Il profumo di gelsomino, il gusto di vino passito e la neve rossa

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Non esiste uno scrittore più bravo di Jarosław Mikołajewski a descrivere i paesaggi italiani.  Un poeta che racconta la Sicilia come nessun altro, senza cadere nei miti o in realtà artefatte. Ecco un uomo che, come Ryszard Kapuściński, non fa domande, ma ascolta da oltre 30 anni le voci della Sicilia, piena di uva, arance e gelsomino, che si mischiano con il profumo di una zuppa di pesce. Un’isola dove si mangiano spaghetti con uova di tonno sotto sale o con cozze. Un’isola al gusto di biscotti “le tette di Sant’Agata” e raffiche di scirocco, e con la neve che d’inverno sull’Etna diventa gialla e rossa.

Il grande edonista italiano Federico Fellini diceva che ”i sogni sono l’unica realtà”. Com’è oggi questo sogno “reale” siciliano?

È un sogno in cui emerge una sensazione di marginalità e provincialismo, intriso di perdita di lavoro e mancanza di contatto con le istituzioni e di frustrazioni provocate da tutto ciò. È un sogno sul rifi uto verso il mondo e la modernità che in Sicilia non è arrivata. È una storia sull’impoverimento di una parte di mondo completamente diversa da quella dei romanzi bestseller di Andrea Camilleri sul commissario Montalbano, che i siciliani considerano folclore. Il sogno di un siciliano è un sogno erotico, pieno di fantasie e desideri, un po’ come quello di Fellini. Ma a volte un incubo si insinua in questo sogno sotto forma di complessi e una sensazione di fallimento agli occhi della propria famiglia. Nel mio racconto sulla Sicilia c’è un sogno di un archeologo che ha una grande cultura e un territorio da esplorare al suo fi anco, ma questa zona non interessa a nessuno e visto che lui è disoccupato, per non impazzire, va in questo posto e conduce le ricerche gratuitamente.

Stai parlando della modernità che in Sicilia non c’è, mentre nel Nord d’Italia la modernità ha sommerso la memoria. In effetti c’è un’amnesia collettiva verso il passato. Quando ad alcuni adolescenti milanesi è stato chiesto di Fellini in occasione del centenario della sua nascita, molti non sapevano che cosa rispondere.

”L’amnesia” è purtroppo una malattia comune, non solo degli italiani. Lo vedo, ad esempio, agli incontri di poesia in Polonia, quando i nuovi giovani poeti mostrano di non conoscere i loro predecessori. Pensano di aver sfondato la porta, ma purtroppo la porta è sempre aperta. Ai miei tempi Julian Przyboś era una figura importantissima, e ora non lo legge e non lo conosce nessuno. Przyboś non esiste. Come Asnyk, neanche lui esiste. Bisogna accettare che le persone interessate al passato siano un piccolo gruppo. Esiste, ovviamente, un gruppo del genere in Sicilia, ad esempio chi torna ai testi ottocenteschi di Giovanni Verga o alle opere di Franco Battiato, artista che mescola tutti i generi musicali, cantando in arabo e riferendosi al mito comune su cui si fonda questa regione. A sua volta Biagio Guerrera ha creato un meraviglioso gruppo israelo-palestinese, cantando canzoni in siciliano. In Sicilia c’è ancora bisogno di coltivare questa memoria, forse anche perché si rendono conto di non poter competere con il Nord d’Italia. Milano mette le carte in tavola nella musica o nei premi letterari e impone attraverso i mass media i gusti a gran parte del pubblico italiano. Ecco perché i siciliani hanno deciso di prendersi cura di sé stessi il più possibile e di tralasciare la modernità.

Matteo Collura, con cui parli nell’ultimo libro “Neve rossa sull’Etna”, è scappato in questa utopica modernità milanese, ma viene dalla Sicilia e dice che vuol tornarci nonostante i problemi contemporanei.

Il mio quadro del siciliano si divide in due, il primo estremamente elegante, che puoi incontrare sulla piazza vicino alla Cattedrale di Sant’Agata che finge di essere un uomo del Nord. Sono spesso membri delle forze dell’ordine che cercano dignità e serietà nel loro modo di muoversi. È un’immagine falsa. La seconda figura di siciliano è un uomo semplice, non ben rasato che porta una camicia con un colletto mezzo nascosto sotto un maglione, con un sorriso stampato e pantaloni logori. Un uomo che non finge niente. Ricordo quando Paweł ed io fummo invitati al Teatro Bellini, tutti gli spettatori erano elegantissimi per il più grande gala della stagione, invece io e Paweł e il citato Biagio Guerrera, ci vestimmo come se fossimo appena usciti dal lavoro. Ovviamente puliti, ma semplici. Biagio mostra con il suo abbigliamento di avere rispetto per il luogo, ma allo stesso tempo non si arrende alle regole del Nord che impone questi valori estetici. Era lo scontro tra la modernità e il mondo delle vecchie regole che ancora vogliono mantenere in Sicilia.

