Gli antichi romani l’aceto se lo bevevano. La posca, ovvero aceto diluito in acqua, era la bevanda più popolare di tutto l’impero, apprezzata da ogni classe sociale, anche se andava maggiormente tra il popolo e i legionari. In quest’ottica si deve reinterpretare il passaggio del Vangelo in cui il legionario inumidisce le labbra di Cristo sulla croce con una spugna imbevuta di aceto. Nella visione paganofobica tramandataci dal cristianesimo delle origini, viene visto come un gesto di disprezzo, come un’ulteriore tortura infl itta a un Cristo che già era stato crocifi sso e pure ferito al costato da una lancia. Invece si trattava di un atto di pietà: il legionario dà da bere a Gesù morente quel che egli stesso beve e cerca in questo modo di alleviargli le pene degli ultimi attimi di vita.
Tra le tante cose che ci hanno tramandato i cuochi italiani del rinascimento c’è pure l’insalata sott’aceto: la giardiniera. I sottaceti che all’inizio costituivano una prcomparso a Modena l’aceto balsamico come lo intendiamo noi. Sicuramente tardi: la prima testimonianza certa è del 1862 quando il notaio modenese Francesco Aggazzotti pubblica una ricetta dove parla delibatezza da banchetti principeschi, in seguito avanzano o regrediscono nelle classifi che dei cibi da buongustai, secondo le mode.
Non abbiamo idea di quando sia i mosto di vino bollito, componente fondamentale per ottenere l’aceto balsamico. La procedura è piuttosto lunga e complicata, il mosto viene cotto e invecchiato in batterie di botticelle, viene passato da una botte più grande a una più piccola fino a che da una quantità iniziale di una quarantina di litri, ne rimarranno soltanto un paio. Le botticelle, sono di legni diversi: morbidi e porosi all’inizio (per esempio castagno), duri alla fine (come rovere o gelso), ogni produttore sceglie e legni che più gli aggradano e questo è uno dei motivi per cui alla fine nessun balsamico è uguale a un altro.
Invece è sicuro che a Modena si siano messi a pasticciare con gli aceti da molto prima: le testimonianze più vecchie risalgono al medioevo. Nel 1288 gli Este, signori di Ferrara, lo diventano anche di Modena e Reggio Emilia. Sappiamo che esistevano acetaie ducali, e sappiamo che i rincalzi delle batterie di botticelle venivano fatti con vini di Cipro, di Spagna o trebbiano locale. Gli inventari però non parlano né di mosto cotto, né di legna per cuocerlo e quindi possiamo presumere che l’aceto aromatizzato di fine XIII secolo fosse piuttosto diverso dal balsamico di cui con ogni probabilità è il progenitore.
Cristoforo Messisbugo, che era cuoco proprio degli Este, nel suo Libro Novo del 1564, si occupa di aceti e spiega come ottenere il sapore agrodolce, tipico del balsamico, mescolando mosto cotto, aceto forte, agresto e limone. Ricetta, questa, che presenta alcuni elementi comuni col balsamico odierno (mosto cotto e aceto), assieme ad altri che non si utilizzano, come il limone e l’agresto, ovvero un succo asprigno ricavato dall’uva acerba.
Intanto, il 29 gennaio 1598 gli Este sono costretti da papa Clemente VIII a lasciare Ferrara – che passa così allo stato pontificio – e a trasferirsi nel «castello militare di Modena» dove il duca Cesare «porta con sé tutto il suo acetaio, cioè barili e vasellame contenenti un aceto assai vecchio». Siamo quindi giunti al momento in cui nella torre della reggia di Modena (oggi sede dell’Accademia Militare dell’Esercito italiano) si installano le acetaie che saranno smantellate due secoli dopo da Napoleone Bonaparte.
Un libro uscito verso fine Settecento fa un passettino in avanti, occupandosi di «aceto alla modenese». Si tratta dell’opera di un agronomo ungherese, Ludwig Mitterpacher von Mittenburg. Il libro viene tradotto in italiano nel 1794, con l’aggiunta di alcune note dove l’autore scrive: «È famoso anche l’aceto alla modenese, che si fa nel modo seguente. Bollito che sia per tre giorni in un tino il mosto d’uva bianca». Ecco una traccia concreta prima della testimonianza dell’Aggazzotti.
Noi oggi distinguiamo tra aceto balsamico tradizionale e aceto balsamico semplice. Il primo è ottenuto con il solo mosto cotto, il secondo si ricava mescolando mosto cotto e aceto.
Per sgomberare il campo dagli equivoci, il balsamico tradizionale è quello di cui abbiamo parlato finora: denso come uno sciroppo, invecchiato per un sacco di anni, profumatissimo e, com’è facilmente intuibile, molto costoso. Ogni anno la botticella più piccola fornisce alcuni litri di prodotto, viene di nuovo riempita travasando dalla successiva e di rabbocco in rabbocco si giunge alla botticella più grande, nella quale viene aggiunto mosto cotto. L’insieme delle botticelle costituisce la cosiddetta batteria, formata da almeno tre botti. In genere ogni botticella è del 20-30per cento più piccola di quella che la precede, l’aceto evapora, e si concentra, a causa del calore che d’estate infuoca i sottotetti dove le botticelle vengono tenute. Ma anche il gelo dell’inverno è altrettanto necessario per ottenere una buona riuscita finale.
Fino a metà anni Ottanta del Novecento, il balsamico circolava soltanto a Modena, come una prelibatezza gelosamente custodita nei sottotetti delle abitazioni di famiglia. Quando si decide di commercializzarlo, ci si rende contro delle enormi potenzialità del prodotto. Oggi i soci del Consorzio del balsamico tradizionale di Modena e Reggio Emilia lo vendono in bottigliette da 100 ml in due versioni: invecchiato 12 e 25 anni. L’ampolla, progettata nel 1987 dal designer Giorgetto Giugiaro, è uguale per tutti i produttori. Si è detto che il contenuto è prezioso: lo si utilizza a gocce, e qualche lacrima lasciata cadere sul parmigiano reggiano costituisce un’accoppiata emiliana di tutto rispetto.
Quello che invece troviamo normalmente nei negozi di alimentari e nei supermercati è l’aceto balsamico di Modena, senza l’aggettivo “tradizionale”. Deriva dal suo genitore più illustre, è ugualmente tutelato e garantito da un Consorzio, ma è un prodotto più semplice e meno costoso perché non deve sottostare a tutta la trafi la di invecchiamento e travasi del tradizionale. Ovviamente costa molto meno e ha anche un uso diverso, per esempio il balsamico si utilizza per condire l’insalata, mentre il tradizionale, come detto, si centellina come un nettare sublime, magari per impreziosire le fragole o il gelato.