Giovanni Giorgio Biandrata (Saluzzo 1516 – Alba Iulia/Transilvania 5.5.1588). Detto anche Biandrate, Biandrà o Blandrata, medico ginecologo, teologo antitrinitario, politico. Figlio terzogenito del nobile Bernardino, Signore del Castello di San Fronte, appartiene alla potente famiglia dei Conti di Biandrata di San Giorgio. Frequenta i primi studi nella sua città natale, ma inizia i corsi superiori presso la scuola di medicina a Montpellier, in Francia, laureandosi il 15 novembre dell’anno 1533. Tornato in Italia, dopo aver ottenuto il riconoscimento del proprio dottorato dalle Università di Pavia e di Bologna, si specializza in ginecologia, pubblicando nel 1539 il manuale “Gynaeceorum ex Aristotele et Bonaciolo a Georgio Blandrata medico Subalpino noviter excerpta de fecundatione, gravitate, partu et puerperio”, ispirato agli scritti di Aristotele e di Ludovico Bonaccioli, dedicata alla regina di Polonia Bona Sforza e alla figlia di questa, Isabella Jagiełło, moglie di Giovanni I d’Ungheria, Voivoda di Transilvania e Re d’Ungheria.
Così, nel 1540 egli viene chiamato in Polonia, alla Corte di Sigismondo I e di Bona Sforza come medico personale della regina. Dopo quattro anni di esercizio a Cracovia, si trasferisce a Gyula-Fehérvár ossia ad Alba Iulia in Transilvania, regione dell’odierna Romania, dove la figlia di Bona, Isabella, vedova del Re Giovanni, sta cercando di mantenere in piedi la Corte del Principato di Transilvania, conteso tra Ferdinando I e la Turchia. Quando la Transilvania passa sotto il controllo dell’imperatore, Biandrata che, oltre ad essere medico personale di Isabella, ormai svolge mansioni diplomatiche, dopo otto anni di permanenza in quel paese, fa ritorno in Italia. Passa prima per Milano e poi si stabilisce a Mestre.
L’anno successivo, però, viene chiamato a Vienna per testimoniare in un’inchiesta. Tornato in Italia, va a Pavia, da dove, nel 1556, dopo aver abbandonato il Cattolicesimo, fugge per ritirarsi nella ormai divenuta totalmente calvinista Ginevra. Nel 1558 Alfonso Biandrata, suo fratello primogenito, si rifugia anch’egli a Ginevra con la sua famiglia. Nella capitale svizzera Giorgio vive ospite della comunità degli italiani esiliati, stimato particolarmente per la sua perizia nell’arte medica e per la piena sua adesione alla ortodossia calvinista. Prima si confronta con il Martinengo, ma poi va a scontrarsi direttamente con Calvino.
Biandrata parte per il Castello di Farges, dove risiede Matteo Gribaldi. Presto si trasferisce a Berna e poi, subito dopo, a Zurigo e a Basilea. Lascia la Svizzera e intraprende il tanto desiderato viaggio verso la Polonia dove già si sta diffondendo l’Antitrinitarismo. Nel novembre del 1558 è a Pińczów nei pressi di Cracovia. Qui vivono Lismanini, Piotr z Gonia̢dz e F. Stancaro. Calvino, allora, avverte subito tutti i suoi confratelli polacchi sui pericoli di questa sua presenza fra loro.
Biandrata, nel giugno del 1559 deve intraprendere un viaggio in Transilvania per poter assistere Isabella Jagiełło morente, ma alla fine dell’anno è di nuovo a Pińczów. Intanto la fama della sua dottrina e della sua destrezza nell’ambiente diplomatico si diffonde così rapidamente che nel maggio del 1560 Re Sigismondo, figlio della scomparsa Bona Sforza, lo nomina, insieme al Lismanini, suo rappresentante al Sinodo di Pińczów. Subito dopo, il Principe Nicola Radziwiłł lo invita a Wilnius. Inoltre, viene eletto coadiutore di Felix Cruciger, Sovrintendente della Chiesa riformata polacca. Tutto questo consenso acquisito a Cracovia e alla Corte di Radziwill – in aggiunta al fatto che in Polonia è concessa libertà religiosa a tutte le confessioni cristiane – preoccupa così tanto Calvino da indurlo ad un immediato e violento attacco.
Per cercare di porre termine alle accuse di Calvino, il Biandrata accetta di firmare una confessione di fede proposta nei sinodi di Pińczów e di Cracovia nel 1561 e nei sinodi di Xionz e di Pińczów nel 1562; e dichiara di credere «in un Dio Padre, in un Signore Gesù Cristo suo Figlio e in uno Spirito Santo, essendo, ciascuno di essi, una essenza di Dio» e dichiara, inoltre, di «detestare la pluralità degli dei, in quanto esiste un solo Dio, essenzialmente indivisibile»; e ammette, infine, tre distinte ipostasi: un Dio eterno, suo Figlio e lo Spirito Santo, tre figure sostanzialmente distinte ciascuna dalle altre due». Però, con lo scritto “Demonstratio falsitatis Petri Melii et reliquorum sophistarum per antithesis cum refutatione antitheseon veri et Turcici Christi”, subito attacca il Mélius. Ma l’opera in cui egli espone il suo preciso pensiero sarà la “De vera et falsa unius Dei,Filii et Spiritus Sancti cognitione”, divisa in due libri, scritta in collaborazione con il Dávid nel 1567 e pubblicata a Gyula-Feliérvár nel 1568.
