GIOVANNI ANTONIO SACCO (Vienna 3/7/1708 – Su una nave da Genova a Marsiglia 19/3/1788).
Ballerino, coreografo, il più grande Arlecchino e Truffaldino della Commedia dell’Arte, di tutti i tempi. Figlio di Gaetano Sacco, capocomico di una Compagnia di ballerini e comici veneziani e di Libera, anche lei ballerina e comica. Nasce a Vienna durante una tournée dei genitori in giro per l’Europa. Ha tre sorelle, Adriana, Anna Caterina e Francesca. Sposa Antonia Franchi, anche lei una comica e ballerina e ha subito un figlio, Giovanni e poi due figlie, Angela e Giovanna. Nel Carnevale del 1730, all’età di soli 22 anni, Antonio Sacco danza come “secondo Zanni” al Teatro della Pergola di Firenze. Il Granduca Gian Gastone de’ Medici, che è presente allo spettacolo, entusiasta della sua esibizione vocale, gestuale e mimica, lo invita a replicare, già dalla sera successiva, insieme a tutta la sua famiglia, al Teatro del Cocomero.
Oltre a lui, ormai famoso come Arlecchino nel “Servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, nel corso degli anni, lavoreranno in seno alla Compagnia di suo padre, tre Innamorate: sua madre, Libera Sacco, sua moglie detta Beatrice, Antonia Franchi e una sua sorella, Anna Caterina Sacco; una Servetta: un’altra sua sorella – detta Smeraldina – Adriana Sacco Lombardi; una Clarice: Francesca Dima; tre Innamorati: Pietro Pertici, Francesco Ermano o Hermano e Ieronimo Ferrari – detti Silvio; due Pantalone: Antonio Fioretti e André o Andrea Bertholdi o Bertoldi; un Brighella: Domenico Zanardi; un Tartaglia: Agostino Fiorilli; tre Dottori: Rodrigo Lombardi, Carlo Malucelli e Ferdinando Colombo; un Cantatore: Pietro Mira; una Cantatrice: Alessandra Stabili; un violoncellista: Gasparo Janeschi o Taneschi; ancora, i Comici: Carlo Gibelli, Giovanni Porazisi, Camillo Ganzaga, Giovanni Antonio Guerra, Giovanni Piantanida con sua moglie Costanza Piantanida, Luigi Madonis, Antonio Madonis, fino ad un certo, non meglio identificato, Kandake. Nell’aprile del 1733, sempre con la Compagnia di suo padre, alla quale è stato assicurato un compenso annuo di 12.500 rubli, giunge a San Pietroburgo, ospite presso la corte della Zarina Anna Ivanovna. Qui, nel corso d’un anno e mezzo, la compagnia porta in scena ben ventisei commedie. Nel novembre del 1734 suo padre s’ammala, per cui egli assume l’incaico di Capocomico.
Quando poi nel gennaio dell’anno successive, muore suo padre a San Pietroburgo, egli decide di lasciare la Russia. Ecco allora che, insieme ai suoi familiari e a gran parte dei membri della Compagnia, intraprende la strada del ritorno verso l’Italia. Passa per la Polonia, nazione governata da Augusto III di Sassonia e qui forse sosta per qualche tempo a Varsavia proponendo parte del repertorio rappresentato in Russia. A Varsavia fino a tre anni prima aveva operato la Compagnia del Capocomico e interprete di Coviello, Tommaso Ristori; è però ancora attivo il musicista Giovanni Alberto Ristori. In questa città, in passato, si era già esibito con grande successo, nelle vesti di Coviello, suo zio, il comico Gennaro Sacco, fratello di suo padre, direttore della Compagnia del Théàtre Italien di Parigi, finanziata da Luigi XIV e anche autore de “La commedia smascherata, ovvero i comici esaminati” del 1699.