Alcuni pensano alla Sicilia come un luogo pericoloso, come emerge dai citati romanzi di Camilleri o dai film di Coppola. Tu e Paweł Smoleński nel vostro libro raccontate com’è davvero.

Tutto oscilla sull’orlo della verità e della finzione. La Sicilia è stata creata dagli altri, ma anche da loro stessi. Così avvenne alla fine degli anni Cinquanta, quando ottenne grande popolarità il romanzo il “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa grazie al successo del film di Luchino Visconti. Il modello del siciliano creato dall’attore americano Burt Lancaster piacque moltissimo ai siciliani. Si tratta di un personaggio con atteggiamento libertino, elegante che flirta con altre donne e allo stesso tempo ironizza sulla moglie che si fa il segno della croce prima di ogni rapporto sessuale, ma d’altra parte, anche lui appartiene alle vecchie regole e non è del tutto in sintonia con i cambiamenti in atto nel mondo. Ho l’impressione che questo sia un posto dove cerchi costantemente un padre che abbia alcune verità di vita da dirti, non quelle create. Il bisogno di ascoltare i consigli è più forte qui in Sicilia che nel Nord d’Italia o anche nell’Europa occidentale, dove non si ascolta e si sa tutto meglio. I siciliani apprezzano la misteriosità, così come il silenzio e l’onestà.

In uno dei reportage parli del quartiere San Berillo con i gangster di colore e i trans. È un posto che sembra uscire dai film di Almodovar o di Fellini, ma con toni più grigi!

È un luogo di cui non si sa molto, non è certo una meta turistica e forse sarebbe meglio se non esistesse proprio. San Berillo si trova a duecento metri dalla Cattedrale di Sant’Agata a Catania, quindi proprio nel centro della città. È lo stesso posto dove, all’inizio del secolo scorso, nacque la famosa cantante Goliarda Sapienza. Ci sono stato più volte a San Berillo, spesso solo per mangiare nella misteriosa mensa locale dove di solito vengono serviti due piatti diversi, di pesce oppure di verdure, da nigeriani o somali. Questo quartiere è terrificante. Il Governo in collaborazione coi Carabinieri ha deciso di sbarrare l’accesso a tutte le case per evitare l’occupazione abusiva nel quartiere. Quindi sono strade costellate di case abbandonate con le finestre e le porte murate. Nonostante ciò hanno trovato un altro modo per entrarci, ossia attraverso le finestre del primo piano con una scala, allestendo bordelli per i trans con seni imbottiti di silicone di dimensioni pazzesche e altri tipi di personaggi borderline che Catania ha cacciato via dalle strade. Alcune di queste persone hanno portato con sé povertà e malattie come l’AIDS. Al margine di questo luogo troviamo la chiesa dove abita il prete Pippo che arrivò in parrocchia del SS. Crocifisso della Buona Morte mezzo secolo fa, cioè nel momento in cui venne presa la decisione di cambiare Catania. Il grande padre Pippo ha anticipato Papa Francesco mettendo i banchi della chiesa a forma di cerchio in modo che fossero tutti uno accanto all’altro, non lontano dall’altare. Qui tutti vengono a confessarsi: prostitute, travestiti e omosessuali. Sarebbe bello importare questo clima di apertura anche in Polonia.

Era ovvio quindi che un luogo come la Sicilia, aperto a tutti, fosse meta anche per i rifugiati?

