“Perché ho studiato italiano? All’epoca si sceglieva quello che piaceva di più senza pensare tanto al lavoro futuro. Poi la passione è diventata la mia professione.”
Inizia così l’intervista con la docente di italianistica all’Università di Varsavia Anna Osmólska Mętrak titolare di un interessante corso di Storia del Cinema Italiano, e presidente del concorso dedicato allo scomparso Krzysztof Mętrak. Una competizione organizzata dal 1995 che ogni anno, durante il Festival Internazionale ”Nowe Horyzonty” a Breslavia, premia giovani critici del cinema (fino ai 32 anni).
Lo studio dell’italiano in Polonia negli anni Settanta era molto diffuso?
Non particolarmente. Al liceo avevo studiato francese, mi sembrava di conoscerlo già a sufficienza e all’università volevo imparare qualcosa di nuovo. Tra le proposte c’era la facoltà di italianistica, specializzazione di romanistica, con corsi che iniziavano un anno a Varsavia e uno a Cracovia. Ho scelto l’italiano così di slancio, senza una ragione precisa, dell’Italia conoscevo già un po’ di cinema e letteratura ma non c’ero mai stata. All’epoca avevo un’amica di padre italiano, fu lei ad insegnarmi le prime parole.
La prima volta in Italia?
Nel 1979 a Siena al termine del primo anno. Di quella prima esperienza conservo ricordi meravigliosi anche perché l’Italia mi diede l’impressione d’essere un Paese generoso verso i polacchi. Ad esempio per noi studenti polacchi c’erano tante borse di studio e altre forme d’aiuto per passare un periodo in Italia. All’epoca uscire dalla Polonia era abbastanza complicato ma verso l’Italia, perfino durante la legge marziale, era più facile andare anche grazie alla disponibilità dell’Istituto Italiano di Cultura.
L’amore per il cinema quando è iniziato?
Subito! Fin dalle elementari andavo a vedere i film e leggevo riviste di cinema. All’università conoscevo già a fondo lacinematografia italiana, oltre ai grandi Visconti, Antonioni, Fellini, De Sica, anche Bertolucci, i fratelli Taviani, Scola e Pasolini tanto che quando nel 1981 il professore Bruno De Marchi dell’Università Cattolica di Milano tenne una conferenza a Varsavia io partecipai e gli feci una domanda su Pasolini. Lui rimase così colpito dalla mia preparazione che mi offrì una borsa di studio per un laboratorio dedicato a Pasolini. Così passai quattro meravigliose settimane in Friuli, sui luoghi nati del grande regista.
Pasolini un intellettuale fondamentale per la cultura italiana del Novecento, oltreché un grande regista, ma forse i suoi film in Polonia non riscuotono un successo pari a quello di altri cineasti italiani?
Dipende. È evidente che è una figura complessa e forse a volte complicata per il grande pubblico. Ma i cinefili lo adorano e anche recentemente sono state fatte rassegne incentrate sui suoi lavori. Per me è il più grande intellettuale italiano del dopoguerra.
Come si trasforma il cinema in strumento per la didattica?
Per il mio apprendimento dell’italiano, della lingua e soprattutto della cultura di questo Paese, i film sono stati fondamentali e così di conseguenza ho pensato che sarebbe stato importante introdurre il cinema come materia di didattica. Iniziai nel 1997 e fino ad oggi continuo a parlare di cinema italiano. I miei corsi sono spesso monografici su un regista o su unatematica specifica, avere un approccio generale e storico al cinema italiano richiederebbe troppo tempo. Così scelgo un filo conduttore, ad esempio i film sulla mafia, e coinvolgo gli studenti invitandoli a cercare e curiosare tra i vari registi e soprattutto li spingo ad aprirsi liberandosi da certe categorie in cui siamo soliti catalogare i film, in questo l’esempio perfetto è la commedia all’italiana, un genere unico che tratta temi seri e importanti in modo leggero muovendosi tra spensieratezza e amarezza.
La Polonia si distingue positivamente per un grande rispetto verso la cultura, sei d’accordo?
Sì e questo deriva dall’attenzione che la mia generazione aveva per ogni forma di cultura e conoscenza. Sappiamo che per tanti anni in Polonia era complicato viaggiare e avere contatti stabili con l’estero, così appena capitava l’occasione di visitare un altro Paese si apprezzava ogni cosa, si viveva l’esperienza intensamente, si voleva imparare e vedere tutto e anche respirare una libertà che ci mancava, anche se la Polonia era il Paese dell’area comunista in cui si viveva relativamente meglio. E viste queste difficoltà di spostamento cercavamo ogni espressione di cultura straniera tra film, libri e teatro. Ecco forse abbiamo passato questa sete di cultura alle nuove generazioni.
In questo scambio culturale l’Italia giocava un ruolo importante?
Francia e Italia sono state, e sono tuttora, i riferimenti culturali principali per la Polonia, insieme al mondo anglosassone ovviamente. Un rapporto reciproco perché anche durante la PRL gli artisti polacchi erano spesso a Parigi o in Italia, pensiamo a Tadeusz Kantor, Jerzy Grotowski o ai tanti registi che partecipavano ai Festival del Cinema.
È giusto dire che il cinema polacco negli ultimi anni si è rilanciato a livello internazionale, riprendendo il suo tradizionale posto, dopo una stagione mediocre vissuta negli anni Novanta?
