Lino Bortolino
Abitavo in Piemonte ed ero stato invitato da un gruppo di amici in Scozia per la caccia alle “g?si”, le grandi oche che d’inverno scendono dal circolo polare artico in cerca di cibo.
Più della caccia mi interessava il Paese di Maria Stuarda.
Conoscevo la sua storia, e la storia sofferta della Scozia cattolica, per salvare prima di tutto l’indipendenza e più tardi un minimo di autonomia da Londra.
Conoscevo la storia di tutta l’Europa, ovviamente Inghilterra compresa, ma visitarne i luoghi, osservarne i costumi, approfondirne sul posto la cultura, l’architettura, l’arte, il folclore, provarne la gastronomia, è sempre stata per me una emozione irrinunciabile.
Così per la cultura mediterranea e così ugualmente per la cultura nordica.
Partimmo dunque in gennaio. Alcuni raggiunsero Edimburgo in minibus, altri in aereo.
Il gruppo si riunì in un B&B a Braco Castle, nei pressi di Dunblane, sotto il castello del conte Miur che era il proprietario dei terreni sui quali si sarebbe svolta la caccia.
Ad illustrare il programma dei prossimi giorni, la sera stessa dell’arrivo, si presentò il capo caccia: era mister Mac, un maggiore dell’esercito polacco che era riuscito a sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi al momento dell’invasione nazista del 1939 e, dopo aver combattuto nella resistenza, aveva ottenuto la cittadinanza inglese ed il ruolo di insegnante a Edimburgo. Aveva una moglie polacca, pittrice, che si chiamava Ewa ed una figlia Ania che studiava in Italia.
Già ascoltare la storia di mister Mac e conoscere la sua signora mi aveva emozionato molto ma, la sera dopo, un’altra emozionante scoperta fu la storia del conte Miur e di sua moglie.
Questi avevano vissuto tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale in Africa al seguito delle truppe alleate che, partite dal Sud Africa, allora Commonwealth Britannico, erano risalite
lungo le coste del Mozambico, conquistando contro Mussolini la Somalia, l’Eritrea, l’Egitto e la Libia, fino alla Sicilia.
Alla fine della Guerra si erano trovati dalle parti di Reggio Emilia e là, dopo aver comprato una geep, in liquidazione dall’esercito alleato, avevano comprato anche una forma intera di formaggio parmigiano da 35 kg e l’avevano portata a Braco nel loro castello per festeggiare con gli amici il sognato ritorno!
Dal 1945 al 1975 i coniugi Miur non avevano più avuto modo nè occasione di riassaporare il parmigiano-reggiano e con gli occhi umidi ne manifestavano una malcelata e profonda nostalgia.
Mister Mac, a sua volta, ascoltava il loro racconto senza avere la più pallida idea di che cosa stessero parlando perchè quel formaggio non l’aveva mai assaggiato.
Io parlai di mia moglie, di origine emiliana, esperta cuoca e appassionata di gastronomia, il parmigiano lo usava in cucina moltissimo e, per quanto le piaceva, se avesse potuto lo avrebbe messo perfino nel caffelatte.
La contessa mi invitò con insistenza a visitare, l’estate successiva, il suo castello ed il suo grande giardino, che curava personalmente. Sarei stato suo ospite con tutta la mia famiglia.
Mia moglie era insegnante di lingua francese in una scuola media dalle parti di Bassano del Grappa e le nostre vacanze estive le passavamo spesso girando in roulotte per la Francia.
Quell’anno, in luglio, arrivammo in un camping nei pressi di Le Havre, staccammo la roulotte
e ci imbarcammo. La sera del giorno dopo eravamo già al castello di Braco.
Vi fu una cena memorabile a base di salmone, cervo, lamponi giganti, birra da parte scozzese
mentre da parte italiana erano arrivati i vini bianchi e rossi, i salami e finalmente anche il parmigiano-reggiano che fu posizionato su un vassoio d’argento al centro della tavola.
Il giorno dopo, prima dell’apertura della caccia, io avvicinai il capocaccia con una bottiglia di grappa in mano e gli dissi : “Mister Mac, questa è una bottiglia speciale, un liquore della più antica tradizione veneta, prodotto in famiglia con le vinacce, è per lei ed i suoi amici”
Senza esitare lui stappò la bottiglia e ne bevve un sorso. Mi guardò con un ineffabile sorriso
e mi disse: “ Lino, questa roba è troppo buona, i miei amici non la capirebbero, me la bevo tutta io!” e se la nascose subito sotto la mantellina.
I giorni successivi ebbi modo di parlare con lui della Polonia, della tragedia della guerra e del fatto che per lui, con l’avvento del comunismo russo, la guerra, dopo trent’anni, non era ancora finita perchè non poteva rientrare in patria. Mi parlò della sua grande nostalgia. Mi parlò delle grandi attrazioni naturalistiche della Polonia e mi lasciò dentro un vivo desiderio di visitarla.
Per questo qualche anno dopo, nel 1982-83, aiutai, nell’area di Venezia, gli organizzatori
di soccorsi da inviare alla curia di Varsavia e, appena caduto il muro di Berlino, nel 1990 decisi di visitare la Polonia.
Arrivare ai Biastadi, a Cracovia, a Lublin, a Bialistok, ai laghi Masuri, a Puutusk e poi a Varsavia, conoscendone la storia, fu una vera emozione e un ambito arrichimento culturale.
Il primo interprete di lingua italiana che mi fu presentato fu Janus Malinowski di Olsztyn.
Aveva imparato l’italiano tra le bombe e le pallottole combattendo a Montecassino!
Ma se lo ricordava, dopo più di quarant’anni, ancora molto bene, proprio perchè
in ognuno di noi rimangono indelebili i ricordi più tragici della vita, i momenti difficili, le angoscie e le paure più profonde, mentre si dimenticano in fretta le piccole gioie quotidiane.
Prima di avviarmi in Polonia avevo chiesto a qualcuno che cosa avrei potuto portare se avessi voluto fare qualche piccolo regalo. Mi avevano detto: “porta salami tipici italiani, qualche bottiglia di vino spumante e soprattutto il parmigiano-reggiano!”
Feci il mio primo viaggio di quindici giorni assieme a mio figlio, conoscemmo gente semplice, aperta, cordiale, desiderosa di ampliare i propri contatti in tutti i sensi, desiderosa di Italia e di Europa. Questo l’avevo già avvertito in Francia, Spagna, Grecia.
Finalmente, in questi ultimi venti anni ho potuto aggiungere agli amici residenti in quei Paesi anche quelli di Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria.
Per questo mi sento orgoglioso di poter dire che la mia Europa sono andato a scoprirla personalmente, in mezzo alla gente, e oggi sono felice di credere all’Europa soprattutto per le persone che ho incontrato, con le quali condivido più che mai cultura e aspettative.