Tanti turisti vengono a Venezia per un giorno: si meravigliano dell’onnipresente acqua, delle snelle gondole, dei colori delle maschere e dei vetri, si stringono in Piazza San Marco e sul Ponte di Rialto seguendo obbedientemente l’ombrello della guida. Solo immagini, sorrisi, ricordi.
L’innumerevole quantità di ponti e canali, chiese e campi, all’inizio può sbalordire e
scoraggiarti dall’esplorare la Serenissima individualmente. Tuttavia, se dedichiamo un po’ più di tempo a Venezia, si scopre che è diffi cile perdersi qui. Perché anche se ci perdiamo in un vicolo cieco, alla fi ne troveremo o un giardino segreto o una nuova vista su un canale. E non è esattamente quello che stiamo cercando? Bellezza, mistero, qualcosa che ci stupirà?
Quest’anno siamo arrivati a Venezia in aprile-maggio. Dopo esser scesi dall’autobus a Piazzale Roma, siamo stati salutati dal cielo limpido e dal verde intenso dei Giardini Papadopoli.
È a questo punto, dove il traffi co automobilistico finisce, che per la maggior parte dei turisti inizia l’avventura a Venezia.
Subito abbiamo seguito il percorso, ben noto, verso Campo Santa Margherita nel sestiere Dorsoduro, che è uno dei sei sestieri di Venezia. Un ponte, un secondo, un terzo, un quarto, un quinto. Fermata. Dobbiamo fermarci a uno di questi ponti. Questo non è un normale ponte. Questo è Il Ponte dei Pugni, un tempo scenario di furiose disfide tra veneziani. Il ponte non aveva barriere e l’obiettivo della lotta dei pugni era quello di gettare l’avversario in acqua.
Uno dei nostri bar veneziani preferiti si trova ai piedi di questo ponte – Bar Artisti Osteria Ai Pugni – qui ci sentiamo come se fossimo a casa nostra. Siccome vogliamo mangiare e bere come i veneziani, ordiniamo da bere lo spritz al Select, una versione più secca dello spritz all’aperol, caratterizzata da un colore carminio e un sofisticato gusto amaro. Come aggiunta obbligatoria gli spuntini, preferibilmente diversi tipi. All’Osteria ai Pugni ci piace mangiare i fagottini fritti ripieni di prosciutto cotto, mozzarella o melanzane. Tutto si sceglie in bocca, ogni cosa ha un suo specifico gusto ed odore. In nessun altro luogo si mangia così bene.
Venezia ci sta aspettando. Percorriamo il largo Campo Santa Margherita verso le Gallerie dell’Accademia, il tempio dell’arte, dove sono raccolti i più grandi tesori della pittura veneta: opere di Bellini, Tintoretto, Tiziano, Guardi e Canaletto. Ovunque, lungo le calli, incontriamo numerose vetrine piene di vetri e gioielli, che ci ricordano che il commercio è sempre stato alla base dell’esistenza di questa città. Ci sono anche profumerie, quasi gallerie d’arte, come Bottega Cini, che vende i prodotti della marca The Merchant of Venice (Kupiec wenecki), profumi unici e raffinati con composizioni che ricordano tutta la ricchezza di Venezia quando era all’apice della sua gloria.
