Firenze è una donna. Nobile, inconquistabile, fiera. Non ti guarda mai negli occhi e quando già pensi di averla vista tutta o di aver stretto amicizia, cambia volto e non la riconosci più.
Avvolta nella nebbia salgo sulla torre. Un vento freddo soffia dalle finestre, al centro della stanza c’è un letto. Sono cose che esistono solo qui, solo Firenze ti fa dormire in una torre. In cima ad una torre, per essere precisi. Dalle quattro finestre vedo balconi e merli, mura e altre torri. Dalla strada sento il rumore delle ruote di un carrello sul marciapiede. Accendo il riscaldamento, sperando in una notte non troppo fredda.
L’inverno è la stagione migliore per incontrare per strada qualche fiorentino e per sperimentare il silenzio. Con meno persone in giro si sorride più facilmente, ci si saluta più volentieri, si scambiano due chiacchiere. Sono venuta per vedere le opere di Giotto, scrutando la città in cerca di dettagli, prospettive, affreschi e progetti. Mi sorprende ancora quanto sono caratteristiche le pennellate degli artisti, quanto facilmente riconoscibili!
La mia prima tappa è il maestoso Campanile, di un’eleganza tale che sembra essere dipinto sul cielo in questa stagione più grigio che mai, con colori così amati da Giotto, i suoi rosa e verde fiabeschi, quasi attaccato alla facciata di Santa Maria del Fiore. Salgo in cima alla cupola del Duomo, pur impaurita dall’essere così in alto, per vedere la torre da vicino, per ammirarne le sfumature. Firenze toglie il fiato, ruba il cuore e incanta l’anima.
Poi mi fermo a Santa Maria Novella, che paradossalmente si trova a due passi dalla stazione, ma allo stesso tempo è una delle chiese più belle e più tranquille. Giotto c’è anche qui, nel suo crocifisso dorato quasi sospeso nell’aria, accompagnato da affreschi, dalla magnifica geometria dell’architettura e dal silenzio.
Passo anche un pomeriggio intero nella Galleria degli Uffizi, dove l’arte non ha né inizio né fine ma crea una dimensione tutta sua. È un posto che intimidisce, se penso al valore delle opere che ci sono dentro. Ma è anche un rifugio per gli occhi, una dose di bellezza indispensabile per tornare alla quotidianità.
Trovo Giotto anche a Santa Croce. Nella mattinata tranquilla e piovosa arrivo alla piazza dove c’è il mercatino di Natale e mi avvicino alla chiesa. È qui dove riposano i grandi. Mi fermo davanti ai monumenti di Galileo, Dante e Michelangelo e ho la sensazione di venir a trovare degli amici. Per così tanto tempo mi avevano accompagnata negli studi, per così tanto avevo cercato di scoprire qualche loro segreto. La navata della chiesa mi porta alle cappelle delle famiglie Peruzzi e Bardi, affrescate da Giotto, padre della pittura moderna. Proseguo verso il chiostro e verso la cappella dei Pazzi, la più pura delle espressioni artistiche dell’architettura: è qui dov’è nato il Rinascimento!
Il freddo mi fa entrare più volte nei bar e nelle trattorie, mi fa girare tra le specialità del Mercato Centrale, mi fa assaggiare cose che non avrei mai mangiato. Mi fa gustare la ribollita, una ricchissima zuppa piena di fagioli, verdure e pane. Per la prima volta ho coraggio di assaggiare una delle specialità fiorentine, il lampredotto. Il cosiddetto “quinto quarto” della carne (per essere metaforici) oppure il quarto stomaco della vacca (per dire alla lettera). Il lampredotto si mangia dentro un panino, con carciofi e salsa verde, ed è – lo dico da quasi vegetariana – sorprendentemente buono. E l’arte si apprezza molto meglio a stomaco pieno!
Tra le luci della stagione natalizia cammino lungo le strade fiorentine piene di botteghe e negozi che vendono pelle, cartoleria, guanti e cachemire. La città ha un’aria nobile, di lusso, di ricchezza accumulata per secoli.
Non c’è niente di più fiorentino dei bigliettini, carnet e carta da lettere che ispira a scrivere. Non c’è niente di più elegante di un mazzo di fiori accompagnato da un bigliettino d’auguri con il giglio fiorentino e di una busta con dorature e rilievo.
Non posso chiaramente limitarmi solo a Giotto. Nelle mie passeggiate incontro quasi casualmente gli affreschi di Fra Angelico nel convento domenicano di San Marco, scopro l’abitazione di Fra Girolamo Savonarola e ritorno nelle cappelle Medicee a San Lorenzo.
M’infilo tra i palazzi e attraverso un passaggio strettissimo arrivo alla piazzetta davanti alla chiesa dei Santi Apostoli. Le ceramiche bianco-celesti dei Della Robbia recuperano il colore
del cielo che tanto manca in questa stagione.
A due passi dall’Ospedale degli Innocenti il mio sguardo si ferma sulla vetrina di una farmacia. “Sede storica dal 1561” leggo sulla porta. Ma veramente esistono posti con una storia ininterrotta, una storia di quattro secoli e mezzo? Esistono e sono tutelati, ricordandoci un passato che di per sé è un valore inestimabile?
In un mondo che guarda solo verso il futuro, che corre avanti, è difficilissimo trovare spazio per la piccola storia, quella che riguarda singole famiglie e imprese.
Lascio la farmacia dietro di me ma sento che l’esperienza di questa strada fiorentina per l’ennesima volta mi ha cambiata.
Firenze nel mio cuore occupa un posto speciale tra le città italiane. Forse perché è stata una delle prime che ho conosciuto veramente, forse perché ha tracciato per me anche il percorso da fare nella vita. Sono partita da qui per cercare ispirazioni, alla scoperta della lingua, della cultura e soprattutto dell’arte. Sono passati dodici anni, e guardo Firenze con occhi diversi. Non si può scendere due volte lo stesso fiume e non si vede mai due volte la stessa città perché cambiamo noi, perché scorrono nuvole e giorni.
Per l’ultima volta quest’anno cammino con la valigia verso la stazione. E non saprei dire se sono fiocchi di neve vagabondi oppure luci di Natale che danzano per salutarmi. O forse Firenze, come tutte le donne, si è messa a piangere? Sono sicura che non lo ammetterebbe mai.