Stefano Colli-Lanzi: tecnologia e nuove professioni cambieranno il mondo del lavoro

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Stefano Colli-Lanzi CEO della multinazionale italiana Gi Group, e docente all’Università Cattolica di Milano, è stato inserito da Forbes Italia tra “i 100 imprenditori e manager italiani che stanno guidando le loro imprese con la lungimiranza dei grandi leader, soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo vivendo”. Un riconoscimento che cade in un anno in cui GI Group ha ulteriormente allargato il suo campo d’azione acquisendo una serie di aziende negli USA e in Europa tra cui anche la polacca Work Service attraverso gli advisor Baker McKenzie, Deloitte, Core.

Dottor Colli-Lanzi in questo periodo di recessione economica internazionale, causato dalla pandemia di Covid-19, il vostro Gruppo si è rafforzato. Vale il motto secondo cui è nei tempi difficili che hanno più successo le aziende solide?

Il nostro Gruppo ha obiettivi di medio e lungo termine che non sono stati messi in discussione dalle conseguenze economiche della pandemia, i cui peggiori effetti ritengo prevalentemente temporanei. Inoltre paradossalmente la crisi ha accelerato dei processi, le aziende che stavano per essere acquisite sono state spinte dalla situazione contingente a velocizzare la cessione ad altri gruppi e con questo a garantirsi un futuro migliore. In pratica i cambiamenti determinati nel mondo del lavoro dalla pandemia hanno rafforzato le opportunità nella direzione che avevamo scelto.

Stefano Colli-Lanzi

Tra le acquisizioni che avete realizzato spicca quella dell’azienda polacca quotata in borsa Work Service, con filiali in altri dieci paesi europei. Perché avete deciso di investire su questo mercato?

Riteniamo che in questa area del centro-est Europa (Polonia, Serbia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria ecc.) ci siano mercati giovani con ampia possibilità di crescita in cui vale la pena investire. Attualmente Gi Group nel suo settore è la sesta azienda in Europa per grandezza, una delle poche in grado di servire corporation globali. L’acquisizione della polacca Work Service da un lato ci fa diventare l’azienda leader in quest’area d’Europa e dall’altra consente a Work Service di rilanciarsi, salvando i posti di lavoro e ricominciando a progettare un futuro di crescita. Entrare a far parte di Gi Group dà a Work Service un valore aggiunto a livello qualitativo importante.

Siete un Gruppo concentrato, a livello globale, sull’evoluzione del mercato del lavoro e sull’educazione al valore personale e sociale del lavoro, in quest’ottica che prospettive immagina per il mercato post pandemia? È vero che sono tornati competitivi gli studi umanistici come filosofia e psicologia?

Se vogliamo parlare dell’evoluzione del lavoro nel prossimo futuro dobbiamo partire dal fatto che c’è una mostruosa potenzialità tecnologica inutilizzata. Questo farà sì che rapidamente una serie di lavori di routine a basso valore aggiunto spariranno assorbiti dall’automazione mentre, parallelamente, crescerà un mercato secondario sussidiario in cui avranno valore pratiche oggi non riconosciute come il prendersi cura degli anziani. L’intelligenza artificiale è una straordinaria risorsa di catalogazione ma non è performante a livello decisionale e quindi la persona rimane al centro del lavoro, ma dovrà essere disponibile ad aggiornarsi continuamente, l’idea che l’aver fatto una università ci garantisca poi di stare seduti per trent’anni sullo stesso posto di lavoro è assolutamente obsoleta. Lei mi chiede degli studi umanistici….sicuramente avremo sempre più bisogno di persone curiose e pronte ad imparare, meglio se hanno un back ground culturale solido. In sintesi possiamo dire che la tecnologia si compra mentre è più ricercata la persona che sappia gestirla.

Tutti parlano di smart working da casa, sarà la diffusione capillare di questa modalità di lavoro una delle principali novità?

È una delle nuove modalità lavorative ma la vera innovazione sta nel rendere il lavoro più attrattivo, interessante e appagante. In questo senso la nostra missione come GI Group è quella di porci in modo pro attivo per far incontrare domanda e offerta, non basta più presentare passivamente le possibilità di impiego ma al contrario bisogna crearne di nuove tagliate su misura sulle persone e sui bisogni da soddisfare.

Tra Green Deal e rivoluzione del mondo del lavoro stiamo entrando in una nuova epoca?

“Sì, esatto. Gli schemi di vita e lavoro tradizionali stanno saltando, abbiamo davanti tante potenzialità di nuove professioni e conseguentemente tanti punti di domanda cui rispondere. Per esempio non sono sicuro che il mercato del lavoro resterà la prima forma di distribuzione del reddito. Penso che le logiche dei redditi di cittadinanza cresceranno, come diceva Bill Gates tasseremo di più chi fa utili con l’automazione per distribuire redditi con criteri diversi dal posto di lavoro, magari premiando certe pratiche individuali. Riguardo il Green Deal, ovvero la sostenibilità, si tratta di un tema immenso che tocca i cardini della società non solo il mondo del lavoro. Al di là delle battaglie un po’ folkloristiche, seppur meritevolissime, di Greta Thunberg la questione della trasformazione in senso sostenibile della nostra vita – ovvero creare valore senza toglierlo ai paesi vicini, creare valore oggi senza consumare le potenzialità del domani – è una sfi da gigantesca con enormi valenze politico-sociali. Tanto per essere chiari gli Stati Uniti hanno costruito il loro successo creando difficoltà agli altri paesi, ecco queste logiche non possono più ripetersi né essere accettate. Noi come Gi Group puntiamo ad essere leader nel lavoro sostenibile.

Guardando all’Italia perché c’è una così evidente e radicata discrepanza tra effi cacia dell’amministrazione pubblica e capacità di essere competitivi dei privati?

L’Italia è un paese ricchissimo di potenzialità e cultura ma costantemente bloccato da problemi atavici: l’essere estremamente e profondamente diviso, in particolare tra Nord e Sud, e avere una pubblica amministrazione che non ha come obiettivo quello di generare valore. Sulla divisione è facile capire come collaborando i risultati possano essere moltiplicati, per fare un esempio noi in GI Group siamo in seimila, se non collaborassimo efficacemente non potremmo svilupparci. Riguardo all’amministrazione pubblica dobbiamo pensare che nei paesi del nord è un fattore di sviluppo e ricchezza non una palla al piede. In Italia la logica del pubblico è quella di distribuire denaro ai dipendenti, e la difesa di questo obiettivo è il fi ne ultimo di chi ci lavora, il pensare al creare valore aggiunto non è nemmeno preso in considerazione. La ricaduta di questo approccio è drammatica su tutti i settori dall’università, dove si negano risorse al Politecnico di Milano per garantire corsi inutili in altre facoltà, alla sanità, fino alle infrastrutture che sono obsolete quando non crollano causando tragedie. La pubblica amministrazione dovrebbe essere giudicata in base al valore che genera, ai bisogni che è in grado di soddisfare e non in base ai soldi che distribuisce.