La Bottega Cini prende ovviamente il suo nome dal Palazzo Cini, oggi museo che espone le collezioni di Vittorio Cini (1885- 1977), collezionista, industriale e filantropo italiano. Un po’ più in là un altro museo, o meglio una Mecca per chi si occupa d’arte, cioè la Peggy Guggenheim Collection. Nel palazzo incompiuto, situato proprio sul Canale Grande, sono raccolte le opere dei più famosi artisti del XX secolo, come Kandinsky, Rothko e Pollock. Mi ha affascinato molto la statua Maiastra di Constantin Brancusi, ovvero un mitico uccello rumeno, trasformato dall’artista in un blocco d’oro sintetico. C’è anche un meraviglioso giardino dove ci si può rilassare all’ombra e una libreria, dove non ho comprato né matite con il nome del museo né calze colorate, ma un libretto Venice the basics, di Giorgio Gianighian e Paola Pavani. Si potrebbe dire che è un libro destinato ai bambini, ma sono rimasta affascinata dalle illustrazioni di Giorgio del Pedros e da una una chiara rappresentazione di come è stata costruita Venezia: da isole naturali, rinforzate da pali, a canali e palazzi perfettamente delineati che sembrano galleggiare sull’acqua, ma in realtà poggiano su solide fondamenta che sono un capolavoro dell’arte ingegneristica.
L’estremità dell’est di Dorsoduro, chiamato Punta della Dogana, si affaccia verso la dirimpettaia isola di San Giorgio Maggiore, che accoglie i visitatori con la sua scintillante facciata bianca del Palladio e la fi gura di un angelo che veglia sul campanile della chiesa. È lì, in alto, sotto le campane, si possono guardare i quattro angoli del mondo e ammirare le tante isole di Venezia, per poi tornare sulla terra ed alzare lo sguardo per vedere l’Ultima Cena di Tintoretto nel presbiterio della chiesa. Questa è una delle tante meraviglie di questa città, un dipinto creato per questo luogo, tenendo conto della prospettiva da cui verrà visto; è ancora qui da oltre 400 anni!
Sull’isola è molto attiva anche la Fondazione Giorgio Cini. Quest’anno, grazie a lei, sono state realizzate diverse mostre: FontanaArte. Vivere nel vetro, dedicata al vetro d’arredo della fabbrica milanese leggendaria, con degli oggetti risalenti agli anni ’30 del XX secolo, An Archaeology of Silence con sculture e dipinti del famoso artista contemporaneo Kehinde Wiley, e una mostra molto intrigante, chiamata “On fire”, che presenta le opere realizzate da artisti eccezionali, mediante il fuoco. La Fondazione ha inoltre condiviso la sua galleria alla mostra Homo Faber, affollata di visitatori, che intende ricordare l’importanza dei mestieri tradizionali e la trasmissione delle tradizioni di generazione in generazione.
L’isola più vicina a San Giorgio Maggiore è la Giudecca, la più grande tra le isole che formano il centro di Venezia, dove si svolge la vita quotidiana dei veneziani. Una quotidianità eccezionale, perché puoi mai rientrare nella normalità che chi abita vicino al Redentore, chiesa che dà il nome ad una grande festa durante la quale, una volta all’anno, la terza domenica di luglio, può arrivare alla Giudecca senza usare una barca, camminando su un ponte di barche? Su quest’isola sorge l’hotel Hilton, con il suo bar “Skyline”, situato sul tetto, dal quale si può vedere la parte orientale e occidentale di Venezia. È un luogo unico, perché vedute comparabili a quella, possono essere ammirate solo dai campanili delle chiese. Il bar è anche un ottimo posto per incontrare gli amici la sera. Invece le mattine a Venezia è meglio trascorrerle come lo fanno gli italiani ovvero bevendo il caffè espresso e non quello
diluito con acqua e latte, americano o caffè latte. Adoro il caffè. Senza non riesco a immaginare il mio soggiorno in Italia, né a Venezia. L’espresso bevuto più volte al giorno ti dà forza e buonumore. Stesso effetto mi dà il gelato. Non avrei mai pensato che dopo tanti anni avrei ritrovato la gelateria dove l’avevo mangiato quando sono stata a Venezia per la prima volta durante i miei studi. È la gelateria Millevoglie gestita da Dorota e Tarcisio, vicino a quella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari dove si trova lo straordinario dipinto dell’Assunzione di Tiziano. Il nostro incontro si è trasformato in una riunione casuale di polacchi che vivono a Venezia, perché più gustavamo il gelato (nel mio caso il pistacchio, per cui ho una debolezza, e il gianduiotto, come se il gusto arrivasse direttamente da Torino), più persone si univano a noi. Nota bene, al bar di Dorota e Tarcisio, accanto alla gelateria, si può anche bere un caffè e uno spritz e mangiare cicchetti. Che dire dei cicchetti? Di certo sono deliziosi. Queste piccoli spuntini, spesso fatte con un pezzo di pane, su cui vengono adagiate verdure, formaggi, salumi e pesce fanno parte del mio rituale di cucina veneziana. Amo particolarmente quelli con pasta di pesce con baccalà o quelli con carciofi e prosciutto cotto. E per favore, vi prego di non chiamarle tapas, paese diverso, tradizione diversa, ruolo diverso. Se volete mangiare e bere come un vero veneziano, allora bevete un caffè, lo spritz al select e mangiate i cicchetti. E per cena, provereste forse la polenta con il fegato o dei frutti di mare fritti? È vero che molti hanno già detto che Venezia e l’Italia non sono solo pasta e pizza, ma vale la pena prendere a cuore questa verità.