Dalla fine degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta abbiamo vissuto una lunga stagione di cinema di qualità con i grandi maestri della scuola polacca, Wajda, Munk, Kawalerowicz, e poi con il filone del “kino moralnego niepokoju” (cinema dell’inquietudine morale), tutti film importanti che sono i classici della cinematografia polacca che ognuno vuole avere nella sua biblioteca. All’inizio degli anni Ottanta si produceva ancora bene fino ai primi tempi del movimento Solidarność. Nel periodo della trasformazione della società, della politica e dell’economia invece il cinema passa in secondo piano, ci sono altre urgenze più importanti e non ci sono neanche i soldi per girare perché si passa da una cinematografia sostenuta dal contributo pubblico ad un cinema che deve contare su fondiprivati che all’epoca non c’erano. Queste sono le ragioni del vuoto artistico riferibile agli anni della trasformazione, periodo cruciale della nostra storia che oggi meriterebbe sicuramente una attenzione maggiore da parte dei registi. Un bel film su quel periodo comunque lo posso consigliare ed è Dług di Krzysztof Krauze. La ripresa a livello artistico inizia dal 2005 quando viene istituito il Polski Instytut Sztuki Filmowej e da lì è stato un crescendo fino ai tanti riconoscimenti internazionali ottenuti negli ultimi anni dal cinema polacco.
Il pilastro didattico della cinematografi a polacca è la Scuola di Cinema (Szkoła Filmowa) di Łódź?
Sicuramente lo è stata per tanti anni e non solo a livello nazionale ma anche europeo. Oggi però è giusto ricordare che ci sono tante scuole di cinema di qualità a Varsavia, Gdynia, Katowice e poi anche la Wajda School di Varsavia, questa indirizzata più a chi è già un professionista del settore. E poi sottolineo il grande ruolo che svolgono i Festival del cinema polacchi, a partire da “MFF Nowe Horyzonty” a Wrocław che tra l’altro negli anni ha dedicato moltissime retrospettive a registi italiani come Pasolini, Antonioni, Fellini, Nanni Moretti, Pippo Delbono. E poi ancora il Festival di Varsavia, quello di Cracovia e la rassegna estiva Dwa Brzegi di Kazimierz Dolny e poi anche il festival Kino na Granicy di Cieszyn, Millenium Docs Against Gravity, il Festival del cinema polacco di Gdynia e tanti altri. Un altro elemento importantissimo per la cultura cinematografica in Polonia sono i cineclub (Dyskusyjne Kluby Filmowe) che hanno una lunga tradizone e svolgono un ruolo fondamentale per la diffusione dell’arte cinematografica soprattutto nei centri più piccoli.
Registi preferiti?
Se parliamo di quelli italiani contemporanei direi Moretti, Sorrentino e Garrone, ma anche la giovane e bravissima Alice Rohrwacher, nonché registi meno conosciuti in Polonia che possiamo presentare al pubblico polacco nell’ambito dell’annuale rassegna “Cinama Italia Oggi” organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura e l’Istituto Luce Cinecittà, come ad esempio Edoardo De Angelis. Tra i polacchi sicuramente Paweł Pawlikowski, molto apprezzato in Italia, e Jan Komasa insieme a tanti altri tra cui ovviamente Agnieszka Holland. Poi una nuova generazione, tra cui sono sempre più numerose le ragazze come Jagoda Szelc ad esempio.
Come coltivi oggi la tua passione per l’Italia?
Al di là dell’insegnamento ho molti amici in Italia ma devo dire che frequento anche tanti italiani che in questi anni hanno scelto di vivere in Polonia. Le mie città preferite restano Siena, il classico primo amore che non dimentichi mai, dove negli anni Novanta ho passato 9 mesi di fila a preparare il mio dottorato di ricerca su Antonio Tabucchi, il mio autore preferito che ho avuto anche la fortuna di conoscere. In questo caso devo molto all’amico di lunga data, il prof. Marcello Flores dell’Università di Siena. Torno volentieri anche a Roma dove sono ospite spesso nella Casa delle Traduzioni che ha biblioteca e foresteria. Perché oltre alla mia passione per il cinema, mi occupo anche delle traduzioni letterarie e qui la mia gratitudine va soprattutto alle due grandi maestre e amiche, Halina Kralowa e Joanna Ugniewska.
Insomma, tornando alla domanda iniziale di questa intervista, non sembra che tu sia pentita di esserti lanciata a studiare italiano così un po’ per caso?
Un po’ per caso, un po’ per il cinema italiano che conoscevo già, ma forse con il senno di poi fu una scelta non così azzardata e inusuale perché l’Italia ha un grande potere d’attrazione per noi polacchi. Anche se dopo il fascino inziale per la cultura e una lingua musicale si scopre che in Italia ci sono anche tanti problemi, difficoltà che sento ormai mie tanto da aver pianto ossrvando la mia “seconda patria” durante i primi tempi del Coronavirus quando nel nord Italia morivano migliaia di persone.
Studiare una nuova lingua è segno di apertura, quanto è importante per i giovani capire il valore di conoscere culture diverse?
La cultura è sinonimo di libertà, più cose conosciamo più siamo indipendenti e meno manipolabili, ed oggi in un’epoca di bombardamenti di fake news possiamo capire l’autenticità di quello che leggiamo solo se studiamo e alziamo l’asticella del nostro senso critico.
Un’ultima domanda ma un soggetto perfetto per un film, magari coprodotto tra Italia e Polonia, non potrebbe essere l’epopea del Secondo Corpo di Armata guidato da Anders?
Senz’altro! E mi viene subito in mente quando nel 2015, anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, in Italia si parlò molto dell’armata polacca grazie al toccante monologo di Roberto Saviano da Monte Cassino. Grazie a quell’intervento tanti italiani scoprirono l’apporto polacco alla liberazione del Paese. Una coproduzione polacca su questo tema sarebbe una cosa fantastica, naturalmente coinvolgendo anche i migliori attori italiani e polacchi.