Oltre che a cercare, vivere e raccontare esperienze condite da un più o meno esteso legame tra Italia e Polonia, alle volte, laddove possibile, tento anche un altro stimolante passaggio: trovare una connessione con un elemento terzo, per un ulteriore e meno canonico incastro culturale. A giocar qui dunque il ruolo di collante, pur ergendosi logicamente poi a indiscutibile protagonista, è la Norvegia, nella figura del suo pittore simbolo Edvard Munch, il cui recentemente rinnovato museo in quel di Oslo costituisce il punto focale di questa storia.
Spesse volte capita, in svariati contesti, che un artista venga ricordato o pressoché totalmente identificato (in maniera ingiusta e superficiale) in un’unica opera, gettando di conseguenza un po’ nell’oblio la restante produzione; di rado però ciò accade con una travolgente potenza, caratteristica peraltro intrinseca dell’arte in questione stessa, quale quella che riguarda “L’urlo”.
Sabato 22 ottobre ho avuto l’onore di essere ospite del MUNCH, l’inconfondibile grattacielo di 13 piani nel centro storico orientale della capitale norvegese che, da circa un annetto, è la nuova casa che accoglie l’immenso lascito del pittore alla sua Oslo.
Dopo la soddisfacente visita durata diverse ore, in un secondo momento ho intervistato con piacere, grazie alla Capo Ufficio Stampa Maren Lindeberg, il Responsabile della Programmazione del MUNCH, Lars Toft-Eriksen. Un’occasione d’oro per fare un po’ il punto tra lo smisurato patrimonio artistico più o meno noto ed i legami, pur non così lampanti, di Edvard Munch con Italia e Polonia, oltre che per saperne di più circa le poliedriche esibizioni proposte nel tempo.
Riguardo il pericolo per l’artista di ritrovarsi inghiottito nella incalcolabile fama globale di un singolo suo prodotto, Toft-Eriksen pone lo sguardo su un lato più costruttivo: «C’è questo rischio certo per quel che riguarda “L’urlo”, ma possiamo vedere anche il plus di questa situazione, perché la gente poi arriva a conoscere di più Munch, ed alla fine è ciò che lo rende così grande, popolare ed apprezzato. Anche durante la sua vita, pur non essendo certo la “superstar” di oggi, è sempre stato un personaggio famoso e riconosciuto, apprezzatissimo in particolare in Francia e Germania. La grande fama è arrivata dopo, con i musei e le mostre. La prima idea di un museo era addirittura dello stesso Munch negli anni ’30; questo nasce poi invece nel 1963 in un’altra location, e trova posto dall’ottobre 2021 nell’attuale sede».
E c’è anche un recentissimo pezzetto importante d’Italia nel tentativo di far splendere nuova luce sull’artista: il docufilm “Munch. Amori, fantasmi e donne vampiro”, la cui produzione è tricolore, è stato distribuito eccezionalmente nelle sale cinematografiche italiane i giorni 7, 8 e 9 novembre. Un viaggio inedito nella vita e nella Norvegia di Edvard Munch, dalla deliziosa casa di Åsgårdstrand, che ho visitato, alle immagini dell’incantevole nazione scandinava, e ovviamente tra le sale del maestoso MUNCH, osservando opere e riflettendo sui temi che hanno scandito l’esistenza e l’arte di un autentico genio e precursore.
Passando poi ad analizzare il legame con Munch da un punto di vista anche di più concreta produzione artistica, se per quanto concerne la Polonia è importante sottolineare il rapporto con Stanisław Przybyszewski (che sposò nel 1893 la già nota al pittore Dagny Juel, della quale riporto un dipinto di Munch del medesimo anno), circa l’Italia Toft-Eriksen mi sorprende abbastanza: «Con lo scrittore polacco si parla di una lunga amicizia; i due erano infatti molto vicini. Invece nel Bel paese Munch è stato diverse volte, a Roma, e c’è infatti un suo quadro che raffigura la tomba dello zio, il famoso storico Peter Andreas Munch , che è sepolto proprio nella capitale».
Il luogo di riposo in questione è il celebre Cimitero Acattolico nel rione Testaccio.
Tornando al MUNCH a Oslo, le molteplici e multiformi esibizioni che impreziosiscono i 13 livelli del grattacielo passano dal “placet” proprio di Lars Toft-Eriksen che quindi è la persona più indicata a cui dunque chiedere quali caratteristiche debbano possedere gli incredibili elementi di cultura visuale, stimoli sensoriali o pezzi artistici scelti per gli spazi del museo: «Non tutto è necessariamente correlato nello stretto a Munch. C’è molta arte moderna, contemporanea, con aspetti magari integranti, ma la scelta non viene effettuata solo sulla base di un legame vincolante. Ci sono tuttora e ci sono stati in precedenza ad esempio artisti fortemente influenzati da Munch, come nel caso di Tracy Enin. L’ordine dei piani del grattacielo è particolare, e ci sono molte opportunità per le persone di muoversi in questi spazi, culminanti con la terrazza panoramica che domina sulla città».
Questa esperienza è stata molto gratificante e difficile da sintetizzare. Poter scoprire sempre nuove cose, andando oltre la superficialità, è una soddisfazione continua.
P.s. Lo dico alla fine, sottovoce, ma devo: “L’urlo” è meraviglioso, in tutte e tre le versioni proposte dal MUNCH, e calamita chiaramente i visitatori come nient’altro. Ma a lasciare tutti a bocca aperta è davvero l’intero museo stesso, il miglior modo per Oslo di rendere sacrosanto onore al genio del suo Edvard Munch.