Jarosław Mikołajewski, fot. Maria Mikołajewska

Non è così, la comunità di Lampedusa non ha improvvisamente deciso di aprire le porte del paradiso. Lampedusa è una piccola isola della Sicilia ed è il punto d’Italia e d’Europa più vicino all’Africa. Quindi non è l’ospitalità degli abitanti che attira i rifugiati a Lampedusa, ma è per loro l’unica scelta geograficamente possibile. Il problema è che l’isola è completamente impreparata all’arrivo dei migranti ed è per questo che non sempre vengono trattati con apertura. Bisogna dire che molti lampedusani ed anche siciliani sono stati per generazioni dei pescatori. Poi la trasformazione economica ha portato molti ad investire per creare un paradiso per i turisti. Se quindi all’improvviso comincia a girare voce che davanti le coste di Lampedusa naufragano e muoiono migranti, questo distrugge l’attrattività turistica del luogo. Lampedusa è una porta sull’Europa dove arrivano barche con i rifugiati dalla Nigeria, dalla Siria o dalla Somalia, schiantandosi con la realtà che non è il paradiso sognato ovvero Germania, Francia o Svezia, paesi dove vogliono iniziare una nuova vita, qui invece c’è solo mare e il pensiero di un altro viaggio pericoloso verso una diversa meta. A Lampedusa solo un sacerdote e un medico possono dare il buon esempio a chi vuole accogliere i migranti. Queste sono persone che arrivano in Europa non hanno problemi di salute ma qualcosa di molto peggio, ovvero la vergogna. La vergogna che deriva dal trauma di stupri verso donne, bambini, uomini.

Sbarcano su un’isola senza alberi, ma con tartarughe e conigli. Un’isola su cui sono già passati oltre un milione di profughi in fuga dalla loro misera vita. Cosa hanno imparato i siciliani dopo il disastro del 3 ottobre 2013, quando 366 persone sono annegate al largo delle Isole Pelagie?

Ci sono traumi che lasciano un marchio indelebile. Innumerevoli bare, di legno scuro per gli adulti e di legno chiaro per i bambini. Cosa ha insegnato questa esperienza? Penso che ci ha fatto smettere di parlare con disprezzo dei nuovi arrivati. La parola “pietà” è molto importante nella lingua italiana, un concetto che noi polacchi non capiremo mai. È la misericordia, l’ospitalità e ogni bella esperienza con il prossimo. Se qualcuno viene guardato “con pietà” significa compassione. Hanno visto le vittime, arabi e persone di colore, e di certo non li hanno puniti, ma invece gli hanno asciugato le lacrime e gli hanno stretto la mano. Questa è l’essenza del cristianesimo.

E perché l’Europa non coglie questa lezione di umanesimo e cristianesimo? Dopotutto, stiamo assistendo a grandi cambiamenti nel Vecchio Continente e forse non ha senso chiedersi cosa fare ora, ma bisogna accettare i cambiamenti come un corso naturale delle cose.

L’autrice del murale è Diala Brisly

Questa è una domanda molto importante. Una domanda riguardante le nostre teste girate, i nostri occhi che si voltano dall’altra parte, una domanda che non si riferisce ad un problema, ma ad una situazione che sta accadendo e non può essere fermata. Quando alcuni anni fa ho parlato con il dottor Bartolo del nostro cattivo atteggiamento nei confronti degli immigrati, mi ha spiegato tutto ed era convinto che se lo avessi trasmesso agli altri, avrebbero capito. Ho scritto il libro “Wielki przypływ” (La grande marea), che ho mandato in regalo a Donald Tusk, il libro gli è stato consegnato dalla sua segretaria privata. Non c’è stata alcuna reazione. Poi ho pubblicato un articolo, che era una richiesta d’aiuto, sulle sepolture a Mussomeli, dove non c’era nemmeno terra sufficiente per accogliere tutte le tombe. Solo il sacerdote Lemański si è espresso. L’intera Chiesa e i politici sono rimasti in silenzio. Il dottor Bartolo crede che sappia ancora troppo poco, o in realtà nulla. Inoltre sono stupito da alcuni politici che si dicono indecisi se accettare solo i cristiani o anche i musulmani. Sono convinto che sia più facile per le persone non entrare nella sfera emozionale. Professiamo la fede ma non crediamo veramente, facciamo un atto di affidamento senza esserne realmente parte, non siamo nemmeno in grado di parlare dell’atto sessuale in termini di rapporto, ne parliamo solo in termini di fare sesso. Si fa la coltivazione della terra, non il sesso. Dovremmo innanzitutto introdurre cambiamenti nel nostro modo di parlare e poi nelle nostre azioni.

Perché abbiamo scambiato questo umanesimo per un’apparente libertà?

La regista italiana Liliana Cavani mi ha detto che negli ultimi anni non abbiamo prodotto nulla di prezioso per noi stessi. Leggeva costantemente sui giornali quanto la Polonia fosse un paese ricco che sa affrontare le sfide. Ma cosa ci facciamo con questi soldi? Dopotutto, la gioia di fare soldi è condividerli con persone che stanno peggio. Ci siamo completamente dimenticati che il gusto della libertà non è solo prendere ma anche dare.

