Lo studio delle espressioni idiomatiche rientra all’interno di quell’interessante fi lone di ricerca, appartenente alla Linguistica contrastiva, con cui ho avuto l’opportunità di entrare in contatto durante i miei anni di studio presso l’Università di Bologna.
Spesso considerate come anomalie linguistiche e di conseguenza poco analizzate dagli studiosi, le unità fraseologiche hanno assistito a una vera e propria rivincita personale nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso grazie a una nuova corrente di studi chiamata Construction Grammar. Secondo gli esperti di tale branca, le unità fraseologiche sarebbero infatti unità fondamentali di una lingua, capaci di tradurre non soltanto il parlare, ma anche il pensare di un popolo: queste espressioni risultano essere di conseguenza molto importanti all’interno della didattica di una lingua e per questo devono essere rianalizzate e riorganizzate.
Chiunque studi una lingua straniera arriva a un determinato momento del proprio corso di formazione a doversi scontrare con quel muro – che a prima vista sembra essere insormontabile – costituito dalla fraseologia. Molto spesso gli studenti si sentono dire dai docenti “un polacco non parlerebbe in questo modo” oppure “il tuo livello di italiano è buono, ma si sente che sei straniero” e questi commenti, che possono frenare lo slancio degli studenti, sono spesso legati alla diffi coltà di apprendimento di quelle strutture tipiche dei parlanti nativi. Nei miei anni universitari ho molte volte sentito necessaria l’esistenza di un dizionario fraseologico in grado di aiutare anche i miei colleghi tanto nella comprensione e nello studio di tali espressioni, quanto nella pratica in fase di traduzione. Pensate che in Italia è abbastanza diffi cile trovare un dizionario italiano-polacco completo in tutte le sue parti e quindi gli studenti sono costretti a utilizzare dizionari compatti oppure dizionari monolingue online, i quali richiedono tuttavia una buona padronanza linguistica e sono quindi difficili da usare. Lo scopo della mia tesi di laurea era dunque quello di creare qualcosa di utile per gli altri e non una semplice opera destinata a morire su qualche scaffale impolverato; volevo creare qualcosa che non solo aiutasse i miei colleghi e i futuri studenti di polonistica, ma che spingesse anche altri ad affrontare questo tema e ad ampliare questo lavoro.
In ambito fraseografico – ovvero in quella branca di studi che si dedica alla ricerca e alla creazione dei dizionari – le unità fraseologiche presentano tuttavia numerose problematiche. Poiché lingua e cultura procedono di pari passo e ogni giorno nascono e muoiono diversi modi di dire, risulta estremamente difficile decidere che cosa presentare ai fruitori di un dizionario e cosa no: nulla esclude che un’espressione scelta possa diventare fuorimoda con il semplice passaggio di una generazione. Se enunciati come POL “dostać łabędzia” oppure ITA “prendere un granchio” sono infatti conosciuti da una determinata fascia della popolazione, gli stessi possono invece risultare strani o addirittura sconosciuti a una fascia più giovane.
Un altro problema riguarda il ritrovamento di fonti citazionali – in generale di tipo letterario – che avvalorino l’esistenza dell’unità fraseologica presa in esame. Molto spesso risulta difficile trovare fonti concrete non soltanto che certifichino l’esistenza di un determinato enunciato, ma che siano allo stesso tempo in grado di chiarirne il corretto utilizzo al lettore: i fraseologismi sono infatti usati in letteratura secondo un accurato gioco di richiami nel testo e quindi estrapolarli dal loro contesto non è la scelta migliore. Compito del curatore del dizionario è quindi quello di farsi garante dell’esistenza di un bagaglio linguistico-culturale di notevoli dimensioni.
Infine, bisogna considerare il fattore della frequenza d’uso: due espressioni a prima vista equivalenti tra loro possono non essere conosciute o utilizzate allo stesso modo in due sistemi culturali diversi. Propongo al lettore il seguente proverbio polacco “na świętego Ludwika koń na grudzie utyka” che può trovare una corrispondenza nel modo di dire italiano “i giorni della merla”, poiché entrambi si riferiscono all’inizio del periodo più freddo dell’inverno, solitamente a cavallo tra il mese di gennaio e quello di febbraio. Sebbene il modo di dire italiano sia usato correntemente da tutti i parlanti italofoni, che conoscono la favola della merla e il significato di tale espressione, il proverbio polacco non è usato con la stessa frequenza e molti non sono nemmeno a conoscenza del suo significato.
Un aspetto interessante del mio lavoro è stato quello inerente all’uso appellativo dei nomi di animali per richiamare l’attenzione degli interlocutori in situazioni di dialogo diretto, reale o fittizio e per esprimere le proprie emozioni tanto positivamente quanto più spesso negativamente. Questo argomento di ricerca si basa su quella che il teorico Zdzisław Kempf definì “zezwierzęcenie”, ovvero animalizzazione della lingua: un argomento così tipico del linguaggio umano, seppur difficile da fissare su carta a causa della creatività con cui anche singoli gruppi di individui possono creare collegamenti semantici, è spesso escluso dalla didattica a causa della sua forte connotazione volgare. All’interno della didattica sono infatti presenti ancora molti tabù linguistici che non permettono una piena conoscenza della lingua straniera tanto formale quanto colloquiale, con il risultato che spesso ci si ritrova immersi in una realtà abbastanza diversa da quella studiata e si ha difficoltà a capire la lingua parlata tutti i giorni per la strada. Un esempio interessante può essere fornito dal termine italiano “canarino”, che nel gergo della prigione indica colui che fa la spia e che passa informazioni ai sorveglianti sperando in una riduzione della pena (curiosamente, in italiano “cantare” è anche sinonimo di “fare la spia”). A Varsavia il termine “kanar” viene utilizzato per indicare il controllore dei biglietti sui mezzi pubblici: negli anni della PRL veniva utilizzata una divisa con una linea gialla che ricordava appunto il colore del piumaggio dell’animale. Sull’uso appellativo tanti altri sarebbero gli esempi interessanti da trattare!
Il risultato finale del mio lavoro contiene un grandissimo numero di unità fraseologiche a tema animale, l’esistenza delle quali si è rivelata essere una sorpresa anche per me. Certo, il lavoro presenta alcune mancanze, eppure si spera di aver costruito i primi gradini di quella scala in grado di aiutare a superare il muro della fraseologia linguistica: una volta in cima, vi assicuro, godrete di una vista mozzafiato: linguisticamente parlando.