Intanto accetta la proposta del Re di Transilvania Giovanni Sigismondo Zápolya, figlio di Jan Zápolya e di Isabella Jagiełło, di trasferirsi ad Alba Iulia in qualità di medico di corte. Ivi vi giunge nel settembre 1563. Subito viene ricoperto di onori, riceve in dono tre feudi e ottiene la nomina di Consigliere reale. In Transilvania, intanto la Regina Isabella ha concesso piena tolleranza alle tre confessioni cristiane, la cattolica, la luterana e la riformata calvinista. Ma questo non fa cessare i contrasti religiosi tra luterani e calvinisti.
Il Biandrata, allora, abbandona il Triteismo – secondo il quale le tre figure sono tutte di natura divina, anche se due sono subordinate al Padre – ed abbraccia l’Antitrinitarismo, nel quale Cristo è soltanto un uomo.
Nel 1571 la morte dell’ancor giovanissimo Giovanni Sigismondo segna una svolta nella politica della Transilvania; il successore Stefano Báthory, infatti, conferma sì la parità delle confessioni ma, da fervente cattolico, arresta la diffusione dell’Unitarismo di Biandrata e Dávid.
La successione di Stefano Báthory al trono di Polonia, poi, porta Cristoforo Báthory, cattolico più intransigente di suo fratello, alla reggenza del Voivodato di Transilvania. Purtuttavia Biandrata, riesce a conservare la sua influenza a corte, tanto che nel 1576 può, addirittura, far riconoscere il Dávid come Soprintendente degli Unitariani. Però nel 1578 i rapporti tra il Biandrata e il Dávid iniziano ad incrinarsi: il teologo transilvano, infatti, ha iniziato a criticare il dogma trinitario, negando addirittura l’adorazione per Cristo. Denunciato proprio dal Biandrata, Dávid viene condannato al carcere a vita nella fortezza di Déva, dove muore il 15 novembre dell’anno stesso.
Rimasto solo a combattere, egli decide di far adottare una confessione di fede secondo la quale Cristo deve essere onorato e adorato; è riconosciuto il battesimo e la comunione ai neonati.
Biandrata agisce con decisione per stroncare la già diffusa tendenza ‘non adorantista’. Ai seguaci del Dávid impone l’abiura e ai molti nobili che lo hanno appoggiato durante il processo, impone di pronunciare subito la sconfessione delle loro dichiarazioni a difesa di costui. In luglio, poi, riunisce un Sinodo a Kolozsvár e fa sottoscrivere a tutti una confessione in cui venga riaffermata l’adorazione di Cristo. Contro la volontà della maggioranza del sinodo, infine, fa eleggere direttamente dal re, Demetrio Hunyadi nuovo Soprintendente. Successivamente, con una lettera all’unitariano ‘non adorantista’ Jacopo Paleologo, scritta il 10 gennaio 1580, Biandrata giustifica il suo comportamento passato che ha portato alla condanna del Dávid, con la sopraggiunta necessità di garantire la sopravvivenza della Chiesa transilvana, messa in pericolo, a suo avviso, dal terribile radicalismo di Ferenc Dávid. Malgrado ciò, comunque, parecchi sostenitori del Dávid lo considerano ugualmente un traditore.
Nella corte del reggente ormai dominano i gesuiti ed egli, guardato, appunto, con risentimento, dai numerosi seguaci di Dávid, può continuare, sì, ad esercitare il suo mestiere di medico ginecologo, ma deve accettare di non metter più piede ai Sinodi della Chiesa e di non scrivere mai più trattati.
Muore settantaduenne, ad Alba Iulia o, forse, a Kolozsvár, nella notte tra il 4 e il 5 maggio del 1588, passando silenziosamente dal sonno alla morte. Alcuni dei suoi nemici – ed ormai ne ha collezionati tanti – insinuano che, in vista della sua fine, egli si sia convertito al Cattolicesimo; altri, invece, mettono in circolazione la voce che, addirittura, sia stato soffocato nel sonno, con un cuscino, da un suo nipote impaziente di ricevere la cospicua eredità.
Giovanni Giorgio Biandrata, come tutti gli uomini colti del suo tempo, era dotato di potere. Inseguendo egli, però, varie dottrine, spesso è stato scosso da tensioni mistiche e spesso si è lasciato attrarre da rivelazioni profetiche, di quelle che mantengono aperte le speranze, anche se consapevole sempre di più, man mano che procedeva nella ricerca, della loro infondatezza, davanti ad una radicale riforma della Chiesa e della vita cristiana; per cui, come ginecologo, al pari di altri e, a differenza dell’ostetrica e ginecologa Louise Bourgeois Boursier, a causa della variabilità della sua morale nei diversi momenti della sua ricerca spirituale, ha esercitato questa sua professione medica compiendo, a volte, avventati esperimenti, che hanno penalizzato donne ammalate o partorienti. Ne è esempio il fatto che nel XVI secolo, in un primo momento la vagina veniva definita universalmente ‘cervix uteri’, mentre, invece, successivamente, fu deciso che essa non fa parte dell’utero. Tutto ciò, anche se Biandrata, poi, come teologo laico, ha dimostrato, invece, di essere indiscutibilmente determinato e preparato, benché, in verità, fosse un uomo alquanto tormentato.
Giorgio Biandrata – Nel XVI secolo la vagina era chiamata prima ‘cervix uteri’, ma poi si decise che essa non fa parte dell’utero.