Eppure di questo fatto non si discusse molto nei decenni successivi, forse a causa di conflitti ideologici, o forse per la distanza geografica (e al di sopra di tutto culturale) tra ovest, centro ed est Europa. Negli ultimi anni, fortunatamente, l’importanza della Battaglia di Varsavia è riemersa, non solo in alcuni libri di scuola, ma anche e in particolare su internet, dove milioni di persone, guardando documentari caricati in rete, rimangono increduli di fronte all’abilità di un esercito allo stremo delle forze di fronteggiare un nemico alle porte. La Battaglia è rimasta nell’immaginario polacco come uno degli esempi della missione salvifica della Polonia nella storia dell’Europa cristiana. Non bisogna dimenticare che nel pieno cuore della battaglia i reparti polacchi celebrarono, il 15 agosto come da tradizione, l’Assunzione di Maria. Una coincidenza troppo grande per passare inosservata di fronte ai credenti polacchi, i quali vedevano avanzare davanti a loro le orde atee del comunismo. Proprio per questo, in Polonia, il 15 agosto è anche il giorno delle Forze Armate. Fu il generale Haller, uno degli eroi della Battaglia, a parlare di “miracolo”. Un miracolo scorso sulle acque di un fiume.
Nel giugno del 1920 l’appena rinata Polonia si trovava da più di un anno in guerra contro l’appena bolscevizzata Russia. Il Maresciallo ed eroe della Grande Guerra Józef Piłsudski era riuscito a cacciare i comunisti da Minsk e Vilnius (Wilno in polacco) e il 7 maggio era riuscito a conquistare Kiev, nella speranza di riappropriarsi di quelle terre che nei secoli antecedenti formavano la Confederazione polacco-lituana. Le truppe polacche già assaporavano piene d’orgoglio la conquista di Mosca, come nel lontano 1612. Ma in quel primo mese d’estate la situazione precipitò. Le forze dell’Armata degli Operai e dei Contadini, meglio nota come Armata Rossa, sotto la guida dei generali Michail Tuchačevskij a nord e Semën Budënnyj a sud contrattaccarono, ricacciando in meno di due mesi i polacchi alle porte di Varsavia. Ad aiutarli c’erano anche molti ex ufficiali zaristi ostili agli pšeki; così avevano chiamato quel popolo che durante i centoventitre anni di spartizione aveva dato rogne al governo pietroburghese. Molti comunisti avevano lo stesso parere: agli occhi di Lenin e Trockij, la Polonia era il simbolo della borghesia, della decaduta nobiltà feudale piena. Feliks Dzierżyński, polacco e fondatore della temuta Čeka, condivideva l’idea. E quando alle porte di Varsavia sarebbero crollate, con loro sarebbe caduta la “borghese Polonia” e la Rivoluzione portata col fucile si sarebbe estesa in Germania, in Italia, in Europa e, forse, nel mondo.
Il Maresciallo Piłsudski e i soldati polacchi, però, non si diedero per vinti. Nei giorni antecedenti alla battaglia, un efficace programma agrario aveva contrastato la propaganda rossa, col risultato che migliaia di contadini e studenti universitari si arruolarono volontari, addestrandosi in breve tempo. Negli stessi giorni, i crittografi decifrarono i segnali radio sovietici e crearono interferenze fatali per il nemico. Riuscirono, addirittura, a disturbare gli ordini di Tuchačevskij con versetti della Genesi in codice Morse. Il 12 agosto la Battaglia di Varsavia ebbe inizio. I soldati di Tuchačevskij tentarono di creare una testa di ponte nel quartiere Praga, sulla sponda orientale della Vistola, ma furono respinti da un reggimento di ulani della Quinta Armata del generale Władysław Sikorski. Budënnyj, disobbedendo agli ordini di Mosca su suggerimento del compagno Iosif Džugašvili “Stalin”, marciò su Leopoli con sogni di gloria. Il suo tentativo di catturare la città galiziana fallì miseramente. Il 16 agosto a Varsavia Piłsudski diede l’ordine ai ventimila uomini della cavalleria polacca di attaccare, supportati da Sikorski nei pressi di Modlin, e dall’Armata Blu del generale Józef Haller nelle zone settentrionali della capitale. Anche alcuni volontari della Repubblica dell’Ucraina occidentale antibolscevica assistettero i polacchi. Tuchačevskij fu costretto a retrocedere di quasi duecentocinquanta chilometri, fino al fiume Bug che oggigiorno segna il confine tra la Polonia e la Bielorussia. In totale più di centomila furono i morti, i feriti e i prigionieri. Lenin la definì “l’enorme sconfitta”, e i suoi piani geopolitici su scala europea si frantumarono. La pace fu firmata a Riga nell’ottobre dello stesso anno, e i polacchi riguadagnarono i territori occidentali delle attuali Ucraina e della Bielorussia. Il confine polacco-sovietico rimase lo stesso fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.