A proposito di cuore, per Venezia è ovviamente la Piazza di San Marco, con la Basilica di San Marco, il campanile e il Palazzo Ducale. Sebbene questi siano luoghi molto affollati di turisti, non possono essere saltati. Si deve visitare almeno una volta nella vita il Palazzo
Ducale. La cosa che mi ha impressionato di più sono i dipinti, per le loro dimensioni, la loro quantità e qualità. Tintoretto e i due Bassano. Una quantità inimmaginabile di lavoro, idee e grandi capacità. Così come nella chiesa di San Giorgio Maggiore, i quadri, che sono stati dipinti per le singole stanze, sono ancora lì esposti e raccontano la storia di Venezia alle generazioni future che verranno qui. Il percorso espositivo del Palazzo è molto interessante. Direttamente dalle stanze piene d’oro, sculture e dipinti colorati, ci conduce, attraverso il famoso Ponte dei Sospiri, alle ex carceri. Scendiamo sempre più in basso, i corridoi si restringono, le finestre sono sbarrate, le porte chiuse a chiave. Tutto questo ricorda vividamente i disegni onirici di Piranesi. Al livello più basso, le finestre sono vicine al livello del canale, si può sentire l’odore dell’acqua di mare e dell’umidità. Nonostante oggi sia solo un museo, ho sentito i visitatori che respirano con sollievo, quando escono di nuovo alla luce.
Anche noi vogliamo sole, aria e brezza marina, quindi ci spostiamo ai Giardini della Biennale, ovviamente “questa” biennale, la mostra d’arte, conosciuta in tutto il mondo, che si svolge quest’anno per la cinquantanovesima volta. Qui tra gli alberi, passeggiando tra i padiglioni, si può trascorrere l’intera giornata. Ma come nel caso dei grandi musei, è bene fare una scelta, anche se è molto difficile, perché a noi interessa tutto. Senza dubbio guardiamo il padiglione principale e il padiglione polacco, con una mostra di installazioni di Małgorzata Mirga – Tas, in cui l’artista mostra le sue attività quotidiane, che sono in relazione al ritmo dell’universo. Non è una visione terrificante, anzi proprio il contrario. L’installazione, realizzata con pezzi cuciti di tessuti colorati, richiama alla mente la quiete domestica, permette di sentire il calore, la pace e l’ospitalità di una casa polacca.
Neanche ai veneziani manca il senso dell’ospitalità. Li ammiro per il fatto che con questa infinita quantità di turisti continuano a servirmi il caffè con un sorriso ed a rispondere calorosamente ai saluti, e che addirittura sono così orgogliosi della loro città e ne condividono volentieri i tesori. Allo stesso tempo, rimangono se stessi, così positivi nel riguardo alla vita e irradiano questo stato d’animo sugli altri.
tłumaczenie it: Wojciech Wróbel