Maestosi, monumentali, espressione della forza del potere. Così sono gli edifici modernisti costruiti negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Dalla sede del capo di stato alle scuole fino alle istituzioni culturali, i governi contrassegnano la loro presenza allargando e, a volte, perfino creando, città nuove. La tendenza era popolare in tutta Europa. Diamo uno sguardo all’architettura polacca e italiana di questo periodo e analizziamo la sua evoluzione e i suoi influssi tra la Prima e la Seconda guerra mondiale.
La semplicità della forma si combina con l’eleganza e fino ad oggi non lascia indifferenti. Ci rendiamo conto della storia che è nascosta dietro la loro creazione, il loro posizionamento, il loro aspetto? Durante questo periodo l’architettura era in piena simbiosi con il potere statale e aveva un ruolo decisivo nella propaganda politica.
Nel 1918, dopo più di un secolo, lo stato polacco riconquistò l’indipendenza e tornò sulle mappe del mondo. Le terre, che per molto tempo furono sotto l’occupazione prussiana, russa e austriaca, divennero nuovamente uno stato. Il Governo di Józef Piłsudski doveva affrontare una grande sfida. Bisognava unificare e uniformare il livello di istruzione, economia, sviluppo e introdurre un unico modello di cultura e identità nazionale. Il processo doveva essere decisamente infl uenzato dall’architettura.
Anche l’Italia dopo la Prima guerra mondiale doveva ricostruirsi. Le perdite di guerra, il crescente debito e la distruzione del paese stimolarono lo sviluppo di un’atmosfera rivoluzionaria. Nel 1919 Benito Mussolini creò i “Fasci Italiani di Combattimento”: un’organizzazione che riuniva i veterani di guerra, due anni dopo entrò sulla scena politica guadagnando gradualmente la popolarità. Infi ne, nel 1925, il Duce assunse il pieno controllo del potere e dichiarò la fi ne della democrazia. Mise in pratica un programma di fascistizzazione dell’Italia, che copriva ogni aspetto della vita e cercò di plasmare i nuovi cittadini e una nuova ideologia, sfruttando abilmente a questo scopo l’architettura.
All’inizio degli anni ’20 in Polonia viene ricercato e discusso uno stile che dovrebbe rispecchiare i valori e le tradizioni nazionali nell’architettura e allo stesso tempo introdurre un elemento di modernità. Gli edifi ci con tendenze allegoriche, ispirati dagli antichi manieri, avevano lo scopo di rafforzare nel popolo il senso di appartenenza al paese e alla sua storia. Vengono realizzati molti edifici pubblici, soprattutto nelle città più piccole. I palazzi sono stilizzati come i vecchi manieri polacchi, ma in forme più semplificate. Uno di questi esempi è la Stazione Ferroviaria di Lublino, ricostruita al posto della stazione precedente negli anni 1924-1925, secondo il progetto dell’architetto Jerzy Müller. Il classicismo accademico è rappresentato anche dagli edifici per banche, teatri e uffici.
Un buon esempio è l’edificio della Banca PKO a Cracovia, costruito tra il 1925 e il 1926 da Adolf Szyszko-Bohusz. Uno dei primi palazzi progettati per ospitare il potere è stato il Parlamento della Slesia (Sejm Śląski) a Katowice. Nella sua forma e dimensione assomigliava ai castelli rinascimentali. Decorato con i rilievi di aquile e altri simboli che si riferivano alla storia della Polonia.