Ma il problema della carenza di umanesimo non è solo in Polonia. Ho l’impressione che tutta l’Europa abbia perso i suoi valori e l’unica soluzione è quella di cui ha parlato il regista Krystian Lupa durante la sua ultima performance. Dobbiamo tornare all’inizio, alla grotta per imparare a usare di nuovo gli strumenti della vita.

Ne ho parlato nel mio libro “Terremoto”, ossia del fatto che il cristianesimo dovrebbe essere “ribattezzato”. Sfortunatamente penso che sia necessaria una tragedia. L’Europa per capire e cambiare ha bisogno di una tragedia di una gravità pari a quella successa a Lampedusa, dove non bastava la terra per seppellire i corpi.

Tutti i tuoi libri parlano della Sicilia che profuma di gelsomino e di zuppa di pesce. Ma che impressione ti ha fatto questa terra durante il tuo primo viaggio nel 1986?

Non direi di esservi affogato ma piuttosto mi sono sciolto nell’isola. Ho sempre avuto bisogno di esplorare il mondo attraverso i miei sensi. Ne parlano le mie poesie e il mio libro su Zuzanna Ginczanka. Conoscere con il tatto toccando i piedi, le scarpe, entrando nella vasca da bagno. Non so perchè, ma ne ho un disperato bisogno. Il mio primo approccio con la Sicilia è stato durante una visita guidata, una gita che non ha colto il mio interesse, sentivo che da qualche parte c’erano strade e luoghi dimenticati dal turismo e molto più interessanti di quelle mostratemi. Fu allora che sentì per la prima volta questa meravigliosa caratteristica siciliana, a volte invadente, ovvero l’ospitalità. Voglio dire, vuoi andare da qualche parte? ti ci portiamo! vuoi vedere qualcosa? te lo mostriamo! Quindi con il tempo ho capito le parole di Ryszard Kapuściński, che mi aveva confessato che non avrebbe mai portato sua moglie in un viaggio del genere, perché sapeva che avrebbe passato tutto il tempo a porgerle il cappotto. Io volevo riscoprire la Sicilia metaforica. Siamo abituati al fatto che se chiamiamo qualcosa una metafora, dobbiamo prima sapere cos’è una metafora, ma la Sicilia è diversa perché composta da tante metafore e non è detto che tutte si capiscano. Il primo approccio che ho avuto con la Sicilia è stato toccando il frutto maturo dei limoni, delle arance e annusando i fiori di gelsomino. E in più tutto questo era inondato di sole. Ho scattato molte foto e le ho inviate ai miei genitori.

Che cosa ti ha fatto rimanere in Sicilia?

In Sicilia c’è una sorta di sfacciataggine se si parla di sensi. Non sono un fan del prendere sole sulla spiaggia, mi affascina piuttosto lo stare al sole e percepire lo scontro tra il calore esterno e la freschezza interna del vino appena bevuto. Ricordo ancora il gusto del primo sorso di vino siciliano, il Regaleali e poi il Corvo Duca di Salaparuta che innaffiavano cene a base di aragosta che non sapevo mangiare. Allora ero un ragazzino tra vecchi siciliani che mi portavano a queste feste. Emozioni incorniciate da forti raffiche di vento e neve rossa con secrezioni vulcaniche e polvere dall’Africa. So sempre che in questa terra incontrerò un amico che magari mi legge ad alta voce le poesie, perché amo la lingua siciliana. Non ne ho la prova, ma mi sembra che Mickiewicz si sia innamorato della Crimea, non per la natura, ma per la parola ”czatyrdah”. Quindi ad attrarmi sono la lingua, il vino, il sole e il bene che si può trovare in Sicilia. Questo è il mio mondo.

Quando sei in Sicilia che sogni fai?

Vi parlerò di uno dei primi sogni che ho avuto, era l’anno 1986. È stato dopo i primi giorni in cui avevo visitato alcune città, strade, piazze e luoghi della Sicilia. Stavo camminando in questo paesaggio soleggiato e ho visto cicogne ovunque, sulle case, sui marciapiedi e quelle che fluttuavano nel cielo. Quindi di nuovo una metafora, ma questo è meno importante.

traduzione it: Natalia Kogut, Agata Pachucy