Lasciata la Polonia, ma due artisti, Gasparo Janeschi e Francesco Ermano restano a Varsavia, giunge in Boemia e, in data 8 ottobre, sempre con i suoi famigliari e con gli stessi artisti, fa una seconda sosta a Praga per rappresentare alcune commedie nello splendido Salone del Ballo dentro il Lichtenstejnsky Palàc nel quartiere di Malá Strana. Nella primavera del 1738, Antonio Sacco, insieme a tutta la sua famiglia, compreso suo figlio Giovanni e sua sorella Francesca, divenuti entrambi attor-giovani, entra a far parte della Compagnia del Teatro San Samuele di Venezia, dove Michele Grimani è l’impresario, Giuseppe Imer il capocomico e dove autore delle commedie è Carlo Goldoni. Nel 1753 si reca a recitare a Lisbona facendo una sosta a Genova e, dietro invito dell’imperatore, nel 1764, a Innsbruck. Tonato a Venezia, riprende a lavorare principalmente come attore improvvisatore, con i Teatri, San Samuele e San Giovanni Grisostomo diretto da Onofrio Paganini e riproponendo “Arlecchino, servitore di due padroni” (*) scritta nel 1745, in veneziano, da Carlo Goldoni, opera con la quale aveva già debuttato a Venezia, nel 1746, al Teato San Grisostomo – replicate a Milano nel 1749 – e proponendo la sua più fortunata commedia, “Truffaldino Moinaro Innocente”, in cui il personaggio di Tuffaldino è una derivazione dalla maschera di Arlecchino.
Alcuni giovani componenti della sua Truppa, ormai divenuti, anch’essi, come il loro Maestro, straordinari comici, proprio i suoi allievi e familiari che sono stati i più fedeli, intanto si trovano ancora o decidono di tornare in Polonia, Stato che infatti ora – sotto il regno di Stanislao Augusto, sta accogliendo i più valenti artisti da tutta Europa – per continuare a diffondere la sua arte, quella della maschera di Arlecchino e Truffaldino, insegnando quindi la gestualità, la mimica e la pantomime, caratteristiche della Commedia dell’Arte, con il suo stesso metodo. Farà tesoro di ciò, il drammaturgo, archeologo e storico, Conte Jan Potocki, scrivendo “Parady”, un’autentica Commedia dell’Arte, scritta in francese, che andrà in scena nel Teatro di Corte, dentro il suo Castello di Łańcut, nel 1792.
Nel 1771 Antonio Sacco scrittura nella sua Compagnia come primattrice, la cantatrice e ballerina Teodora Ricci insieme a suo marito, il comico Francesco Saverio Bartoli, la cui madre Emilia Gambaciani Ricci, aveva, anch’essa, lavorato nella Compagnia Sacco al tempo che era diretta da suo padre Gaetano e dove il Conte Carlo Gozzi ora è coinvolto come autore e poeta. Con Antonio Sacco, Teodora Ricci interpreta le commedie l’”Innamorata da vero”, il suo primo fiasco, purtroppo, e “La Principessa filosofa” di Gozzi, il suo primo vero successo, invece, per cui ella, in seguito, potrà assumere ruoli dominanti ancora nel “Gustavo Wasa” di Alessio Piron e nel “Conte di Essex” di François-Thomas-Marie de Baculard d’Arnaud. Decaduta la moda delle maschere di Goldoni e di Pietro Chiari, si rifugia nelle fiabe che Carlo Gozzi compone per lui ed il pubblico veneziano lo accoglie molto favorevolmente. Nel 1774 Antonio Sacco è di nuovo in Polonia, dove tra le altre rappresentazioni, il 30 aprile partecipa con un balletto eseguito dalla sua truppa, alla messinscena de “L’Amore Artigiano” di C. Goldoni e F. L. Gassmann, opera allestita dal capocomico Józef Feliks Kurz e nel 1775 propone il balletto “Pan und Sirinx” tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, uno spettacolo con la sua coreografia, che debutta al Teatro Pubblico di Varsavia. Antonio Sacco, stipendiato dal re, insieme a Francesco Caselli, è il rappresentante di un nuovo indirizzo nell’arte del balletto. Per tredici anni ancora, con la sua Compagnia teatrale porta in giro i suoi balletti in tutta Europa.
Morirà, ottantenne, su una nave che lo sta portando, durante una tournée, da Genova a Marsiglia. Il suo corpo verrà gettato in mare, come un miserabile, o meglio senza l’erezione d’un degno e onorevole sepolcro. Altri artisti affluiranno in Polonia fintanto che regnerà il sovrano Stanislao Augusto, l’amante del Teatro, delle Scienze e delle Arti, architetti, compositori, teatranti, poeti, scienziati, anche grandi personalità, Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa, Cagliostro, Casanova, Francesco Maria Lanci, Sebastiano Ciampi; e ancora i pittori, Tommaso Dolabella, Martino Altomonte, Marcello Bacciarelli, Giovanni Battista Lampi, Giuseppe Grassi, Enrico Pilatti, Giacomo Contieri, Leonardo Gallo, Francesco Lazzarini, Tommaso Righi, Gioacchino Staggi, Giacomo Monaldi, fino a Bernardo Bellotto, detto, come suo zio Giovanni Antonio Canal, il Canaletto.