazione più grave commesso dalla leadership polacca: non aver ritenuto possibile un connubio di interessi tra due potenze divise dalla lotta ideologica, ma che una spregiudicata Realpolitik avrebbe inesorabilmente condotto ad un accordo stipulato proprio sulla pelle della Polonia. Attraverso la puntuale ricostruzione delle reazioni di Varsavia alle iniziative delle maggiori potenze fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, “Polonia 1939: sfida al Terzo Reich” delinea quindi il quadro complessivo della situazione europea nel 1939: una brillante ed efficace rilettura “italiana” di una fondamentale pagina di storia si rivela così un valido strumento destinato ad estendere la conoscenza di un Paese ormai sempre più al centro dell’Europa.