L’articolo è stato pubblicato sul numero 78 della Gazzetta Italia (dicembre 2019 – gennaio 2020)
Mi è stato concesso di trascorrere a Venezia quasi un terzo dei migliori anni della mia vita. Ho vissuto più di otto anni di prime vere gioie e delusioni nel mio percorso di crescita in questa città bizzarra e unica nel suo genere. In un labirinto, fatto di mattoni e pietre, di desideri antichi ma sempre attuali, in una delle culle del genio umano che attraverso le avversità ha l’ambizione di avvicinarsi al suo Creatore.
Tanto i miei genitori mi hanno lasciato andare di casa ancora bambino, quanto la Serenissima mi ha cresciuto e reso un uomo adulto. Ha formato in me l’apprezzamento per il coraggio di farsi da sé, la perseveranza nell’inseguire il cambiamento creativo di me stesso e di quello che da me dipende. Sono cresciuto circondato da esempi di conquiste radicali, scolpite con la forza della volontà di singoli uomini: i dipinti pieni di forza espressiva del Tintoretto, all’avanguardia di centinaia di anni rispetto alla loro epoca (basti osservare la sua Ultima cena nella chiesa di San Trovaso a Dorsoduro); le prime donne al mondo che osarono apertamente non soltanto cantare le proprie composizioni, ma anche condurre le proprie assemblee musicali, come Barbara Strozzi; o l’idea stessa di un’Europa unita il cui aspetto pluralistico origina dalle democrazie sorte nelle mie due patrie e che mi hanno in effetti consentito di muovermi senza ostacoli tra l’una e l’altra e di sfruttare appieno quello che hanno da offrire.
Queste sono appena le basi della sapienza che ho ricevuto in questa città effimera, così amata dagli artisti di tutto il mondo, che l’hanno calcata alzando le loro teste alla ricerca di ciò che non è ovvio: Mozart, Brodskij, Miyazaki. Giacché la lezione principale che mi ha impartito questo bel sogno chiamato Venezia è la delusione. La delusione, così tipica dei sognatori.
E’ una sensazione che segue subito dopo il culmine della visione creativa, un attimo dopo che tutto si è fatto chiaro e perspicuo. La sensazione di alienazione legata al fatto che siamo consci di quanto sarà difficile condividere questa visione con gli altri e del
grande lavoro che dovremo compiere per distogliere l’attenzione di molti di noi dalla prosa comune della nostra vita, dal semplice calcolo di profitti e perdite nel bilancio di giorni che rapidamente sfuggono.
Un bilancio che al giorno d’oggi tende più spesso al profitto miope così tipico della fine dei tempi. Quando, invece di salvare una bella imbarcazione a vela dall’affondare, gli ufficiali riempiono le casse nelle loro scialuppe con i resti di passate conquiste, mentre il capitano già da tempo non è più a bordo. Tempi nei quali gli alberghi sono più importanti delle scuole e l’abilità di remare verso terra ferma è più apprezzata del saper navigare con l’aiuto delle stelle.
traduzione it: Massimiliano Soffiati
foto: Sebastiano Casellati