Una questione urgente era il bisogno dell’espansione di Varsavia, una città che all’epoca non era adatta al ruolo di capitale della Polonia. Mancavano strutture che potessero ospitare ministeri e istituzioni centrali. Inizialmente le loro sedi sono state localizzate nei palazzi e nel Castello Reale. Nel frattempo, venivano annunciati i bandi dei concorsi e iniziavano i lavori di costruzione degli edifici per le autorità centrali. Uno dei palazzi più interessanti, che richiamava il classicismo modernista, è l’edificio del Sejm della Repubblica di Polonia. Il complesso parlamentare consisteva in: una sala plenaria semicircolare e la Casa dei Deputati, il tutto decorato con bassorilievi e circondato dal verde dava l’impressione di accessibilità e apertura a chi passava vicino. Sia all’esterno che all’interno di questo edificio si può osservare una gradevole evoluzione dello stile nazionale. Le forme geometriche diventano più ornamentali e richiamano la nascente Art Déco polacca, che ha avuto grande successo all’esposizione mondiale di Parigi nel 1925.
L’Italia fascista degli anni ’20 perseguiva un progetto di “unificazione”, ossia la trasformazione dei centri della maggior parte delle città. Mussolini sosteneva la città come un fattore molto importante nel processo della creazione dell’ideologia della Nuova Italia, che influenzava anche la percezione del potere da parte della società. Era nelle piazze centrali che si svolgevano le sue marce, i comizi, le assemblee. Era lì, che il Duce, circondato da edifici monumentali, perseguiva la grande “rivoluzione spirituale e sociale,” che avrebbe dovuto condurre il popolo verso un futuro migliore.
Inizialmente si pensava che lo stile dell’arte d’avanguardia, specialmente quello dei futuristi, fosse uno stile nazionale, perché i principi degli artisti e di Mussolini erano molto simili. Entrambi immaginavano cambiamenti radicali, il crollo del vecchio ordine, la distruzione della “Italia Vecchia” e la creazione di un nuovo modello del cittadino italiano. La loro attenzione era rivolta alla novità, al progresso tecnologico, al culto della gioventù: si autodefinivano addirittura “creatori del futuro”. La relazione tra le due comunità era inizialmente intrecciata e fortemente interconnessa. Il governo mussoliniano però non era pienamente convinto di questo stile in quanto riteneva che le composizioni fossero troppo dinamiche, troppo espressive, che non coincidessero del tutto con la visione di uno stato forte e stabile. Mussolini, fortemente interessato all’architettura, non imponeva uno stile di produzione ufficiale ai progettisti e agli artisti, come invece fecero diversi dittatori in Europa. Inoltre, permetteva loro di operare liberamente alla sola condizione che non interferissero nella sfera politica. La sua attenzione era attratta dallo stile Novecento: creato dagli artisti stanchi dalla sperimentazione nell’arte degli anni ’20, rivolti verso l’antichità classica, la composizione e la forma pura ma più geometrica. Lo stile fiorisce nell’architettura a cavallo tra gli anni ’20 e ’30. Un buon esempio di questa tendenza è il Palazzo della Borsa in Piazza Affari a Milano. La sua forma ricorda i templi antichi. Le colonne sormontate da sculture, bassorilievi e altri ornamenti sulla facciata dei palazzi: tutti gli elementi nonostante il loro riferimento al passato, sono molto moderni e geometrici nella loro forma.
Anche se lo stile di costruzione e i gusti delle autorità cambiavano durante questi due decenni, la maggior parte delle edificazioni aveva una caratteristica in comune: la scultura. Sia all’esterno che all’interno c’erano sculture, monumenti, bassorilievi o altre decorazioni. Questi “sottili” segni inseriti negli edifici monumentali intendevano avere una influenza sugli abitanti delle città e dei paesi. Un ottimo esempio è il Palazzo dell’Arengario (in copertina di questo numero) e l’interno del Palazzo di Giustizia di Milano. All’entrata siamo accolti da bassorilievi di simbolismo puramente fascista. Camminando per gli enormi corridoi possiamo ammirare numerosi bassorilievi, dipinti o mosaici che si riferiscono al tema della giustizia e che fanno sembrare che il diritto e il fascismo siano una cosa sola, reciprocamente complementari. Era un messaggio molto chiaro, che enfatizzava il nuovo ordine dell’Italia fascista.
foto: Michał Łukasik
traduzione it: Judyta Czekajewska
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