La mozzarella si ottiene dal latte delle bufale, animali sconosciuti in Italia al tempo dei romani. Le prime notizie sulla presenza dei bufali in rimandano a una bolla pontifi cia del Mille, con la quale si obbliga la famiglia dei principi Caetani a non seminare alcuni fondi nelle paludi vicino Roma per riservarli a questi animali.
Di sicuro i bufali nei secoli XII e XIII popolano le zone paludose del sud Europa. Saranno tuttavia le zone paludose a sud di Roma a diventare l’area di produzione della mozzarella. Gli acquitrini si suddividevano in tre grandi aree: le paludi pontine, nel Lazio, attualmente in provincia di Latina, città creata dal nulla nel 1932 proprio in seguito alla bonifica; la piana del fiume Volturno, in provincia di Caserta, a nord di Napoli e la piana del fiume Sele, a sud di Napoli, in provincia di Salerno, che ha come principale centro abitato la cittadina di Eboli (40 mila abitanti), luogo un tempo talmente dimenticato che il fascismo ci mandava al confino gli oppositori, tra i quali Carlo Levi che riassunse la sua esperienza nel romanzo Cristo si è fermato a Eboli. Oggi in questi territori paludosi si ritrova gran parte dei bufali italiani e il 70 per cento di quelli campani. Oltre metà della produzione di mozzarella di bufala campana dop è concentrata nelle province di Caserta e Napoli, un terzo in quella di Salerno, poco più del 10 per cento nel Basso Lazio.
Non c’erano paludi al tempo dei romani, quando l’area di Literno fu scelta da Scipione l’Africano per trascorrerci gli ultimi anni della sua vita, e quando la via Appia attraversava alcune delle zone poi impaludatesi. Comunque all’indomani della caduta dell’impero romano (476 dc) a poco a poco l’agro pontino e le piane del Volturno e del Sele vengono abbandonate, trasformandosi in un infinito acquitrino malarico, e la via Appia si interrompe. Perché la strada romana sia resa dinuovo praticabile bisognerà attendere oltre un millennio e le prime bonifiche intraprese da papa Pio VI, nel 1777. L’Agro Pontino appare un inferno lugubre e inospitale già dai toponimi: Femmina morta, Caronte, Pantano d’inferno, Piscina della tomba. Ai margini di queste aree maledette, si insediano alcuni monasteri, come l’abbazia di Fossanova, dove il 7 marzo 1274 muore San Tommaso d’Aquino. È molto probabile che siano proprio i monaci a promuovere i primi allevamenti di bufali. I bufali acquisiscono anche una grande importanza dal punto di vista militare. Sono gli unici animali in grado di trascinare le artiglierie in terreni acquitrinosi e molto probabilmente ai sovrani interessano molto più per questo motivo che non perle mozzarelle.
La vita dei bufalari doveva essere grama assai. Stavano assieme agli animali all’interno cascine che in origine erano di paglia e solo più tardi sarebbero state costruite in muratura. Lì mungevano le bufale e accendevano il fuoco per far filare il latte. Dormivano in una specie di nicchia nel muro, mentre gli animali si accucciavano al suolo. Come compenso ricevevano una somma bassissima di denaro, una bottiglia di burro alla settimana, e diritto a contendere agli animali le cicorie selvatiche che venivano bollite assieme alla coda “persa casualmente” dagli animali con l’abitudine di agitarla con eccessiva vivacità durante la mungitura. Vivevano circondati dal nero: nero il fango, nera l’acqua, nero il manto dei bufali, nero l’interno delle abitazioni oscurato dal fumo. Il perfetto biancore delle mozzarelle doveva contrastare ancora di più con un ambiente del genere.
Il formaggio rimane a lungo associato alla gastronomia povera; a fargli cambiare questa immagine negativa e a nobilitarlo contribuisce in maniera determinante il fatto (assolutamente paradossale, visto che è fatto con la panna) che sia considerato cibo “di magro” e pertanto la chiesa cattolica ne consenta il consumo nei giorni di astinenza dalla carne. Verso metà Settecento, i Borbone, sovrani del regno delle Due Sicilie, fanno costruire accanto a un allevamento di bufale la Reale industria della Pagliara delle bufale di Carditello, il primo caseificio della storia della mozzarella. Con il caseificio reale comincia anche la storia della commercializzazione dei derivati del latte di bufala e la mozzarella smette finalmente di essere in prevalenza consumata all’interno dello stesso locale dove viene prodotta.
Quel che modifica decisamente il commercio della mozzarella sono le strade e le ferrovie. La svolta arriva quando il treno mette in comunicazione le zone di produzione con i grandi mercati dell’Italia: nel 1929, ogni giorno, quaranta quintali di mozzarella raggiungono i mercati di Salerno, Napoli e Roma.
La mozzarella di bufala ha un’area di produzione ben precisa, delimitata dalla dop, tra Campania, Lazio con una minuscola (meno dell’un per cento) presenza pugliese, in provincia di Foggia. Il fior di latte, ovvero la mozzarella di latte vaccino, invece, può essere prodotto ovunque, i migliori vengono dalla Puglia, dalla Calabria, dal Molise. Questo significa anche che si produce molto più fiordilatte che mozzarella di bufala, più o meno quattro volte tanto.
Una variazione sul tema è la burrata, originaria delle Murge, in Puglia. Si è cominciato a produrla agli inizi del Novecentoad Andria, ed era un modo per recuperare gli avanzi della mozzarella, mescolando assieme alla panna i residui di pasta filata, racchiudendo poi il tutto in un involucro pur’esso di pasta filata. L’idea ha avuto un enorme successo, tanto che la burrata, nonostante la sua origine relativamente recente, si è conquistata un posto di tutto rispetto.
Tra i formaggi dop italiani, la mozzarella di bufala campana è terza in termini di fatturato, dietro al grana padano e al parmigiano reggiano (e quarta per volumi, preceduta anche dal gorgonzola). Un quarto della produzione viene esportata e il primo mercato estero è costituito dagli Stati Uniti, che da soli assorbono il 28 per cento delle esportazioni totali.
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Pillole culinarie è una rubrica di approfondimento sulla storia della cucina curata dal giornalista e scrittore Alessandro Marzo Magno. Dopo essere stato per quasi un decennio il responsabile degli esteri di un settimanale nazionale, si è dedicato alla scrittura di libri di divulgazione storica. Ne ha pubblicati diciassette, uno di questi “Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo” ripercorre la storia delle più importanti specialità gastronomiche italiane